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Steady-Cam (II)

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Steady-Cam (II)

4
H. 11.43. Bologna. Sui viali.
"Luca, ehi, mi senti? Questo si è addormentato."
Luca apre gli occhi. "Stavo riflettendo." La testa di Vanni gli incombe addosso. Si smuove dentro le ossa. Avverte un formicolio lungo il braccio destro, incastrato tra la carne e il vinile della Renault. Si scosta e prova a muovere l’arto. Non ci riesce. Se lo tira su con l’altro e lo massaggia. Se lo osserva intinto nella luce gialla dei lampioni urbani. Guarda fuori dal finestrino. "Siamo già a Bologna?" Guarda in avanti. Focalizza lo specchietto retrovisore con dentro gli occhi di Loris che lo puntano con poca espressione. "È mezz’ora che siamo in macchina. Quando vuoi arrivare?" Luca sta sulle sue. "Adesso dove andiamo?"
"Io e Loris avremmo un programma."
"Cosa…"
"Oggi mi hanno risposto quelli dell’ospizio e mi hanno detto che mi danno quel lavoro…te n’ho parlato, no?"
"Non mi ricordo mica."
"Insomma, devo pulire il culo ai vecchi. Nient’altro in più nient’altro in meno."
"Complimenti Loris."
"Beh…e volevamo festeggiare. E avevamo pensato di…Ma non so se sei d’accordo…non sapevamo neanche se venivi…No?"
Vanni annuisce. Si volta verso Loris. "Loris, prima o poi bisogna dirglielo che stiamo andando a puttane. Non credi?"
Luca non capisce bene. Guarda di nuovo dal finestrino. Gli sembra che Loris attenda una risposta. "Guarda che offro io, davvero…il lavoro e allora…" Luca continua a massaggiarsi il braccio. "Allora non vieni?" Adesso Vanni lo fissa ghignando. "Guarda che non glielo diciamo mica alla tua bambina."
"Dio ladro. Allora?…Cazzo." Loris rallenta, sterza brusco e si accosta al marciapiedi, vicino a tre puttane negre. Vanni avvicina la testa a Loris. "Come faranno con questo freddo cane a stare così in mutande…"
Loris supera con lo sguardo il corpo di Vanni, le osserva. "Sono strafatte di coca, te lo dico io. Non se ne accorgono neanche." Vanni abbassa piano il finestrino. Il calore che era nell’auto dirada fumante verso l’esterno.
"Del mio cazzo se ne accorgeranno." Il fiato di Vanni ridisegna lo spazio che lo divide dall’altro. Questo si scosta indietro di scatto. "Ti puzza il fiato di merda…sei tutto di merda."
Una si avvicina alla macchina.
"Quant’è per tutti e tre?"
"Trecento."
"Va bene duecentocinquanta?"
"No."
"OK. Va bene trecento. Prendo te e le altre due."
"No, solo me trecento. Le altre due di più."
Vanni a Loris. "Che facciamo."
"Dio ladro. Non cambia niente. La macchina è una. Mica ci si sta in sei dentro a scopare. Dai, dille che va bene."
"Sei sicuro?"
"Dio boia. Sì, sicuro." Poi, rivolto alla nigeriana: "Dai, sali."
Vanni apre lo sportello, scende in fretta. La fanno sedere dietro. "Cazzo, quanto sei alta?!" Sta di fianco a Luca, che si accartoccia nell’angolo sinistro. Risalito Vanni, Loris riavvia in fretta l’auto. "Come ti chiami?" Vanni la osserva con sufficienza. "Charlotte."
Vanni ghigna. "Che nome da troia. Dai che non è mica vero. Il nome vero dico."
"Io scendo." Loris si inserisce nella corsia di mezzo e accelera. Poi si volta verso Charlotte. "Scusalo, è che è un cazzone. Tu sei Charlotte. Va bene?…Ti va di fumare?…Vanni, a te va di fare un bel cilone?…Dimmi dove dobbiamo andare, Charlotte."
"Dietro la stazione, via dei Carracci, c’è un parcheggio vicino Link."
Vanni estrae il cilone dal cruscotto e lo prepara.
"Cos’è il Link?! Tu lo sai Luca?"
"È un posto dove fanno concerti."
Vanni spacca il cilone. "Ma tipo un centro sociale?"
