Per avere una idea sintetica di cosa si intendesse per “Diritto vigente” nel Rinascimento e nelle epoche successive, fino ai primi anni del XIX° secolo (1800) quando iniziò l’età delle “codificazioni3“, occorre precisare che la tradizione giuridica nel nostro continente è stata caratterizzata storicamente dal Diritto4 Romano, che dopo la caduta dell’impero fu dimenticato per molti secoli. In seguito avvennero due episodi fondamentali e cronologicamente precisamente datati, e cioè l’incoronazione dell’imperatore Carlomagno nella notte di Natale dell’anno 800 D.C., e la fondazione della Università di Bologna (Studium) che si fà risalire all’anno 10886 D.C. , che determinarono un vero e proprio “Rinascimento giuridico” con la riscoperta e l’attuazione del Diritto Romano.
Anche se l’impero di Carlomagno (Sacro e Romano) non durò che pochi decenni, quello che possiamo considerare un primo fenomeno di “Europa Unita” ebbe il merito di creare una unità spirituale fondata su alcuni principi7 comuni che sempre caratterizzeranno in seguito la civiltà occidentale; inoltre si fece largo l’idea che l’impero, con unico regime politico e unica fede dovesse anche avere un unico diritto9.
Solo più tardi però il diritto romano fu pronto per essere impiegato nel medio-evo, quando cioè l’opera interpretativa dei Giuristi Bolognesi permise di considerare un diritto vecchio8 di secoli, come diritto vigente. Iniziò così l’epoca del “Diritto Comune“, età che si protrae, come già accennato, fino agli inizi del 1800. L’ordinamento di ogni territorio, all’inizio nell’ambito dell’impero unitario poi in conseguenza della disgregazione di quest’ultimo in unità sempre più piccole (specie in Italia) a livello di ogni Feudo, Libero Comune, Signoria e infine Stato Nazionale, era, in sostanza, composto da due corpi principali:
-lo Ius10 Commune
– gli Iura Propria di ogni comunità.
In pratica ogni entità più o meno autonoma dall’Impero, nel corso dei secoli, si arrogò la facoltà11 di emanare norme giuridiche che rispondessero alla esigenze specifiche della propria comunità civile.
Ho riassunto così, in poche righe, un complesso fenomeno che si è sviluppato per almeno 6 secoli, in cui assistiamo ad una autentica “esplosione” della quantità di atti12 aventi valore normativo, che si sono via via stratificati, accumulati nel corso del tempo in maniera disordinata, disorganica, spesso contraddittoria.
Tra 1500 e 1600 si affermerà poi lo Stato Nazionale e la lunga “crisi” del “Diritto Comune” si accentuerà. All’antica concezione del diritto come ratio scripta rivelata nel corpus iuris, si sostituisce via via quella della statualità del diritto e del primato della legge positiva13 come manifestazione della volontà di un forte sovrano, controllore di uno stato unito e centralizzato.
Tale stringata premessa, spero comprensibile a tutti, era necessaria per poter capire il fenomeno delle “Consolidazioni“, in cui si iscrive l’atto legislativo, citato nel titolo, che voglio illustrare. Dunque la situazione dell’ordinamento era di grande confusione e il problema più sentito dagli operatori del diritto come dall’opinione pubblica si rivelava quello della “certezza14 del diritto“, la soluzione drastica sarebbe stata quella di modificare radicalmente l’ordinamento rendendo le norme uniche e valide per tutti, senza più prevedere trattamenti giuridici particolari e privilegiati per taluni gruppi sociali, ma la codificazione, di cui ho già accennato poco sopra, sarebbe stata possibile solo nel clima politico, sociale successivo alla Rivoluzione Francese del 1789; perciò dal 1500 al 1700 assistiamo, da parte dei sovrani più intelligenti, ad un’opera di semplice raccolta e riordino del diritto vigente nel territorio dei propri Stati (abbiamo esempi in Francia, Spagna e paesi germanici) e, dal punto di vista che più ci interessa, in Italia, in particolare, abbiamo esempi, in tal senso, negli Stati “regionali” del Regno del Piemonte, Regno di Napoli, Granducato di Toscana, e Ducato di Modena.
