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Il risveglio del dormiente

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STAR TREK
THE NEXT GENERATION



IL RISVEGLIO DEL DORMIENTE
  • Capitolo Sette

    Quel giorno la stazione spaziale Deep Space Nine era addobbata a festa per la ricorrenza della liberazione Bajoriana.
    Deanna s’attardò alcuni minuti per rimirare gli splendidi costumi indossati dai teatranti in scena lungo la passeggiata.
    Da quando era salita a bordo il signor O’Brien ed il dottor Bashir si erano offerti d’accompagnarla a visitare la stazione, dal momento che il capitano Sisko ed il signor Worf erano in missione con la Defiant.
    Sapevano perfettamente il motivo della sua presenza a bordo, ma per discrezione non domandarono nulla in merito al rituale Klingon, lasciando che la loro collega si distraesse almeno per qualche ora.
    "L’ultima volta che sono stata qui non mi ero resa conto della bellezza di questo luogo." esordì l’empatica raccogliendo un mazzo di fiori dall’espositore, colse due gambi e li donò ad entrambi sorridendo.
    "Vi ringrazio per la vostra compagnia, mi sono veramente divertita, ma se adesso non vi rincresce potreste informarvi se Worf è tornato?"
    "Naturalmente consigliere," rispose un po’ impacciato il giovane medico, "Bashir a sala controllo, la Defiant ha fatto ritorno?"
    Il maggiore Kira controllò rapidamente il registro d’attracco.
    "No dottore, probabilmente avranno avuto qualche inconveniente. L’avviserò non appena avremo notizie."
    "Grazie maggiore. Dunque, abbiamo ancora del tempo…" continuò Bashir incrociando lo sguardo perplesso dell’Irlandese, "potremmo andare a bere qualcosa." propose indicando le luci del locale poco distante da lì.
    I tre si trovarono d’accordo, fendendo la folla festeggiante entrarono nel fumoso locale, probabilmente a causa della distrazione Deanna non si ricordò di aver già incontrato il suo losco gestore.
    Lui invece la ricordava benissimo, non appena la vide spinse bruscamente a lato il fratello Rom, intento a lavare dei bicchieri, e con un inchino si fermò davanti al gruppo.
    "Quale onore, non mi sarei mai aspettato di rivederla qui nel mio umile locale," esordì esibendosi in un prolungato baciamano, "lei porta luce in questo angolo desolato d’universo." dichiarò sgranando la lunga fila di denti aguzzi.
    "Stai lontano da me Quark!" puntualizzò Troi preparandosi ad andarsene, "mi hai venduto per pochi soldi a quel soldato Kendas, non l’ho ancora dimenticato, quello che più mi sorprende è che non ti abbiano ancora sbattuto in cella."
    Il Ferengi agitò le mani richiamando l’attenzione del terzetto.
    "Le posso assicurare che c’è stato un malinteso, la prego di credermi, io non commetterei mai un’azione così riprovevole, mi segua per favore e lasci che le offra una bevanda, una camomilla calda, ricordo bene?" chiese il barista prendendola a braccetto.
    Bashir gli sussurrò qualcosa nell’enorme orecchio.
    "Quark, non fare l’idiota, dobbiamo andare."
    Sfacciatamente il Ferengi s’indispettì battendo i piedi per terra.
    "Ecco, vede mia dolce signora? La Flotta Stellare continua a perseguitarmi anche quando mi dimostro gentile nei confronti dei loro rappresentanti. Ancora adesso mi chiedo perché rimango ancora su questa dannata stazione." aggiunse laconicamente sperando d’apparire come una vittima delle circostanze.
    "Va bene Quark, per il momento dimentichiamoci del passato e portaci il menu a quel tavolo isolato laggiù." concluse brevemente Troi per evitare d’attirare ulteriormente l’attenzione.