Ne fa tre di tiri. Lo passa a Charlotte: lei ne fa giusto uno, però profondo. Lo trattiene per qualche istante. Espira. "No. Tipo una discoteca, però più scrausa. Una via di mezzo tra il Vox di Nonantola e il Kinki. Lo dà a Luca. "L’unica cosa è che non costa tanto."
Merda, s’è spento. Luca lo riaccende. Si fissa le mani che ormai navigano nella nebbia. "E dov’è che sta il parcheggio?"
Sorride a Loris, mentre glielo passa. "Vai invia de’Carracci e poi giri al secondo benzinaio; lo trovi subito sulla sinistra. Lo vedi."
Loris gira rapido a destra. Ora sono sopra al ponte della stazione ferroviaria. Lo oltrepassano. Loris svolta a sinistra. Entrano in via de’Carracci.
"Ah, ma qui è divieto d’accesso…Va bene che fa lo stesso."
Luca, che è schiacciato nell’angolo sinistro, sente lo stomaco stringerglisi. "Attento solo all’incrocio…"
Loris non gli risponde.
"Gira qui…Lo vedi il parcheggio?"
"Ho capito dov’è."
Entrano nel posteggio. Si sistemano in un angolo, in fondo. Tra loro e la strada ci sono tre file di macchine coperte di brina di diverso colore. Loris spegne il motore. Lascia giù il freno a mano.
"Scendete…" Loris si volta per osservare Charlotte. Gli occhi gli si incollano contro lo sterno. "Spacco io." Vanni allunga ancora il fiato. "Sempre il solito stronzo" Apre lo sportello. Tira fuori la negra. Loris lega il suo sguardo a quel corpo. "Non tirartela troppo. Sono io che pago…E levati dal culo…" Sceso Luca, Loris è già fuori. Chiude lo sportello dal lato di guida e raggiunge gli altri sull’altro lato.
Charlotte: "I soldi."
Loris: "Tienteli." Le dà tre banconote da cento. Prende la negra con ancora i soldi in mano per il braccio e la introduce dentro la macchina. Luca e Vanni si poggiano sul cofano della macchina dietro. "Non ci metti tanto, vero?" Loris non si volta. La fa stendere, la schiena contro il vinile freddo. Le tiene aperte le cosce, le accarezza la fica. Preso un goldone, quella gli estrae il pene dalla patta e vi applica il preservativo. Loris le si accalca sopra. La negra respira forte. "Fai piano." Loris le stringe tra le mani il culo. "…Hai un culo bellissimo" Il respiro di Loris copre quello di Charlotte. Luca fissa la scena, con Vanni di fianco a tirarsi una sega. Da poco distante si distingue come della musica, in direzione del Link, poco più giù. Vanni si avvicina alla Renault: Luca resta solo contro al cofano. Osserva intento Vanni che si masturba. Cerca di non pensare a niente. Senza che se ne renda conto prova a trovare un varco tra le tre file di macchine che lo separano dalla strada. Vanni, col cazzo in mano, lo chiama per nome. Luca si volta solo quando è ormai fuori del posteggio auto. Non riesce a intravederli. Allunga il passo, dirigendosi verso il Link. Da lontano sembra un grosso deposito. Si confonde tra un gruppo di persone che vanno in quella direzione. Le gambe di Luca si inseguono l’una con l’altra. Comincia ad ansimare. Avverte una fitta alla milza: non rallenta. Gira a destra. Sta dentro a un vicolo che quasi è sterrato tanto l’asfalto è consunto, compreso a destra da una discarica oltre la quale sta il posteggio e a sinistra dalle pareti alte del Link. Si volta a sinistra verso il posteggio e gli sembra di scorgervi lì lontano Loris, stretto nelle macchine. Si sposta a destra, verso la parete del Link, fin quando non la tocca col palmo. Si inerpica su una pedana di cemento. Una ragazza coi capelli maltrattati gli si para innanzi, la urta. "Cazzo fai?!" Passa oltre. Si arresta dinanzi a un ammasso di corpi. Questi convergono in un unico punto, che segna l’ingresso all’interno dell’edificio. Luca prende fiato. Si cerca in tasca i soldi, ritrovandosi soltanto un profilattico vecchio di due estati. Lo riconosce al tatto. In fretta lo getta per terra. Dove cazzo… Li trova. Solo tredici sacchi…Merda. "Quanto costa il biglietto?" Il tipo che lo precede dice di non saperlo. Aspetta. Segue la fila. È ormai sull’ingresso. Arriva alla cassa. "Quanto?"
