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H 5.02. Bologna. Dentro al Link, Nel café des ignorants.
Luca muove piano il braccio sinistro, si cerca il petto. Si solleva sugli avambracci. Muove la testa, come per cercare qualcuno. Trova Jasmine, prende a fissarla. Lei gli si appressa.
"Come stai?"
"Mi sento un cesso."
Lei gli si siede accanto. A tratti è scossa da tremiti. Luca sembra non farci caso. "Sono collassato…" Jasmine non gli risponde. "Scusami…." Luca fa per prenderle le mani: lei le scosta. "Andiamo? Qua sta chiudendo tutto." Luca si guarda intorno. Soltanto persone a pulire per terra. "Ho preso un po’ di birre." Jasmine ha gli occhi per terra. "Andiamo?"
"Merda…Ma che ore sono?"
Jasmine rilascia le ossa, le libera contro il divano. "Tra un poco fa chiaro." Ora Luca la fissa. "Di già? Ma quanto tardi è?!"
"Vieni o no?" Jasmine si raccoglie le vertebre che le restano, si tira in piedi, si avvia verso l’uscita. Luca la segue col pene rigonfio di sonno. Si inerpicano a stento sulla rampa di scale. Il Link è vuoto di suoni: solo poche voci riecheggiano tra una sala già chiusa e le altre. Jasmine e Luca sono per la strada quasi sterrata che dal Link porta in via Fioravanti. Luca alza gli occhi al cielo. Il nero stinto di grigio, predominante poche ore prima, si sflana in cobalto, ad est sull’orizzonte, smerigliando una foschia già grassa di smagliature. "Sembrano lamelle di acciaio temperato." Jasmine cammina in fretta, gli occhi sempre fissi in terra. "Cos’hai detto?" Luca ad alta voce: "Dicevo il cielo."
Jasmine, di rimando, secca: "Non dire stronzate poetiche. MI vuoi intortare?…Ma stai un po’ zitto." Colpisce col piede sinistro un ciottolo in terra. Lo smuove appena. Luca resta in silenzio. Lei gli passa una birra. "Bevi fin quando è fredda…Che poi si scalda e fa schifo." Ormai sono in via Fioravanti. Luca scorge il parcheggio malamente illuminato di qualche ora prima scorrergli di fianco, quasi del tutto senza auto posteggiate e senza la Renault di Loris. Devono essersene andati. Luca adesso fissa in avanti Jasmine. La voce gli stride tra le corde: "Chi era quello con cui stavi oggi?…Te lo volevo già chiedere."
Jasmine gorgoglia parole. Luca resta in silenzio. Sono in via De’Carracci. Poi più avanti, in via Matteotti. Sono sul ponte sopra la stazione. Luca osserva di sfuggita i treni che si allungano sui binari. Gli paiono interminabili, limitati soltanto a destra e a sinistra dalle torri di segnalazione ormai in disuso, parallelepipedi di cemento armato brunastro di umidità. Ad est il cielo scuro di fuliggine inizia a farsi chiaro. Luca respira a fondo, getta per terra la lattina già vuota. Jasmine rallenta per passargliene un’altra. Luca la apre e ricomincia a bere. "Dove andiamo?"
"In un posto tranquillo. Vero che vieni con me?" Jasmine si scava nei pollici.
"Ma dove…" Jasmine si ferma brusca. Luca le sbatte contro. Restano immobili qualche secondo. Ora lei gli carezza le labbra con le dita gialle di sigarette. "Per favore…Non sto bene." Luca sente di piegarsi sulle gambe, con lei giusto lì davanti a lui con le sue labbra tra le mani. Jasmine si distacca da lui piano; si volta lentamente. Ricomincia a camminare, senza fretta. Il freddo inizia a farsi avvertire: il calore accumulatosi nel sangue prende a diradare insieme all’alcool. Luca si tiene la mano libera in tasca, le dita serrate in un pugno. Superato il ponte, sono in piazza XX settembre, quindi in via Indipendenza. Jasmine getta lo sguardo intorno: la strada è deserta. Vicino alle edicole stanno già accatastati i giornali della domenica. Rallenta l’andatura. Luca le si fa quasi accanto: Jasmine sembra non prestarvi attenzione, se non fosse per la birra che lei gli passa a tratti. Luca beve la birra: lei gli sta sempre dinanzi. La segue in silenzio; si conta il rumore sordo dei suoi passi con le dita, per mantenersi sveglio. In breve sono in piazza del Nettuno, poi in piazza Maggiore: il suono secco dei passi si slarga in echi concentrici disposti, monotoni, intorno al gorgogliare della fontana blu di bronzo verdastro. Jasmine allarga in alto gli occhi: la chiesa di San Petronio è come tagliata a tre quarti d’altezza dalla foschia umida che gonfia l’aria lì intorno. Salgono su per via dell’Archiginnasio. Sono in piazza Galvani, poi in via Farini. Di lì girano per piazza Cavour: Jasmine si volta. "Siamo quasi arrivati…Tieni…" Quella gli passa la birra: Luca neanche ci fa caso; prende la birra con la mano che ha tenuto fino a quel momento in tasca e continua a camminare seguendo con lo sguardo i movimenti di Jasmine. Sincronizza i suoi movimenti a quelli di lei per assommare il rumore dei loro passi. In piazza San Domenico Jasmine si arresta. "Siamo arrivati. Luca…Ci sei?"