    Le due "guardie del corpo" la seguirono senza aggiungere nulla, limitandosi a folgorare il barista con occhiate colme di disprezzo.
    In un battibaleno il Ferengi tornò con il menù e senza alcun imbarazzo si sedette al tavolino.
    "Quark, ma non avevi da lavorare?" sottolineò Bashir con tono minaccioso.
    "C’è Rom al banco, preferisco restare in vostra compagnia, sempre se non disturbo."
    "Non sei stato invitato." precisò immediatamente O’Brien non gradendo la sua invadenza.
    I tre lo fissarono con la medesima espressione seria aspettando che finalmente il seccatore si decidesse a lasciarli in pace, Quark attese alcuni minuti nella speranza che cambiassero idea, ma non notando alcun cambiamento infine si alzò scuotendo l’enorme testa.
    "Va bene, vado via, vi ringrazio per la vostra affabilità…spero di rivederla ancora mia signora." concluse sorridendo in maniera un po’ stupida prima di scomparire fra folla.
    "Finalmente." sbuffò Bashir iniziando a leggere il menù.
    "Dunque, potremmo prendere tre brandy sauriani e…"
    Il comunicatore sull’uniforme del medico iniziò a trillare insistentemente.
    "Qui il maggiore Kira, dottore volevo informarla che la Defiant sta attraccando al pilone numero due, ci sono dei feriti a bordo ed è richiesta la sua presenza."
    "La ringrazio maggiore, stiamo arrivando." rispose freddamente Bashir adagiando la lista sul tavolino, "vogliamo andare consigliere?"
    "Certo, e la prossima volta sceglieremo un altro locale, se non vi dispiace." precisò ignorando lo sguardo del Ferengi che continuava a radiografarla dal fondo del bancone.
    "Può esserne certa." risposero in coro i due ufficiali facendole strada.

    Deanna suonò all’alloggio del tenente Worf cercando di mantenersi calma.
    Il dottor Bashir l’aveva informata che il Klingon non aveva subito alcuna ferita seria, o perlomeno niente che un fiero guerriero non potesse curarsi da solo.
    Quando la porta s’aprì lo vide con un braccio sanguinante e numerose escoriazioni sulla cresta frontale, per tamponare il sangue che fluiva a fiotti dalla ferita aveva saldamente allacciato una cintura di cuoio intono al braccio.
    La Betazoide non poté trattenersi dall’emettere un grido di disgusto.
    Worf dal canto suo si guardò intorno perplesso nella speranza di capire cosa la facesse agitare tanto, non vedendo nulla di particolare si limitò ad invitarla ad entrare.
    Dando un’ulteriore stretta al laccio esordì.
    "Deanna, sono felice che tu abbia accettato la mia richiesta, accomodati."
    "Worf, ti senti bene?" balbettò lei senza distogliere lo sguardo dallo squarcio che grondava sangue sul pavimento.
    "Ah, hai gridato per questa sciocchezza…è un piccolo ricordo dei Jem’Hadar, ci hanno attaccato a tradimento durante una missione di pattugliamento, comunque, siamo risultati vincitori." poi con tono fiero sottolineò, "non oseranno mai più commettere un simile affronto, li abbiamo sterminati tutti, quei cani maledetti!"
    Troi impallidì visibilmente, preferì sedersi sulla poltrona di pelle in pieno stile Klingon che troneggiava contro la parete vicina.
    "Capisco." si limitò a commentare immaginando il furore della battaglia e le navi stellari che esplodevano sotto i colpi dei siluri quantici, con un notevole sforzo di volontà eliminò quei pensieri violenti cercando di cambiare opportunamente argomento.
    "Dunque, eccomi qua, vorresti spiegarmi con esattezza di cosa hai bisogno?"
    "Non hai ricevuto il messaggio che ti ho inviato?" rispose perplesso Worf non comprendendo la natura della domanda.
    "Certo che l’ho ricevuto, ma se non ti dispiace vorrei sapere perché dovrei sottopormi al, come si dice? Kagth’ahg?"