"Quindici più la tessera."
"La tessera ce l’ho." Tira fuori la tessera.
"Facciamo tredici?…Non ho altro…"
"Aspetta un po’ fuori, poi vedo."
Luca si mette nell’angolo di fianco al buttafuori nero. Aspetta cinque minuti. Si vede passare di fianco jeans con dentro di tutto. Luca li osserva tutti, senza porsi limitazioni sessuali: intravede le forme dei cazzi così come le grandezze di natiche slabbrate appena. Gli sembra che tutto stia per esplodere. Respira piano per non avvertire il freddo scendergli giù per i bronchi e infiammarglieli. Segue il chiacchierio di quella carne in mutande compressa, senza però distinguerne il senso. D’un tratto il negro lo spinge contro la ringhiera. "Fai passare." Se lo vede con la puttana negra tirare su una grande famiglia, di quelle con tanti figli. L’italiano domani. Si sente dannatamente razzista. Sorride guardandosi le mani. Avverte il calore di un corpo premerglisi sul basso ventre e cerca di fissare per terra. Riprova ad entrare.
"Si, dai…Aspetta che ti metto il timbro." Fa tre passi. Un uomo gli si para innanzi. "Fai vedere il timbro…vai." Lo supera. Ormai è dentro al Link. Si osserva intorno. C’è un totale di gente, merda. Si fruga in tasca senza trovarci niente. Ha la gola arsa dal freddo. Magari c’è Roberta… Comincia a girarsi intorno.

Il Link è un locale organizzato su due livelli, divisi in diversi ambienti. Il secondo livello si divide in tre diversi ambienti: il bar, subito dopo l’ingresso principale, con le pareti colore della ruggine, ammobiliato sulla destra con un lungo bancone in strutture di ferro saldate tra loro in vario modo e nello spazio restante da tavolini tondi con qualche sedia ciascuno; la sala blu, per i concerti, in cui si entra da una porta in fondo al bar; la sala bianca, a cui si accede per una entrata di fianco al bancone del bar adibita agli spettacoli teatrali, musica Techno e concerti. Sulla sinistra, di rimpetto al bancone, sta un portone in ferro scrostato di vernice e vetro smerigliato, dietro il quale si stende una rampa di scale che porta al primo livello. Questo si divide in: sala nera, caffè des ignorants, sala XXX. La prima sta subito a sinistra, appena scese le scale, dinanzi alle quali si trova subito un guardaroba intelaiato di tubi innocenti e lamiere. Andando sulla destra ci si ritrova dentro al caffè des ignorants, un ristoro che vende ai suoi tavoli sparsi lì intorno, cibo e birre in lattina. Ancora più in fondo sta l’ultima sala, la XXX, frequentata da negri, oltre che da hippoppari convinti di esserlo, tutti accalcati tra il bancone del bar, sulla sinistra, e una pista da ballo che ha come unico limite lo spazio dedicato ai DJ’s. Riguardo ai cessi, questi stanno un po’ dovunque, a usufrutto di entrambi i livelli. Ciascuna sala ha una diversa programmazione musicale. Capita così, che nelle zone interstiziali, tra un ambiente e un altro, i suoni si sovrappongano, riverberando gli uni sugli altri. Saranno probabilmente le dissonanze che ne derivano a spingere un po’ chiunque giaccia in questi interstizi a vagare a volte anche tutta una notte, tra una zona e un’altra, quasi alla ricerca di un ambiente simbolico più consono, che un suono colto casualmente pareva poter garantire; per restare poi delusi e tornare negli interstizi, ad aspettare ancora.

