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Il ”Codice Estense”

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Il “Codice Estense”.

Quale era la situazione dell’ordinamento giuridico alla fine del XVI° secolo (1500)? Quale fu il contributo dei Duchi Estensi, in questo campo, da quando nel 1598, lasciata la corte di Ferrara1, si stabilirono a Modena2? Sono domande che mi sono posto a pochi giorni dalla conclusione delle rievocazioni storiche della “Settimana Estense” e ogni volta che in questo periodo, sono state presentate iniziative per la celebrazione del quattrocentesimo anniversario di “Modena Capitale“.
Per avere una idea sintetica di cosa si intendesse per “Diritto vigente” nel Rinascimento e nelle epoche successive, fino ai primi anni del XIX° secolo (1800) quando iniziò l’età delle “codificazioni3“, occorre precisare che la tradizione giuridica nel nostro continente è stata caratterizzata storicamente dal Diritto4 Romano, che dopo la caduta dell’impero fu dimenticato per molti secoli. In seguito avvennero due episodi fondamentali e cronologicamente precisamente datati, e cioè l’incoronazione dell’imperatore Carlomagno nella notte di Natale dell’anno 800 D.C., e la fondazione della Università di Bologna (Studium) che si fà risalire all’anno 10886 D.C. , che determinarono un vero e proprio “Rinascimento giuridico” con la riscoperta e l’attuazione del Diritto Romano.
Anche se l’impero di Carlomagno (Sacro e Romano) non durò che pochi decenni, quello che possiamo considerare un primo fenomeno di “Europa Unita” ebbe il merito di creare una unità spirituale fondata su alcuni principi7 comuni che sempre caratterizzeranno in seguito la civiltà occidentale; inoltre si fece largo l’idea che l’impero, con unico regime politico e unica fede dovesse anche avere un unico diritto9.
Solo più tardi però il diritto romano fu pronto per essere impiegato nel medio-evo, quando cioè l’opera interpretativa dei Giuristi Bolognesi permise di considerare un diritto vecchio8 di secoli, come diritto vigente. Iniziò così l’epoca del “Diritto Comune“, età che si protrae, come già accennato, fino agli inizi del 1800. L’ordinamento di ogni territorio, all’inizio nell’ambito dell’impero unitario poi in conseguenza della disgregazione di quest’ultimo in unità sempre più piccole (specie in Italia) a livello di ogni Feudo, Libero Comune, Signoria e infine Stato Nazionale, era, in sostanza, composto da due corpi principali:
-lo Ius10 Commune
– gli Iura Propria di ogni comunità.
In pratica ogni entità più o meno autonoma dall’Impero, nel corso dei secoli, si arrogò la facoltà11 di emanare norme giuridiche che rispondessero alla esigenze specifiche della propria comunità civile.
Ho riassunto così, in poche righe, un complesso fenomeno che si è sviluppato per almeno 6 secoli, in cui assistiamo ad una autentica “esplosione” della quantità di atti12 aventi valore normativo, che si sono via via stratificati, accumulati nel corso del tempo in maniera disordinata, disorganica, spesso contraddittoria.
Tra 1500 e 1600 si affermerà poi lo Stato Nazionale e la lunga “crisi” del “Diritto Comune” si accentuerà. All’antica concezione del diritto come ratio scripta rivelata nel corpus iuris, si sostituisce via via quella della statualità del diritto e del primato della legge positiva13 come manifestazione della volontà di un forte sovrano, controllore di uno stato unito e centralizzato.