    " Khit’hagh!" la corresse rudemente il Klingon stringendo ancora più energicamente il laccio.
    Restando in piedi e fissandola negli occhi Worf non poté evitare di commentare la sua ignoranza sugli usi del suo popolo.
    "Non hai mai voluto imparare la cultura Klingon, mentre io dovevo seguire le vostre assurde regole Betazoidi, e le vostre immorali cerimonie, come ad esempio i matrimoni."
    Deanna ribatté prontamente a tono.
    "Questo non è assolutamente vero! Se non ti dispiace vorresti rispondere alla prima domanda?"
    "Ma ai vostri matrimoni bisogna presentarsi completamente nudi come vermi, è indecente." continuò il Klingon immaginandosi cosa avrebbe pensato un equipaggio dell’Impero se avesse assistito ad un simile evento.
    Inaspettatamente Troi s’alzò di scatto, dirigendosi verso l’uscita urlò infuriata.
    "Worf, non cambi proprio mai. Adesso non ho voglia di litigare, ne riparleremo quando avrai voglia di darmi una spiegazione.
    "Aspetta, ti spiegherò tutto, risiediti ed ascolta." disse perentoriamente il Klingon chiudendo le porte del suo alloggio.
    Deanna soffiò e ritornò sui suoi passi senza aggiungere una sola parola.
    "Eccomi qui, ti ascolto."
    "Il Khit’hagh, è un rito che viene raramente utilizzato dal mio popolo. Come ben sai quando un maschio ed una femmina Klingon si scelgono lo fanno per tutta la vita, ed a nessuno dei due verrebbe mai in mente di separare un’unione consacrata. Tuttavia, in considerazione delle influenze delle culture aliene che abbiamo incontrato negli ultimi secoli, ci rendemmo conto che era indispensabile considerare anche l’opportunità di scindere i legami non desiderati, così venne istituito il Khit’hagh, la separazione. Nessun Klingon si unirebbe mai ad un’altra compagna se prima non avesse assolto questo obbligo inderogabile, fa parte della tradizione e dell’onore di un guerriero."
    Deanna l’interruppe domandando con una certa apprensione quello che più l’aveva terrorizzata negli ultimi giorni.
    "Mi sembra di aver capito, ma di cosa si tratta esattamente?"
    "La coppia sale sul trampolino, alto circa cinquanta metri dal suolo, poi contemporaneamente si tuffa verso la piscina sottostante, attraversando un anello di fuoco posto a metà del percorso. Il fuoco simboleggia la purificazione, mentre l’acqua indica che i due si sono definitivamente spogliati degli obblighi reciproci, tornando ad essere liberi di scegliere un nuovo compagno."
    Troi rimase letteralmente a bocca aperta.
    Vedendola in quello stato Worf si sentì in dovere di precisare.
    "Raramente chi non sia un Klingon sopravvive a tale cerimonia, l’anello di fuoco può provocare talvolta delle ustioni letali. Ho voluto dirtelo perché, nel caso decidessi di partecipare, dovremmo ricorrere al ponte ologrammi ed ovviamente i protocolli di sicurezza verrebbero rimossi, diversamente la prova non avrebbe alcun valore. Il Giudice della cerimonia sarà prescelto fra i membri dell’Alto Consiglio e seguirà le procedure per accertarsi che tutto sia fatto secondo la tradizione."
    Deanna non trovò le parole adatte per sottolineare l’assurdità di quello che aveva appena sentito, la sua voce fuoriuscì labile come un bisbiglio.
    "…ma noi…non siamo sposati."
    "Ciò che dici è vero, ma il nostro legame è ancora valido per la mia gente ed in fondo anche per me. Mi rendo conto che ciò che ti chiedo sia estremamente pericoloso, e non te l’avrei chiesto se ci fossero state altre possibili soluzioni. Pensaci, e quando avrai riflettuto fammi sapere la tua risposta."