Luca sta dentro un interstizio, posto a metà strada tra la sala bianca e la sala blu. Coglie un suono. Un automatismo lo trasporta oltre dei pesanti tendaggi in velluto, dentro la sala blu. Sul palco, a quindici metri circa dalle tende stanno quattro persone. Quello alto suona una chitarra elettrica rossa modello wildcat, sembra abbastanza magro. I capelli castani gli coprono gli occhi, ricadendo appena sulla camicia blu da metalmeccanico, aperta, sotto la quale indossa una maglietta rossa. Questa sta fuori dai pantaloni di stoffa in colore nero. A tratti urla qualcosa nel microfono. Luca non si riesce a distinguere cosa quel tipo stia urlando. Una ragazza di fianco a lui prende a sospirare. "Questa è poesia…" Solo in quel mentre Luca si accorge di quanto la sala sia gremita di persone: i maschi fermi a guardare, le femmine a dondolarsi sulle anche. Il tipo alto e magro sul palco si mette a raschiare la tastiera della wildcat contro l’asta del microfono. In quell’istante da dietro emerge una figura alta quasi quanto quel tipo, solo più massiccia: i capelli biondo cenere quasi del tutto rasati, vestito di nero. Indossa un lungo pastrano di lana merinos. Suona il basso a denti stretti, percussivamente, resta immobile al centro. Sulla destra sta un uomo con i capelli castano chiaro, gli occhiali e i baffi alla trevigiana. Governa il computer, performando un liveset ambientale. Indossa una tuta. Quando sembra che tutto stia per precipitare in un caos amorfo, proprio un istante prima il tipo alto e magro urla qualcosa agli altri. Tutto si ferma. Calano le luci. Due secondi e si illumina il solo angolo sinistro del palco. Là sta seduto dietro un pianoforte laccato biancastro un giovane dai lineamenti mitteleuropei, quasi austriaci, che intraprende l’esecuzione di un qualcosa di simile a un delta blues tirolese. Il tipo alto e magro inizia a farfugliarci sopra:

Hai mai provato a sentire dove il sole può morire.
Hai mai percepito la ritmicità dell’onda nella tua ombra.
Stringimi sul tuo ventre
Potrei anche sbranarti nel silenzio

D’un tratto il liveset ambientale si reinserisce col drummin’ elettronico di migliaia di slot-machine, il basso riprende a percuotere e la chitarra…e via discorrendo. Il cantante prende a urlare: "Siete tutti dei pezzi di merda." Scende dal palco, prende delle sedie poste a lato della sala e le scaglia contro il pubblico. Una ragazza colpita cade per terra, resta ferita. Il pubblico applaude. Il tipo alto e magro si ferma. Si avvicina alla ragazza, le sputa addosso. La accarezza tra le gambe. La carica in spalla e la porta con sé dietro le quinte, tra le grida entusiaste degli astanti: "Questa sì che è coerenza." Luca resta inebetito a guardare la scena. Si sente una mano sulla spalla. Ha un sussulto; Dio, grazie…è Roberta. Si volta. "Ciao…" Si ritrova davanti Jasmine. Lei gli sorride.

5

H. 1,06. Bologna. Dentro la sala blu del Link, in via Fioravanti.
Provano a dirsi qualcosa: il frastuono del concerto copre le loro voci. Jasmine si accosta all’orecchio di Luca, quasi glielo sfiora con le labbra. "Usciamo?" Poi va verso i tendaggi. Luca la segue. Quando sono fuori della sala blu, Jasmine si ferma per aspettare Luca, rimasto indietro, incastrato nello sfilare intricato delle persone. In poco quello riesce a raggiungerla. Jasmine allarga la bocca. "Ti va una birra?" Luca annuisce e lei si appressa al bancone del bar, si inerpica coi piedi dentro ai vuoti lasciati dal metallo. Un uomo col naso adunco con sopra occhiali tondi la fissa, di là della catasta in ferraglie. "Mi dai due lattine di birra?"
"Certo. Che birra vuoi? Qui abbiamo la Beck’s in bottiglia e la VonWurstel in lattina."
"Quanto fa la Beck’s?"
"La Beck’s fa cinquemila, la VonWurstel fa duemila."