Tale stringata premessa, spero comprensibile a tutti, era necessaria per poter capire il fenomeno delle “Consolidazioni“, in cui si iscrive l’atto legislativo, citato nel titolo, che voglio illustrare. Dunque la situazione dell’ordinamento era di grande confusione e il problema più sentito dagli operatori del diritto come dall’opinione pubblica si rivelava quello della “certezza14 del diritto“, la soluzione drastica sarebbe stata quella di modificare radicalmente l’ordinamento rendendo le norme uniche e valide per tutti, senza più prevedere trattamenti giuridici particolari e privilegiati per taluni gruppi sociali, ma la codificazione, di cui ho già accennato poco sopra, sarebbe stata possibile solo nel clima politico, sociale successivo alla Rivoluzione Francese del 1789; perciò dal 1500 al 1700 assistiamo, da parte dei sovrani più intelligenti, ad un’opera di semplice raccolta e riordino del diritto vigente nel territorio dei propri Stati (abbiamo esempi in Francia, Spagna e paesi germanici) e, dal punto di vista che più ci interessa, in Italia, in particolare, abbiamo esempi, in tal senso, negli Stati “regionali” del Regno del Piemonte, Regno di Napoli, Granducato di Toscana, e Ducato di Modena.
Infatti FrancescoIII d’Este , Duca di Modena, sovrano riformatore15 che regnò fra il 1737 e il 1780, si rese conto che occorreva andare nella direzione dell’unificazione16 legislativa.
Anche nel piccolo ordinamento modenese, nella seconda metà del settecento, ritroviamo un quadro delle fonti normative complesso, privo di unità e contraddittorio, caratterizzato da una variopinta “alluvione normativa” costituita dal massiccio corpo dell’antico Diritto Statutario locale (più volte oggetto di riforme e addizzioni) e dalla plurisecolare congerie di gride, ordini, provvisioni e decreti promulgati dai Principi17 Estensi. L’energica opera legislativa del Duca riuscì, in parte, a trionfare su una situazione di drammatica incertezza dovuta alla presenza di vari ordinamenti applicabili alle diverse classi sociali del Ducato (particolarismo giuridico), ed ebbe una importante premessa nel 1755, quando il sovrano pubblicò una ordinata raccolta delle proprie grida e decreti; nel 1759 il programma prevedeva non solo una semplice collezzione delle norme esistenti ma un organico testo normativo che racchiudesse tutto i diritto del ducato. Arenatisi i lavori di una prima “Deputazione” (Commissione), nel 1768 ne fu nominata una seconda, fra i cinque membri della quale spiccavano i nomi del Segretario del Supremo Consiglio di Giustizia (il Tribunale supremo del Ducato) Bartolomeo Valdrighi18, e del criminalista Giuseppe Maria Galafassi. In poco più di due anni i cinque giuristi seppero con sicurezza concludere un soddisfacente progetto legislativo, da cui ebbe origine il “Codice di leggi e costituzioni per gli Stati di S. Altezza Serenissima” (solitamente denominato Codice Estense) che Francesco III promulgò il 26 aprile 1771.
Il testo modenese era sistematicamente ripartito in cinque libri:
I° sulle strutture giudiziarie del ducato e sulla Procedura Civile,
II° sul Diritto Privato,
III° su Materie Feudali e Finanziarie,
IV° sulla Procedura Penale,
V° sul Diritto Penale.
Il materiale normativo, intelligentemente unificato e amalgamato, era stato tratto da un complesso di fonti piuttosto vario: non solo dalla serie di grida ducali già precedentemente raccolte e dalla parte ancor viva del diritto statutario modenese, ma anche dalle stesse Costituzioni Piemontesi19, e da un pregevole saggio in materia Testamentaria che Ludovico Antonio Muratori aveva inserito, nel 1742, nel suo libretto”Dei20 difetti della Giurisprudenza“.
Il Duca si proponeva, così, di raggiungere uniformità e certezza nella amministrazione della Giustizia, e indubbiamente passi in questa direzione furono fatti e i privilegi di certi ceti sociali (come il Clero, che godeva del diritto di essere giudicato da tribunali speciali) furono limitati21, inoltre il quadro delle fonti venne fortemente semplificato dato che le Costituzioni prevedevano che per tutti i casi non espressamente regolati, non si potesse fare più riferimento agli statuti locali delle cittadine interne al ducato, bensì esclusivamente allo Ius Commune (che rimaneva, così, l’espressione per eccellenza di un vecchio sistema di equilibri sociali). Il moderno Codice22 infatti, rappresenta un sistema “chiuso”, per il quale solo altre leggi dello Stato possono intervenire a regolare una materia, e non anche un complesso di norme (come lo Ius Commune) appartenenti ad una tradizione passata, per di più in mano alla (spesso) arbitraria interpretazione della “casta” dei giuristi.
In realtà, nessun ceto più di quello dei giuristi si rivelava miglior alleato dell’assolutismo: esso era disposto ad appoggiare le attribuzioni giuridico-formali del Sovrano, purchè fosse lasciato libero di amministrare ampi settori dell’ordinamento giuridico, essendo, dunque, politicamente più opportuno cominciare a ridurre solo parzialmente la sua sfera di azione piuttosto che tentare la folle e rivoluzionaria impresa di limitarne la funzione ad essere solo agenti di una legge preconfezionata.
Tuttavia, nonostante questi limiti di partenza, le Costituzioni hanno rappresentato pur sempre un cospicuo ed efficiente strumento di riammodernamento nella vita giuridica del ducato modenese, anche se di essa non rinnovavano completamente le strutture. A riprova della loro tenuta, si consideri che Francesco23 IV potè senza difficoltà richiamarle in vigore il 14 agosto 1814, nel clima conservatore della Restaurazione: fu solamente nel 1851, con la promulgazione del Codice civile per gli Stati Estensi da parte di Francesco V, che esse scomparvero definitivamente, vecchio e ormai ingombrante relitto dell’Ancien Régime.
 
