Mi ricordo che quando conobbi quello strano individuo dai lineamenti longilinei e dalla pelle olivastra, subito ebbi la sensazione di parlare con un artista; anche se ci eravamo appena conosciuti mi invitò a casa sua per ammirare le sue opere, i suoi quadri che egli stesso amava chiamare "i suoi sogni": non perché scaturissero dalle sue tormentate notti ma quanto poiché come sogni sono pensieri che riescono a sfuggire dai limiti che la realtà impone, come ebbe a spiegarmi.
Accettai il suo invito forse affascinato dal suo modo di esprimersi, così colto e carismatico; già poche ore dopo averlo conosciuto aveva un forte ascendente su di me, forse perché nei suoi occhi non vedevo quello sguardo smarrito che sono solito notare in tutte le persone che si soffermano a parlare con me.
Così, il giorno seguente il suo invito, una domenica, mi recai nella sua piccola casa fuori città, che non feci fatica a trovare grazie alle sue accurate indicazioni; ricordo che non fu sorpreso di vedermi arrivare, nonostante non avessi specificato il giorno della mia visita. Mi salutò rispettosamente e mi condusse subito, senza convenevoli, in cantina, suo studio e mostra dei suoi dipinti: i muri avevano un aspetto molto antico e dal soffitto, fatto di volte e architravi, pendevano strisce di seta viola alla cui estremità inferiore erano fissate le cornici delle sue pitture.
Immaginate di essere al buio, seduti su una sedia, in una stanza della quale ignorate forma o dimensioni e dove sapete che dovete aspettare, lì fermi, qualcuno, o qualcosa, ma non sapete quando arriverà o cosa verrà a fare. Ecco, a casa, dopo averci a lungo riflettuto ho pensato che questa potrebbe essere una sensazione molto simile a quella da me provata osservando i suoi sogni. Tuttavia rappresentavano scene comuni, neppure troppo originali, i soliti paesaggi, i soliti nudi di affascinanti donne, le solite scene di vita quotidiana. Eppure tutti avevano qualcosa di misteriosamente inquietante. Soltanto una raffigurazione, credo, poteva essere definita veramente originale; si trattava del palco di un teatro, dai drappeggi rossi e neri, sul quale tre persone venivano torturate da due boia: tuttavia non si capiva se volesse rappresentare una raffigurazione scenica o vere torture. Il modo migliore per scoprirlo sarebbe stato di certo quello di domandarlo a colui che l’ha realizzato ma preferii non farlo, forse per colpa della sensazione che quei quadri mi suscitarono.
Mi feci risentire da lui dopo essermi convinto che volevo che dipingesse Satana su un muro di casa mia; concordammo il prezzo solo dopo ch’egli mi ebbe imposto una sua condizione: essere libero di raffigurarlo come voleva, senza suggerimenti o indicazioni. Mi sembrò una richiesta ragionevole fatta da un artista che non vuol essere condizionato nel suo libero esprimersi.
Così un giorno in cui dovevo lavorare su delle cartacce, e che quindi sarei rimasto in casa per tutto il giorno, lo feci venire. Decidemmo assieme la stanza migliore per quell’affascinante affresco ed optammo per la camera da letto.
Non sbirciai mai durante il suo lavoro, volevo vedere l’opera solamente dopo che egli l’avesse terminata, cosa che avvenne dopo circa sei ore del suo inizio. Mi chiamò arrivando nel mio studio; aveva un’ aria alquanto soddisfatta ma calma ed in mano ancora la sua tavolozza: otto macchie di colore da cui attingere i suoi pensieri, otto colori senza sfumature, tutti uguali, tutti neri. Mi precipitai immediatamente nella mia camera da letto e vidi la parete esattamente come l’avevo lasciata: aveva dipinto un affresco nero su sfondo nero!