"Dammi quattro da duemila." La bocca del barista si allarga in un sorriso ebraico. Tira fuori le lattine e le mette sul banco. Jasmine gli mostra una banconota. "Ho cinquantamila. Ce la fai a cambiarli?" L’ebreo prende la banconota da cinquantamila, la butta in un cassetto alle sue spalle, da cui tira fuori il resto. Si volta verso Jasmine. "Tieni" Ha ancora lo stesso sorriso. Jasmine prende il resto, le birre e torna da Luca, rimasto impalato di fianco a un colonnato in cemento armato. Gli passa una lattina. "Grazie." Jasmine è intenta a sistemarsi le lattine nella borsa verdastra a tracolla. "Figurati. Poi bere da sole è un mortorio." Se ne apre una. "Ti va se ci sediamo?" Luca, di rimando: "Qui non c’è posto." Jasmine gira gli occhi in tondo. "Prima stavo giù e un po’ di posti ce n’era. Vieni?" Jasmine va verso la rampa di scale che mette in comunicazione il secondo livello al primo. Luca le sta dietro, gli occhi attaccati al culo della ragazza. Scese le scale, girano a destra, sono nel café des ignorants. Trovano dei divani sulla sinistra dell’ambiente e si sistemano sopra. Di fianco a loro stanno degli algerini raccolti in gruppo, fermi in silenzio, che si guardano intorno con gli occhi rossastri. Luca nota che uno di loro osserva con insistenza Jasmine. Lei fa finta di niente, si guarda un po’ intorno. Si volta verso Luca, sogghigna. "Ma tu non eri pacifista?"
"In che senso?"
"Alla festa mi avevi detto di essere pacifista…forse mi confondo…"
"Non pacifista, ecologista. Sono un ecologista."
"E non è uguale?"
"No. Non c’entra niente."
"Comunque i Die Schwartz Grenze non sono pacifisti, figurarsi se sono ecologisti."
"Chi, scusa?"
"Non li conosci? Sono quelli del concerto. Sono importanti. Poi il cantante è un tipo assurdo."
"Boh, mai sentiti…Magari ho letto il nome…tipo che li pronuncio male."
"Capita anche a me. E comunque sono tedeschi."
"Ma se cantavano in italiano?!"
"Beh, loro hanno pensato che, dato che erano tedeschi e il tedesco non è una lingua internazionale, tanto valeva cantare in due lingue e siccome amano l’arte rinascimentale e sono andati un totale di volte a Bolzano, hanno deciso di cantare in italiano, almeno così ho letto in un’intervista."
"Ma dai…Quelli sono completamente andati."
"E perché, scusa: fanno quello che gli piace e gli danno pure i soldi per farlo. Sono dei grandi. Il fesso sei tu, al massimo, che gli dai anche dei soldi." Jasmine si interrompe. "Ma davvero non li conosci?"
"È che c’è un sacco di gente strana a questo mondo. E, comunque, non sono pacifista. Anzi."
"Anzi cosa?" Jasmine ha un’aria divertita. Ma come ho fatto a non farmelo alla festa…Jasmine prende a ridere. "Allora?…Dai, che magari sei uno di quelli che si vedono i film splatter e sognano di incaprettare una femmina. Non farmi ridere…"
"Beh…a me i film splatter piacciono. A te piaceranno quei froci lì del concerto. A me i film splatter."
"Guarda che i film sono finzione. I Die Schwartz Grenze sono veri e quello che fanno lo fanno fino in fondo."
"Anche i film sono veri…"
"Solo gli snuff movie." Jasmine si ferma. Fa un lungo sorso di birra. "Ma tu lo sai cos’è la sofferenza?…Cosa significa provare dolore?"
"Dipende dal dolore."
"Il dolore è unico. Ed è profondo, ti marchia la carne."
"Secondo me ci sono tanti dolori."
"Cazzate…"
Luca si fa sufficientemente aggressivo. "Quando ti muore tuo padre è diverso da quando ti si sbuccia un ginocchio."
Jasmine gli ghigna contro. "E quando tuo padre ti frusta, non è come se ti morisse?"
"Credo sia diverso…Quando è morto è morto, non ti cinghia mica. E comunque quando ti cinghia al massimo lo odi, certo non ti manca."