Alberto Monari
 
“All’inferno non ci sarà altro
che…DIRITTO…”
Eraclito
 Nell’immagine del titolo:
Frontespizio del secondo volume del Codice  del 1771.
(Modena, Deputazione di Storia Patria)




Il 27 ottobre 1597 moriva in Ferrara il Duca Alfonso II, senza lasciare figli (nonostante un triplice matrimonio). L’eredità passava, per testamento, al cugino Cesare (figlio naturale di uno zio del Duca, in seguito legittimato con il matrimonio dei genitori). Ma quella successione ebbe come conseguenza la perdita del territorio ferrarese da parte degli Estensi, in quanto una precisa clausola del contratto col quale il Papa concedeva il vicariato sulla Città agli Este, limitava la possibilità di essere duchi ai soli discendenti legittimi. Il 29 ottobre Cesare tentò di conservare il dominio facendosi acclamare Duca dai nobili ferraresi, ma il Papa Clemente VII annunciò immediatamente il ritorno della città alla Santa Sede e fece concentrare un esercito di 20000 fanti e 3000 cavalieri a Faenza, minacciando Cesare e quanti lo avessero aiutato anche con le armi “spirituali”. Cesare si vide, ben presto, abbandonato da tutti, prìncipi italiani e stranieri (teoricamente contrari ad ogni estensione dello Stato Pontificio), dal popolo ferrarese che sognava, cambiando padrone, la “luna nel pozzo”, da quei nobili allontanatisi dalla città per paura di una guerra ed anche da alcuni cortigiani pronti al tradimento. Con quale stato d’animo il Duca abbandonasse il 29 gennaio Ferrara, la città resa bella e gloriosa dai suoi avi per oltre tre secoli (“la prima città moderna d’Europa” viene spesso definita dai critici d’arte), possiamo facilmente immaginare.
Cfr. “Modena Capitale” di L.Amorth, BPER; Modena 1998.