    Troi si alzò come in trance, osservò Worf con un’espressione indefinibile e prima di lasciare l’appartamento domandò incuriosita.
    "Vuoi legarti ad un’altra donna?"
    "Questo non ti riguarda più Deanna, dal momento che il nostro rapporto è cessato già da alcuni mesi, con il Khit’hagh saremo finalmente liberi di andare ognuno per la propria strada." le rispose marcando volutamente l’ultima frase.
    Singhiozzando l’empatica ribatté "Io mi sento già libera, e non ho alcuna intenzione di morire per dimostrartelo!" poi ritrovando la grinta aggiunse acidamente, "…e tu mi rimproveravi che i rituali Betazoidi erano immorali…"
    Deanna lasciò in fretta l’alloggio mentre Worf la seguiva con la coda dell’occhio, in cuor suo sperò vivamente che non volesse lasciare la stazione prima di aver assolto ai suoi obblighi morali.

    Capitolo Otto

    Il messaggio del Comando di Flotta riportava solamente poche parole concise.
    "Enterprise, dirigetevi immediatamente alla Base Stellare 22, priorità uno."
    Picard sentì scorrere l’adrenalina nel sangue mentre lo leggeva dalla plancia, benché quel tipo di ordine volesse significare massima allerta, si sentì in qualche modo sollevato di poter lasciare l’orbita a dispetto della sentenza della Commissione per le infrazioni temporali.
    Dopo aver depositato una boa di segnalazione per il comandante Riker, indicante il cambiamento di rotta, l’Enterprise si gettò come una folgore nei corridoi dell’iperspazio.
    Richiamando sul terminale il nome del comandante della base Picard sentì una fitta allo stomaco, conosceva l’ammiraglio John Anderson, purtroppo suo figlio era caduto durante la battaglia con i Borg sostenuta a Wolf 359, insieme ad altre trentanove sfortunate navi federali.
    Sicuramente l’alto ufficiale provava ancora del risentimento nei suoi riguardi, e ciò in fondo era comprensibile dal momento che, dopo essere stato catturato ed assimilato dal collettivo, Picard divenne il loro portavoce con il nome di Locutus dei Borg.
    I suoi timori vennero confermati al suo arrivo dal tono gelido dell’ammiraglio.
    "La stavo attendendo capitano, mi segua." disse meccanicamente indicando un corridoio piantonato dalle guardie della Base.
    Picard lo seguì senza porre domande, osservò in silenzio il suo volto granitico domandandosi se tanta durezza fosse dovuta al rancore, oppure alla natura del pericolo che incombeva.
    Entrarono in una piccola anticamera dall’aspetto sinistro, l’ammiraglio congedò con un gesto la sentinella e richiuse rapidamente la porta con il protocollo di sicurezza.
    "Capitano, l’ho fatta convocare qui d’urgenza perché ritengo che lei sia l’unica persona in grado di comprendere cosa stia realmente succedendo nel settore Oregon," esordì l’ammiraglio squadrando Picard dall’alto in basso, accendendo lo schermo alle sue spalle additò la cartina del Quadrante ed aggiunse con disprezzo, "i Borg si stanno preparando per attaccare la Federazione, e questa volta sarà un’invasione massiccia." puntualizzò facendo lampeggiare un punto marcato in rosso rubino.
    Picard mantenne un’espressione neutra, avanzò di alcuni passi per distinguere meglio i rilevamenti del settore e commentò.
    "Sembrerebbero dei tunnel subspaziali, li ho già visti in precedenza, i Borg potrebbero utilizzarli per raggiungere il nostro territorio."
    "Esatto, in effetti hanno già effettuato un tentativo con un piccolo ricognitore, ma siamo riusciti a fermarlo prima che desse il via libera alla flotta, anche se ciò ci è costato due incrociatori stellari." sottolineò mestamente Anderson, poi si volse verso Picard trasmettendogli quasi telepaticamente tutto il suo odio per quella razza aliena.