"Se sei convinto…" Jasmine fa per alzarsi. Luca la segue con gli occhi. "Se te lo dico…Non dico mica stronzate. Ci credo se te lo dico." Lui si toglie il giaccone di dosso. Resta con una maglia consunta di rosso porpora, che gli copre appena il corpo fino ai fianchi, scarno. "Prendo dell’altra birra. Resta qui, torno subito." Luca la vede allontanarsi, confondersi tra le persone che affollano il café. Des ignorants. Avverte un giramento d testa. Si fa un altro sorso di birra. Sa di piscio, ‘sta merda. Appunta la sua attenzione alle flies girls che si accalcano all’ingresso della sala XXX, in fondo a sinistra. Da qui non si distingue un cazzo. Volge gli occhi dall’altra parte. Intravede una ragazza con i capelli verniciati di uno schiattante rosso. Le si spargono sul volto, scavato nelle ossa. Somiglia un po’ a Roberta. Sta dentro una giacca in pelle da motociclista, verde e a tratti gialla e rossa. I jeans le si stringono intorno alle gambe. Quella che somiglia a Roberta sembra farglisi quasi di fianco, porgergli il suo corpo. "Luca…" Si ritrova di fronte Jasmine, che lo fissa, divertita. "Prendi la birra e bevi." Gli butta addosso le lattine. Lei gli si siede accanto, quasi gli è sopra; esplora il corpo della rossa. "Mica brutta, no? Forse un po’ magrina, non ti sembra?"
"Mi piace sentire le ossa." Luca tira fuori in fila le parole.
"Anche a me piacciono le ossa." Jasmine appunta lo sguardo su Luca. Lui cade in imbarazzo. "Ma quanto costano queste birre? È che non ho soldi…"
"Alla prossima offri tu. È che ho voglia di bere stasera e anche tu hai voglia di bere mi sembra…" Luca le sorride.
"Parlavamo di film…Ti piacerà mica Kustoriza?" Jasmine è come sospesa.
"Bah…A me mica tanto."
"Guarda, su questo siamo d’accordo. Incontri uno e gli dici a me Kusturiza non piace. Quello ti guarda come se gli hai bestemmiato il nonno morto in guerra per difendere un salumificio. No, su questo andiamo d’accordo. Prosit" Jasmine urta la sua lattina contro quella di Luca e la apre. La birra schizza fuori in forma di schiuma, si versa sulla maglia di Luca, sui suoi pantaloni. Jasmine ride, lo scruta nelle pieghe degli abiti. "Scusami, Luca." Quello si osserva. "Sembra che mi sia pisciato addosso." Jasmine ride più forte. L’algerino di prima si rivolta per guardarla. Ci lascia gli occhi sui capelli. "Luca, davvero, scusami." Quello si osserva. Ora tira la linguetta della sua lattina. Fa un sorso e tira a sé Jasmine col braccio sinistro: la tiene per la testa. Le versa tra i capelli la birra. "Sei uno stronzo." Jasmine avverte sotto il suo gomito il pene di Luca, gonfio di alcool. Prova a scostarsi. Luca la tiene ferma. "Non t’incazzerai mica per questo, dai Jasmine, era uno scherzo."
"Dalle tue parti scherzate da idioti." Jasmine si fa brusca. Luca la lascia. "Da me non sanno scherzare, e non è che siamo poi tanti in paese. Sempre tra noi…sai che divertimento. Sono una massa di grezzi. Si ascoltano musica di merda…del resto se ne fregano."
"E tu cosa pensi di essere?" Jasmine è stizzita.
"Buoni solo ad andare a puttane. Io non dico che voglio qualcosa di diverso, però, cazzo…almeno poterci credere! Che secondo te davvero ci credo alla storia delle piante, degli ecologisti o come cazzo si chiamano?…Ma cosa cazzo faccio, almeno mi sforzo…che magari poi qualcosa cambia. Poter dire che ho cambiato qualcosa. Mi basterebbe concretizzare, merda, concretizzare…È che proprio non ci riesco. To’ ti verso in testa un sorso di birra e stai lì ad incazzarti. Quell’altra troia di Roberta. Mi bacia. Ma cosa vuoi che mi cambi se mi baci. Passo un’oretta a pensarci, tanto sto sempre nella stessa merda. Io non ci torno. Giuro che non ci torno. Andiamo a puttane, sì…sì, andate. Io non ci vengo, non ci voglio venire e affanculo. Levatevi davanti al culo." Luca scandisce le parole. "E tu che t’incazzi per un sorso di birra…Fai tanto la fica, so cos’è il dolore e t’incazzi per un sorso di birra?!. Ma levatevi davanti al culo." Fa per alzarsi. Non ci riesce. Jasmine lo mantiene, gli accarezza la testa. "Sì."
"Non ci torno a Monzuno."
"Stai un po’ buono. To’ fatti un sorso…dai, pensa alla mortadella."
"La mortadella? Mi fa schifo la mortadella."
