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Judy Berlin

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Judy Berlin

Non lasciatevi ingannare (come è capitato a me per svariate settimane) dal cognome citato nel titolo di questo film: si pronuncia Berlìn e non Bérlin in assonanza con la città tedesca. Ma chi se ne frega? Beh, è proprio vero, ma è la prima frase che mi è uscita dalle dita non appena ho cominciato a scrivere questo articolo, giusto il giorno dopo la visione1 del film.
Perché? Forse perché il film mi è piaciuto ma non come mi aspettavo e perciò la mente ne divaga al di fuori, la scrittura non scaturisce impetuosa e ansiosa di raccontare il capolavoro appena visto. "Judy Berlin" è il film vincitore dell’ultima edizione dell’americano Sundance Festival e pur non avendo visto gli altri in concorso, la scelta non è certo immotivata. Già assistente costumista di Woody Allen e sceneggiatore di "Delia" (anch’esso partecipò in passato al Sundance Festival) Eric Mendelsohn firma sceneggiatura e regia del suo primo film, oltre a curarne il montaggio. La storia è affascinante o perlomeno lo è per chi apprezza ciò che succede "quando gli altri non vedono" citando le parole stesse del vero protagonista di Judy Berlin, tale Arthur Gold (interpretato da Aaron Harnick già visto in "Happy togheter") reduce dal disincanto di Hollywood. Anche se ultimamente è un po’ di moda citare Raymond Carver non posso sottrarmi dall’accostare i personaggi di "Judy Berlin" alle short stories del famoso scrittore statunitense dal quale Altman ricavò lo splendido "America Oggi". Mogli annoiate, maestre insoddisfatte, attrici ingenue, uomini disillusi sono i personaggi che abitano Babylon2, un’anonima cittadina dello stato di New York. Il passaggio dell’eclissi, la cui durata infinita è un’azzeccata licenza artistica, pare avere l’effetto di riempire di luce le teste di queste persone che come d’incanto ritrovano se stesse o vedono quello che la luce del sole aveva sempre celato. David Gold ritorna dai genitori dopo l’infelice esperienza professionale di Hollywood e la piccola Babylon non sembra aiutare il suo stato d’animo, tant’è che si rianima solamente quando ricorda delle sedie gialle di plastica che erano nel suo giardino quand’era piccolo. Sua madre canticchia in modo ossessivo una filastrocca che parla di ritornare giovane, suo padre è il preside frustrato di una scuola elementare e prova qualcosa di indefinito per una delle maestre, Sue. Sue è la madre di Judy Berlin, figurante in costume nel villaggio storico e in partenza per la California. Solo l’arrivo dell’eclissi lascia liberi gli abitanti di Babylon di pensare, come protetti dall’oscurità anche se fittizia e transitoria. Così David e Judy trascorrono alcune ore insieme e lui si dichiara ma arriva il treno, il signor Gold e l’impaurita Sue hanno un bacio furtivo ma l’eclissi sta per finire, Alice Gold vaga per le strade credendosi un’astronauta. Pare che tutti traggano beneficio dalla penombra che solo i bambini salutano festanti come se fosse un gioco.
Devo ammettere che scrivendo di "Judy Berlin" ne ho rivalutato alcuni aspetti anche se Mendelsohn non è Raymond Carver e nemmeno Woody Allen al quale è stato frettolosamente accostato. Di quest’ultimo non ha la tragicità e l’amaro umorismo dei film come "Un’altra donna" o "Interiors", del primo non ha la capacità dell’istantanea, dello scatto in movimento.
"Judy Berlin" è comunque un buon esordio sottolineato inoltre da un bianco e nero molto nitido e molto d’effetto con l’espediente dell’eclissi. Il film è già passato a Reggio Emilia e a Modena ma sarà sicuramente riproposto in qualche rassegna.


Benatti Michele

1
Non si può invece definire "visione" l’immaginetta votiva che compare al di sotto di quest’articolo ma è quanto di meglio sono riuscito a trovare!

2
Forse anche il nome della città è una scelta precisa, simbolo della differenza e dell’incomprensione.

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