2
Il 30 gennaio 1598, il Duca Cesare giunse nella nostra città, la quale rientrava nei domìni della casa d’Este in forza di una investitura imperiale assieme ai territori di Reggio e Carpi. Il nuovo sovrano preferì per motivi politici Modena, che divenne Così, inaspettatamente e fortunatamente, la capitale dello Stato; essa si arricchì dell’Archivio di famiglia, di un Museo, di una Biblioteca (con la famosa quattrocentesca “Bibbia di Borso”) e di metà delle artiglierie, avendo dovuto lasciare al Papa l’altra metà. Modena era allora una città piccola, non certo ricca, dalle vie strette e tortuose, la cui cinta di mura era stata allargata solo alla metà del ‘500 solo per ragioni strategiche, che non vantava i bei palazzi rinascimentali e la reggia di Ferrara, dotata unicamente di un castello con sole finalità militari costruito in disparte nell’area dove attualmente sorge il Palazzo Ducale, mentre nel centro spiccavano i monumenti dell’età medievale come il Duomo. Infatti tra i primi provvedimenti del primo Duca di Modena (che regnerà fino al 1628) vi fu un grande impulso all’edilizia cittadina (restauro delle mura e del fossato intorno, costruzione e ristrutturazione di edifici civili e religiosi, mentre si dovrà attendere il 1630 e il Duca Francesco I per l’inizio della costruzione del Palazzo Ducale).

3
L’idea di CODICE trovò la sua prima completa realizzazione nel 1804 quando Napoleone Buonaparte emanò ilCode Civil, noto appunto come code Napoléon, opera fondamentale come raccolta di norme, organizzata in maniera sistematica, al fine di disciplinare organicamente il diritto civile (definizione quest’ultima valida per ogni tipo di codice) che ispirò la redazione di opere simili in molti paesi dell’Europa continentale in cui si era affermato il Diritto Romano, tra cui il primo codice italiano dopo l’unità, nel 1865; forti influenze dell’opera Napoleonica si possono ancora apprezzare nel Codice Civile Italiano attualmente in vigore, emanato il 21/4/1942. La modernità dell’opera di Portalìs (il nome del celebre principale redattore del Code) si può dedurre dal fatto che, con i dovuti aggiornamenti, il Code Civil è ancora oggi vigente in Francia.

4
Al contrario, nelle Isole Britanniche, a partire dalla prima metà del XI° secolo (1000), si sviluppò l’altra grande esperienza che oggi rappresenta la cultura giuridica di vaste aree del mondo occidentale (in cui è stata trapiantata dalla colonizzazione inglese), ossia la Common Law, ordinamento giurisprudenziale5 che fonderebbe la propria forza regolativa non tanto sulla opera creatrice (e in teoria arbitraria) del giudice, come, in realtà, almeno in parte è ancora oggi, ma su un patrimonio di regole di giustizia ed equità non scritte che troverebbero origine nella notte dei tempi.

5
Cioè creato dalle decisioni dei giudici, che costituiscono precedente “vincolante” per tutti i casi successivi che presentino analogie col caso deciso.

6
Tale data ci è pervenuta dalle ricerche di Giosuè Carducci.

7
Umanesimo cristiano, senso del diritto, vocazione ad una missione di civiltà, concezione unitaria e pluralista dell’organizzazione civile. Adriano Cavanna, Storia dell’Europa e Diritto, Università di Modena, 1992.