    "Spero che sappia che ciò che ho commesso come Locutus non è dipeso dalla mia volontà." si sentì in dovere di precisare Picard per dissipare ogni malinteso.
    "Ovviamente capitano, se non fosse stato così nemmeno la Corte Marziale avrebbe potuta tenerla lontano dalla mia vendetta." sottolineò l’ufficiale battendo un pugno sullo schermo ancora acceso. "Non si preoccupi, non la ritengo responsabile per quello che è accaduto, ed ormai sono passati diversi anni, tuttavia voglio trarre vantaggio dalla sua profonda conoscenza dei Borg."
    "Se posso esserle d’aiuto, sono ai suoi ordini ammiraglio."
    "Molto bene capitano, come le dicevo prima abbiamo fermato la loro nave, ma non solo, siamo riusciti a catturarne uno prima che la sfera si disintegrasse nello spazio, in questo momento è nell’altra stanza in fondo al corridoio, ed è ridotto piuttosto male. Temiamo stia per morire. Lei dovrà parlargli, carpire qualsiasi informazione utile, e se necessario interfacciarsi con i suoi sistemi elettronici. "
    Picard impallidì al solo pensiero di essere trasformato nuovamente in un drone Borg, tentò di dire qualcosa, ma l’ammiraglio lo zittì prontamente.
    "Lei lo farà capitano! Lo deve a tutti i caduti di Wolf 359!"
    Dopo una pausa di silenzio Picard annuì pensando che in fondo quella fosse una giusta punizione per ciò che aveva commesso contro la Federazione.
    "Ha ragione ammiraglio, forse in questo modo potrò mettere a tacere la mia coscienza, le chiedo solo che il mio medico di bordo sia presente all’interrogatorio."
    "Concesso. L’attendo qui alle ore quindici esatte con il suo ufficiale, e porti tutta la documentazione compresi i suoi diari personali, non dobbiamo lasciare nulla al caso." aggiunse Anderson riaprendo la porta.
    La guardia prontamente riprese il suo posto mettendosi sull’attenti, Picard si allontanò di alcuni metri ed attivò il comunicatore.
    "Enterprise, uno da fare risalire."
    Mentre il raggio teletrasporto l’avvolgeva intravide il volto dell’ammiraglio e la base stellare che scomparivano dalla sua vista, al suo arrivo Beverly lo stava attendendo vicino alla piattaforma, notando la sua inquietudine non poté trattenersi dal domandare.
    "Com’è andata Jean-Luc?"
    "Dipende dai punti di vista dottoressa, mi segua in plancia, abbiamo del lavoro urgente da svolgere."

    Picard provò un profondo senso d’apprensione quando si trovò nuovamente di fronte all’ingresso della zona d’isolamento.
    Oltre quella porta c’era un Borg, e malgrado l’autodisciplina non poté evitare di tremare.
    "Apra la porta." ordinò alla dottoressa Crusher stringendo nervosamente il tricorder nella sua mano.
    Il laboratorio era deserto, un faro illuminava di lato la struttura che si ergeva imponente di fronte a loro.
    I due ufficiali non la riconobbero immediatamente, chiusero la porta alle loro spalle ed avanzarono di alcuni metri spianando le armi.
    L’ammiraglio Anderson aveva rispettato la richiesta del capitano di lasciarli operare da soli, le sue guardie si erano infatti fermate nell’anticamera pronte ad intervenire al minimo segno di pericolo.
    Svoltarono il manufatto in ombra e finalmente lo videro, istintivamente Beverly distolse lo sguardo soffocando un grido mentre Picard rimase impietrito per alcuni interminabili secondi.
    Il drone Borg li stava osservando con un’espressione di profonda sofferenza.