"Anche a me. È che quando stai male tanto vale che stai peggio."
Restano zitti qualche istante. Si baciano. Luca se la sente dentro la bocca con tutto il suo calore, non riesce ad opporvisi. Cerca di respirare, le cerca i fianchi, con Jasmine che quasi gli sta sopra. L’algerino li osserva, fa dei commenti in un francese speziato di cumino. Gli altri che gli stanno intorno lo guardano dubbioso.
"Ti va di fumare?" Jasmine si stacca da Luca. "Sì." Jasmine si guarda intorno. Incrocia lo sguardo dell’algerino. "Fumo?" Jasmine annuisce. "Vieni" L’algerino le fa segno di seguirlo. Jasmine lascia la borsa a Luca, si alza. Gli resta un po’ indietro. Salgono le scale. Sono al secondo livello. Quello entra dentro al cesso, da una porta in fondo. Jasmine si arresta. La gente la ingloba. Pare si allontani. Merda… Entra nel cesso. Trova L’algerino con il fumo in mano: "Quanto?"
"Venti."
"Va bene?" Il trattamento è ottimo. "Vuoi altro?" Jasmine batte sui piedi. "Ce l’hai della scioppa?"
"Quanto? Due palle."
"Cinquanta."
"È buona?"
"Vuoi provare?" Jasmine la sniffa.
"Non possiamo fare meno?"
L’algerino la prende per il braccio destro, le apre la mano, le mette le due bustine di eroina nel palmo. Glielo chiude. Con l’altra mano lento le sbottona i pantaloni. Le parla in francese. Jasmine è di pietra. Quello la bacia sul collo. La fa voltare, le sfila i collant, poi le mutande. Le accarezza il culo, fino ad arrivare alla passera. Infila il dito tra le piccole labbra; prima lo strofina piano, poi sempre più forte. Jasmine tiene sgranati gli occhi. Quello le tira su il maglioncino, le prende con la mano libera il seno sinistro, le spinge il busto contro il lavandino. Jasmine avverte il freddo del gesso contro lo sterno, i seni schiacciati dal suo stesso peso. Poi sente il pene di quello entrarle nella vagina, salirle su, toccarle l’utero. Le fa male. Quello insiste. Lei geme. Tenta di dissuaderlo. "Stai zitta." L’algerino la monta. Jasmine non riesce a pensare a niente. Vomita una, due volte. L’altro ride. Non si ferma. Respira più forte. La prende per i capelli, le tira su la testa. La guarda in volto. Eiacula senza estrarre il pene. Prima di uscire: "Scioppa è un regalo! Te ne regalo ancora se vuoi." Jasmine si tiene le braccia, lo sperma che le gronda dalle gambe, raggrumandosi sui collant. Resta diversi minuti davanti allo specchio: prova a ordinarsi i capelli. Sente bussare. Si tira su le mutande, i collant e pantaloni. Esce. Si sente osservata. Si lascia trasportare dalla fiumana di carne che va verso le scale. Intravede il cantante degli Schwartz Grenze. Questi la guarda. Di merda si vive. Ora è nel cafè des Ignorants. I marocchini sono scomparsi. Luca è sverso sul divano. Ha gli occhi chiusi. Lei gli si fa vicino. Gli si siede accanto. "Ti va di rollare?" Luca non risponde. Jasmine piange in silenzio. Di merda si vive. Si stende di fianco a Luca, un po’ discosta. Cerca di prendere sonno. Non ci riesce. Aspetta. Vede le persone scorrerle a un palmo. Prende a rollarsi una canna. Poi un’altra. Le sembra di stare meglio. Cerca di non pensare a niente. Tanto ti passa. Fumata la prima se ne rolla un’altra. Espira il fumo sulla faccia di Luca. Questi tossisce, non si sveglia. Una ragazza le passa di fianco "Che ore sono?" Quella non sente. La scruta con fare interrogativo. "Sai l’ora?"
"Saranno le quattro." La ragazza si allontana. A Jasmine gira la testa. Si alza per prendere una birra. Va prima al cesso; si sente di dover vomitare. Lascia la porta aperta. Ne esce fuori rapida. Va al banco del café. Prende due lattine di birra. Si volta a osservare Luca sverso tra i divani. Apre una lattina: la sorseggia piano, molto lentamente.


Christian Del Monte

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