"…Cos’è?"
"Piazza San Domenico. Vero che è bella?" Si cerca nella tasca il dono dell’algerino. Si trova tra le dita le due palle di scioppa. Entra nella piazza con Luca che le è di fianco. Ha la chiesa davanti. Questa è in stile Gotico, divisa in tre navate e mattonata all’esterno, con un ampio rosone in marmo sulla facciata frontale. Sente che vacilla, si tiene a Luca. La piazza le si apre innanzi, si sviluppa in modo disomogeneo entro uno spazio diviso tra la chiesa nella sua lunghezza di mattoni rossastri e baldacchini neoclassici di cemento con dentro tombe imbrunite, nere. Oltrepassano i baldacchini: la piazza si fa stretta, diventa come un vicolo largo pochi passi, compreso tra la terra sollevatasi intorno alle fondamenta della chiesa, dalla sua mole e tra un’area verde, brulla di argilla grigiastra. Jasmine avverte un odore amarognolo di orina. Fatti neanche dieci passi, il vicolo si allarga in un nuovo spiazzo, che, a differenza dell’altro, sta compreso tra le mura circostanti, prive di finestre. Lo spiazzo si trasforma in un’arena con una mattonata in cinque gradini a fare lo spalto. Quasi al centro spazia un albero di tasso, grandissimo di rami secchi, bianchi, col cielo a svuotarglisi sopra. Jasmine si siede sullo spalto con Luca. Lo guarda. Lo bacia. Vorrei avere il tempo di amarti. Gocciola: il tempo si avvolge in una folata d’aria gelata. Sai, Luca…tra po’ è già Dicembre. Tu cosa farai a Dicembre…Io niente in particolare. Jasmine estrae dalla borsa un fazzoletto; lo apre: dentro ci sono un cucchiaio annerito e una siringa con l’ago sistemato a parte nel suo astuccio in plastica trasparente azzurrina…Perché mi guardi così…Dai, tieni il cucchiaio…Non lo faccio mica sempre…per ricordarci di questo giorno. Basta, beviti la birra…E non stare a fissarmi. Hai capito?…Scusa. Ti amo. Non mi va di farlo da sola…E poi non avrebbe senso…Tu tieni il cucchiaio. Jasmine ci versa dentro le palle di scioppa, ci spreme sopra del limone, poi un po’ d’acqua. Riscalda il tutto con l’accendino, gonfia la siringa del composto. Ormai piove con insistenza. Fa scendere una goccia lungo l’asta dell’ago. Luca beve un ultimo sorso dalla lattina, già coperta di acqua piovana. Sente la birra scivolargli fino dentro alle ossa delle gambe: trema. Jasmine gli tiene il braccio, gli cerca un punto da cui entrare. Metà del liquido si infiltra nel sangue di Luca, che osserva. Jasmine si inietta endovena il liquido che le resta. Conserva in fretta la siringa, si abbraccia a Luca, che sta fermo. Chiude gli occhi. Quando li riapre si trova sul corpo di Luca, che sta steso lungo i gradini dello spalto. Si guarda intorno: la nebbia copre tutto. Cerca Luca con lo sguardo. Lui è immobile nei vestiti inzuppati di pioggia, gli occhi semiaperti. Jasmine lo chiama per nome e non risponde. Lo prende per i capelli, glieli sente tra le mani e glieli tira. È scossa da tremiti, sta come immobile, le braccia non le obbediscono. Raccoltasi sulle gambe, si solleva, si allontana guardandosi intorno. Segue con gli occhi il mattonato della chiesa. Ora sta nello spiazzo grande, inondato di persone bianche in impermeabili e ombrelli. Parte di queste si accalca ordinata in direzione del portale della chiesa di San Domenico; la restante si sperde nella nebbia, verso destra. Jasmine le oltrepassa lentamente, come per non farsi sentire. Va verso la piazza del Tribunale, poi di lì su per via De’ Ruini. Incrocia un cane, poi una ragazza. Il cane torna indietro come per seguirla. Scodinzola col busto, avvicina la testa alla borsa. Jasmine la ritrae, brusca. La ragazza ferma più avanti chiama a sé il cane e quello corre da lei, con Jasmine che resta a guardarli. Poi smuove con lentezza le gambe, si ritrova sui viali. Prende il 33 alla fermata degli autobus. L’automezzo è vuoto dentro, se non fosse una donna con i fiori in mano, che sta in fondo. L’autobus vibra sopra l’asfalto, si smuove. Jasmine si siede nel mezzo, osserva le gocce di pioggia lasciarsi sui vetri. Scende all’altezza di via Saffi. Entra in un palazzo con portone pesante in legno, sale le scale. Apre con le chiavi una porta, si intrufola in un appartamento. Sei tu Jasmine?…Sì sono io. Percorso il corridoio si infila in una stanza non troppo grande. Chiude la porta a chiave, cala le tapparelle. Nel buio si sfila i vestiti bagnati di dosso, cerca di non toccare il suo corpo. Li lascia in terra, è nuda. Si stende sul letto, le braccia strette al corpo. Stira le dita. Trattiene il respiro.
Steady-Cam (III)
Christian Del Monte