    Il suo corpo era fuso all’interno di una lastra di duranio angolata a quarantacinque gradi, le tubazioni d’alimentazione penzolavano a lato dei fianchi emettendo delle scariche elettriche che illuminavano il liquido biancastro fluente liberamente sul pavimento.
    La parte superiore del busto ondeggiava in continuazione facendogli agitare le braccia nel vano tentativo d’afferrare qualcosa che non avrebbe mai potuto raggiungere: il cavo d’energia localizzato nella parte posteriore dell’armatura.
    Sembrava volesse gridare tutta la sua agonia, ma un Borg non avrebbe potuto assumere un simile atteggiamento, quando vide Picard mise a fuoco l’immagine con il monocolo di puntamento zoomando su quel volto conosciuto, smise per un istante di tremare cessando di richiedere istruzioni alla collettività.
    Articolando con difficoltà la bocca domandò.
    "Locutus, anche tu sei qui? Dove ci troviamo?"
    "Questo è irrilevante, devi rispondere alle mie domande." rispose Picard sforzandosi di osservare quello scempio senza lasciare trapelare il suo disagio, "dov’è localizzato il tunnel subspaziale e quante unità sono state approntate per l’invasione?"
    Il drone sembrò perdere conoscenza mentre elaborava la richiesta, abbassò il capo sul petto entrando in una fase catatonica.
    Picard attese pazientemente immaginando nel frattempo in quale modo la Flotta Stellare lo avesse potuto catturare, forse con un raggio teletrasporto? No, ciò era improbabile, gli scudi delle loro navi solitamente non consentivano al raggio d’oltrepassarli con tanta facilità.
    Facendo muovere il tricorder lungo la lastra lesse con attenzione i dati comprendendo quello che doveva essere successo, sicuramente il drone era stato teletrasportato successivamente all’esplosione della sfera, e ciò spiegava come il suo corpo si fosse fuso con la lastra, la violenza della deflagrazione aveva confuso i sensori del teletrasporto fondendo i due soggetti in un unico corpo.
    "Locutus, dove sono gli altri?" domandò il cyborg rialzando con fatica il mento.
    "Gli altri non ci sono, sono solo io qui con te, rispondi alla mia domanda, la resistenza è inutile!" tuonò Picard nella speranza che il drone si dimenticasse del collettivo e non lo costringesse ad interfacciarsi con le sue apparecchiature.
    Passarono alcuni minuti ma non ottenne alcuna risposta, con riluttanza afferrò il cavo di collegamento e lo avvicinò alla presa di trasferimento posta sulla sua tempia.
    "Non sarei voluto arrivare a questo, perdonami."
    Il prigioniero si volse e lo guardò negli occhi, stette così per alcuni secondi mentre le lacrime solcavano il suo viso confondendosi con i liquidi di scorrimento.
    "Locutus, la mia utilità è terminata, ti prego disattiva le mie funzioni vitali e riporta la mia memoria centrale alla collettività."
    "Questo non posso farlo." disse Picard interrompendo il contatto.
    "Lo devi fare, la memoria nel mio cervello sarà assimilata nuovamente e riutilizzata dagli altri Borg dando così un senso completo alla mia esistenza. Locutus, ti prego, non mi rimane molto tempo, l’oblio è senz’altro meglio di questa situazione, quando rielaborerete le informazioni troverai la risposta alle tue domande."
    "Non desidero ucciderti, rispondi alle mie domande e saremo entrambi liberi."
    La dottoressa Crusher afferrò Picard per un braccio allontanandolo di alcuni metri.
    "Dottoressa, non adesso."
    "Jean-Luc, devo parlarti con urgenza, ho fatto una scoperta sconcertante." gli rivelò girando il display del tricorder.
    "Lo vede capitano? Quel drone Borg è stato torturato a morte."
    "Non è possibile dottoressa, dev’esserci un errore." commentò Picard non credendo ai propri occhi, lesse nuovamente i dati ma si rifiutò d’accettare la realtà.