8
Ricordiamo che l’Impero Romano d’Occidente cadde nel 476 D.C., e Giustiniano, imperatore d’oriente che regnò tra il 527 e il 565 D.C., realizzò l’opera di raccolta e sistemazione di tutte le leggi del Diritto Romano che prese il nome di Corpus Iuris Civilis. Fu proprio questa imponente opera ad essere riscoperta alla fine de XI° secolo a Bologna (soprattutto nella parte dei 50 libri del Digesto), dove si ritrova tutto, ma proprio tutto, lo scibile legale.
I giuristi si accostarono al testo giustinianeo con la riverenza di chi si trovi di fronte ad un testo “caduto dal cielo”, ad una “bibbia del diritto”. Essi credono fermamente che il legislatore romano lo abbia promulgato per volontà e ispirazione divina, per loro, privi di senso storico e di sapere filologico, quello non è un diritto ma è “il Diritto”, da considerarsi vigente, perchè l’imperatore medievale lo riceve dall’imperatore romano, e deve così governare l’intera cristianità.
Il Corpus è, in realtà, una sterminata raccolta di casi di cui si propone la soluzione giuridica, un testo antichissimo, ricco di contraddizioni, lacune e disorganicità, ma per i medievali è un armonioso complesso di regole infallibili ed eternamente valide. E se lacone ci sono, queste sono nell’interprete, che diviene così il vero protagonista dell’attuazione del diritto.
Egli appronta il Corpus Iuris per il suo presente, in altre parole il testo romano è tecnicamente difficile e non lo si può affidare alla prassi (cioè darlo in mano a Giudici, Notai, Avvocati) pretendendo che esso venga aperto, letto e applicato, allora il giurista lo munisce di un commentario interpretativo che suggerisce anche al più sprovveduto degli operatori, praticamente preconfezionata, la sentenza da pronunciare.
E’ l’interprete che si sostituisce al testo, dando la versione attualizzata della norma antica, attraverso strumenti che cambieranno nel corso dei decenni (prima la Glossa, breve spiegazione di un passo difficile annotata ai margini del testo, poi come Commento, testo interpretativo di accompagnamento).
E’ il fenomeno della Giurisprudenzialità, in cui il giurista interpreta dando quel “Diritto nouvo” di cui la società ha bisogno. Cfr. A.Cavanna, Storia del diritto Moderno in Europa, Giuffrè, Milano 1982.

9
Tale diritto fu appunto il Diritto Romano, che ebbe una formidabile penetrazione in ogni contesto sociale in Europa, in Italia e Paesi germanici come ufficiale diritto imperiale, nelle altre aree fu accolto meno direttamente (la sua diretta accettazione poteva significare atto di sottomissione all’impero) come “consuetudine” o come “ratio scripta” , data la oggettiva superiorità dello Ius Romanorum nell’offrire una soluzione razionale ai problemi della convivenza civile.

10
Quest’ultimo era costituito dal diritto romano del corpus iuris così come reinterpretato dai Giuristi della scuola Bolognese, il cui metodo di studio si diffuse in tutto il continente con la nascita di molti Studii, scuole che impiegavano gli stessi strumenti interpretativi degli Italiani. Tali istituzioni private (nascendo esse da un contratto tra Maesto e Studenti), almeno inizialmente essendo abbastanza rare, richiamavano una moltitudine di studenti da tutti i paesi d’Europa, divenendo delle vere e proprie Universitas Discipulorum, che nel corso dei secoli si arricchirono di altri insegnamenti e diventarono Universitas Studiorum.
E’ necessario accennare all’altra faccia del Diritto Comune oltre al diritto civile, che era il Diritto Canonico, ordinamento prodotto dalla Chiesa Cattolica, diretto a disciplinare gli aspetti spirituali della vita quotidiana.

11
E ciò in base a diverse teorie, che mutarono nel corso del tempo, come quella per cui inizialmente lo stesso imperatore permetteva l’emanazione di questa legislazione particolare; in seguito con l’affermarsi delle monarchie nazionali, furono gli stessi sovrani che affermarono la propria potestà di emanare norme giuridiche, indipendentemente da un Impero sempre più lontano e debole.

12
Oltre ai commenti e interpretazioni del Diritto Romano giustinianeo dei primi grandi giuristi (Irnerio, mitico fondatore della scuola di Bologna, Azzone, Bartolo da Sassoferrato, Baldo degli Ubaldi, Pillio da Medicina che nel 1175 emigrò da Bologna nella vicina Modena per crearvi uno Studium con alcuni studenti in disaccordo con le autorità petroniane, ecc…) si aggiunsero man mano le opinioni dei più grandi giuristi che seguirono, gli Statuti dei Comuni, diversi in ogni città, le Gride, i Proclami, le Consuetudini locali, periodicamente promulgati senza che, spesso, si prevedesse l’abrogazione del precedente atto riguardante lo stesso tema (si ricordi il Dottor Azzeccagarbugli, di manzoniana memoria, impegnato a districarsi in una marea di gride per la difesa del malcapitato Renzo).