La rabbia per essermi fidato di quell’impostore mi spinse a sbatterlo fuori di casa senza dargli neppure un soldo; uscendo mi minacciò di denunciarmi e mi intimò non farmi più vedere da lui, su questo lo rassicurai: perché avrei dovuto ripresentarmi alla porta di un ciarlatano?
Inizialmente pensai che la rabbia e la delusione provata quel pomeriggio furono la causa della tormentata notte passata quello stesso giorno ma poi dovetti ricredermi poiché fu così per un lungo periodo. C’era qualcosa di più.
Per due mesi mi svegliai tutte le notti in un’ora compresa sempre fra le due e le tre intimorito da una strana sensazione, come se qualcuno mi stesse osservando, osservando con gli occhi di chi ha compassione, pena verso chi sta guardando; non so come faccio a dire questo, ma era la sensazione che provavo. Poi per il resto della notte riuscivo a dormire solo per pochi stralci di tempo.
Consultai dottori e psicologi che tuttavia non seppero aiutarmi. La soluzione sembrava esser quella di dormire in un’altra stanza, poiché quella aveva probabilmente su di me un effetto psicologico negativo per via di quell’episodio dell’affresco, ma questo peggiorò solo le cose, così tornai a dormire in quella nera camera.
Intanto dormire così poco minava sempre più la mia condizione fisica.
Fu cosi un tentativo dettato solo dalla mia, credo allora ancor salda, ragione: pensai che forse avrei potuto liberare la mia mente da questo tormento ripitturando completamente la camera da letto. Feci tutto da solo; scelsi il bianco come nuovo colore, poiché opposto al nero, mi armai di pennello e secchio di vernice e mi misi all’opera. Contrariamente a quanto pensai, riuscii a restare sereno durante quel lavoro; così, quando lo ebbi terminato, mi allontanai compiaciuto di qualche metro dalla parete per ammirare il mio operato.
L’angoscia subito si sostituì alla tranquillità. Là, proprio dove avevo dove incaricato il pittore dei sogni di raffigurare il supremo male, intravidi nel muro una terribile velata ombra nera senza sfumature o ben delineati lineamenti: distinsi però chiaramente una somiglianza umanoide e la sensazione di vedere due occhi maledettamente sicuri di se: tutto ciò solo per un breve istante, ma fu comunque tale il tormento e la paura provocati in me da quella visione, che era per me sufficiente volgere lo sguardo in quella direzione per richiamare nella mia mente quel terribile ricordo. A mente più rilassata, e questo solo dopo molte ore, mi ricordai di aver già visto una simile sagoma; cercai così di ricordare se in qualche mio libro vi fosse una simile raffigurazione di Satana; se lo avessi trovato avrei avuto probabilmente utili elementi per risolvere il mio insolito caso, che nel frattempo stava divenendo sempre più insostenibile. Sfogliai così tutti i miei libri più di una volta ma tutto inutilmente.
Colto dalla disperazione e dalla consapevolezza che non avrei più potuto dormire in quella casa, e forse in nessun altra, mi decisi a recarmi nell’abitazione di quel maledetto pittore dell’inquietudine, nella disperata ricerca di qualcuno che potesse spiegarmi qualcosa. Arrivato là, bussai violentemente alla sua porta. Ci mise molto tempo per rispondermi ma poi, apri lentamente quella dannata porta, mi fissò dritto negli occhi e, solo allora, finalmente, capii dove avevo già visto quella dannata sagoma nel muro.
Stefano Denicolai
Atti o Torture
Macabro? Cosa si aspettavano i miei amici da una persona che dipinge la propria camera da letto di nero, che viaggia alla ricerca di libri sull’occulto, che si diverte a giocare con le sensazioni che le tenebre sanno regalare, che sa provare godimento quando il mondo scappa impaurito? Per uno così non capisco cosa ci sia di macabro nel pagare un pittore per far dipingere in casa propria un effigie di Satana sul muro. Ma d’altronde non mi hanno mai capito.