    "Nessun errore capitano, la maggior parte delle ferite sono troppo recenti, la sua ipotesi della fusione nel teletrasporto è stata confermata dal computer, ma lo stato in cui adesso versa quel poveretto è stato determinato dalle sevizie subite negli ultimi giorni."
    "L’ammiraglio Anderson!" esclamò allibito Picard.
    "Esatto capitano." gli fece eco l’ufficiale comparendo di soppiatto alle loro spalle.
    "Mi sembra meravigliato capitano, e di cosa? Ho fatto catturare quel Borg per avere delle risposte e non per concedergli una vacanza premio sulla mia stazione. Ma come ha potuto constatare di persona, non è stato per nulla ragionevole rifiutandosi di collaborare, e così…"
    "… e così l’ha torturato per estorcergli delle informazioni che non avrebbe mai potuto darle? Non ha letto il mio rapporto? Nessun drone Borg, una volta isolato dalla collettività, può rispondere in prima persona ad un interrogatorio. Questo lei lo sapeva benissimo e nonostante ciò ha voluto continuare, lei è un…"
    "…cosa sarei io capitano? Quando proprio lei ha guidato i Borg contro la Federazione? Le dispiace tanto vedere soffrire i suoi amici? Smetta di farmi la morale e continui il suo lavoro." ribatté categoricamente Anderson preparandosi a lasciare la sala.
    Infuriato Picard lo raggiunse frapponendosi all’uscita.
    "Ammiraglio, la denuncerò al Comando di Flotta per sevizie e torture inflitte su di un prigioniero di guerra, testimonierò contro di lei sottolineando come il risentimento per la morte di suo figlio l’abbia resa cieco di fronte alle sue responsabilità. Se lo desidera andremo insieme davanti alla Corte Marziale, e le posso garantire che perderà il comando di questa stazione, questi metodi barbarici non sono più tollerati nel ventiquattresimo secolo."
    I due stettero immobili irrigidendo le mascelle, Picard non mosse un solo nervo mentre l’ufficiale sembrò valutare per la prima volta la concreta possibilità di perdere il suo piccolo universo costruito con tanta difficoltà, con disprezzo aggiunse.
    "Vedremo capitano."
    "No ammiraglio. Non ho tempo di prestarmi al suo gioco, mi consegni immediatamente quello che rimane del drone e ci lasci tornare a bordo dell’Enterprise, quando la crisi sarà risolta, se mai riusciremo a fermare i Borg, tornerò qui e ne riparleremo." concluse Picard lasciando cadere al suolo il cavo ormai inutile.
    Anderson si guardò intorno sperando di trovare un alleato almeno nella dottoressa Crusher, tentò di dirle qualcosa, ma il suo sguardo ammonitore lo raggelò facendogli capire che in lei non avrebbe trovato alcun sostegno.
    Dopo una lunga pausa di riflessione grugnì acidamente.
    "D’accordo capitano, se lo porti pure via, l’attendo qui a fine missione, ed allora vedremo chi dei due avrà ragione."
    Picard non si degnò nemmeno di rispondere, staccò il suo comunicatore dall’uniforme e lo appoggiò sulla lastra che imprigionava il cyborg.
    "Enterprise, sintonizzatevi sulla coordinate del mio comunicatore, tre da fare risalire."
    Fra i bagliori del raggio Anderson iniziò ad immaginare una linea di condotta idonea per gettare nel disonore il capitano Picard, poi alzò le spalle divertito, nessuna nave stellare era in grado d’affrontare da sola l’intera flotta d’invasione Borg, e lui avrebbe fatto in modo che nessun vascello andasse in loro soccorso durante l’attacco.
    Sorrise istericamente felice di essere riuscito finalmente a vendicare la morte del figlio e di tutti gli altri soldati caduti nella battaglia di Wolf 359.

    Claudio Caridi

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