13
Cioè emanata, posta (posita) dalle autorità statali.

14
Spesso non si sapeva quale diritto, o quale interpretazione fra più interpretazioni, applicare, così si cercarono diverse soluzioni per raggiungere una maggiore certezza, tra cui si può ricordare l’età della Communis opinio, nella quale (metà del XV°secolo) venivano seguiti i pareri e le opinioni maggiormente condivise dai maggiori giuristi.
Ai giorni nostri, alcuni sono del parere che la situazione di “alluvione normativa” dell’età di cui si parla, sarebbe da paragonare, mutatis mutandis, all’attuale situazione dell’ordinamento italiano, in cui la contemporanea vigenza di almeno 130/140.000 atti normativi (ma il dato non è nemmeno certo) lederebbe fortemente la certezza del diritto.

15
Al passivo dell’attività di Francesco III sta certamente la vendita, da lui effettuata nel 1744, di ben 100 quadri della sua Galleria ad Augusto III, re di Polonia ed elettore di Sassonia. La guerra di successione austriaca aveva recato al Duca gravi difficoltà e soprattutto una situazione finanziaria piuttosto allarmante: la somma di 100.000 zecchini di Venezia, pattuita fra le parti, fu una tentazione troppo solleticante per lui. Da Modena passarono a Dresda, in seguito a questa operazione, opere del Correggio, Tiziano, Veronese, Tintoretto, Dossi, Parmigianino, Andrea del Sarto, Velasquez, Rubens e molte altre.

16
Per appunto “Consolidare” il diritto esistente in una forma quanto più possibile organica e certa.

17
Una scorsa al Gridario Modenese che in sette volumi colleziona i più vari provvedimenti ducali dal 1500 al 1777, può dare una idea del problematico spessore di questo diritto Principesco. Cfr. Adriano Cavanna, Storia del Diritto moderno in Europa, Giuffrè Milano, 1982, pag. 287 ss.

18
(1739-1787), professore di Diritto Pubblico nell’Università di Modena e principale ispiratore e autore della compilazione Estense.

19
Qualche decennio prima di Modena, era già stato compiuto, in un altro “Stato” “regionale” italiano, un primo esperimento di “Consolidazione“. Vittorio Amedeo II di Savoia, Re di Piemonte e Sardegna, aveva emanato nel 1723 le Leggi e Costituzioni di S.M. il Re di Sardegna , raccolta poderosa di leggi proprie e dei suoi predecessori, che aveva suscitato ammirazione e consensi in Europa, tanto da essere presa ad esempio a Modena (come si evince, anche, dalla intitolazione simile).

20
L.A.Muratori (Vignola 1672-Modena 1750), sacerdote, letterato, storico, e, come laureato in utroque iure (diritto civile e canonico), anche esperto dei problemi giuridici del suo tempo, espresse in tale breve opera tutte le critiche alla condizione dell’ordinamento giuridico della prima metà del ‘700.21

21
Grazie anche alla parallela politica “giurisdizionalista” (diretta a riaffermare il potere pubblico sulla Chiesa). Il Duca limitò il più possibile l’autonomia dei Tribunali ecclesiastici, fece pagare i tributi agli enti religiosi, abolì molti enti e parrocchie (tra cui la stessa S. Maria della Pomposa dove fu parroco negli ultimi anni della sua vita L.A.Muratori), cercò di laicizzare le scuole e l’Università.

22
La conclusione è che impropriamente le Costituzioni vengono denominate “Codice Estense”, in quanto di un moderno codice non hanno le caratteristiche.

23
Nel 1780 a Francesco III successe il figlio Ercole III che regnò fino al 1796 quando, all’arrivo di Napoleone, dovette fuggire da Modena e riparare nel territorio del Lombardo-Veneto. L’unica figlia legittima del Duca, Maria Beatrice Ricciarda, sposò nel 1771 Ferdinando d’Asburgo Lorena, figlio di Maria Teresa imperatrice d’Austria. Dal matrimonio nacque il futuro duca Francesco IV d’Austria-Este che potè far ritorno a Modena dopo l’epopea napoleonica nel 1814, e regnare fino al 1846.

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