Infatti FrancescoIII d’Este , Duca di Modena, sovrano riformatore15 che regnò fra il 1737 e il 1780, si rese conto che occorreva andare nella direzione dell’unificazione16 legislativa.
Anche nel piccolo ordinamento modenese, nella seconda metà del settecento, ritroviamo un quadro delle fonti normative complesso, privo di unità e contraddittorio, caratterizzato da una variopinta “alluvione normativa” costituita dal massiccio corpo dell’antico Diritto Statutario locale (più volte oggetto di riforme e addizzioni) e dalla plurisecolare congerie di gride, ordini, provvisioni e decreti promulgati dai Principi17 Estensi. L’energica opera legislativa del Duca riuscì, in parte, a trionfare su una situazione di drammatica incertezza dovuta alla presenza di vari ordinamenti applicabili alle diverse classi sociali del Ducato (particolarismo giuridico), ed ebbe una importante premessa nel 1755, quando il sovrano pubblicò una ordinata raccolta delle proprie grida e decreti; nel 1759 il programma prevedeva non solo una semplice collezzione delle norme esistenti ma un organico testo normativo che racchiudesse tutto i diritto del ducato. Arenatisi i lavori di una prima “Deputazione” (Commissione), nel 1768 ne fu nominata una seconda, fra i cinque membri della quale spiccavano i nomi del Segretario del Supremo Consiglio di Giustizia (il Tribunale supremo del Ducato) Bartolomeo Valdrighi18, e del criminalista Giuseppe Maria Galafassi. In poco più di due anni i cinque giuristi seppero con sicurezza concludere un soddisfacente progetto legislativo, da cui ebbe origine il “Codice di leggi e costituzioni per gli Stati di S. Altezza Serenissima” (solitamente denominato Codice Estense) che Francesco III promulgò il 26 aprile 1771.
Il testo modenese era sistematicamente ripartito in cinque libri:
II° sul Diritto Privato,
III° su Materie Feudali e Finanziarie,
IV° sulla Procedura Penale,
V° sul Diritto Penale.
Il Duca si proponeva, così, di raggiungere uniformità e certezza nella amministrazione della Giustizia, e indubbiamente passi in questa direzione furono fatti e i privilegi di certi ceti sociali (come il Clero, che godeva del diritto di essere giudicato da tribunali speciali) furono limitati21, inoltre il quadro delle fonti venne fortemente semplificato dato che le Costituzioni prevedevano che per tutti i casi non espressamente regolati, non si potesse fare più riferimento agli statuti locali delle cittadine interne al ducato, bensì esclusivamente allo Ius Commune (che rimaneva, così, l’espressione per eccellenza di un vecchio sistema di equilibri sociali). Il moderno Codice22 infatti, rappresenta un sistema “chiuso”, per il quale solo altre leggi dello Stato possono intervenire a regolare una materia, e non anche un complesso di norme (come lo Ius Commune) appartenenti ad una tradizione passata, per di più in mano alla (spesso) arbitraria interpretazione della “casta” dei giuristi.
In realtà, nessun ceto più di quello dei giuristi si rivelava miglior alleato dell’assolutismo: esso era disposto ad appoggiare le attribuzioni giuridico-formali del Sovrano, purchè fosse lasciato libero di amministrare ampi settori dell’ordinamento giuridico, essendo, dunque, politicamente più opportuno cominciare a ridurre solo parzialmente la sua sfera di azione piuttosto che tentare la folle e rivoluzionaria impresa di limitarne la funzione ad essere solo agenti di una legge preconfezionata.
Tuttavia, nonostante questi limiti di partenza, le Costituzioni hanno rappresentato pur sempre un cospicuo ed efficiente strumento di riammodernamento nella vita giuridica del ducato modenese, anche se di essa non rinnovavano completamente le strutture. A riprova della loro tenuta, si consideri che Francesco23 IV potè senza difficoltà richiamarle in vigore il 14 agosto 1814, nel clima conservatore della Restaurazione: fu solamente nel 1851, con la promulgazione del Codice civile per gli Stati Estensi da parte di Francesco V, che esse scomparvero definitivamente, vecchio e ormai ingombrante relitto dell’Ancien Régime.
che…DIRITTO…”
Eraclito
Frontespizio del secondo volume del Codice del 1771.
(Modena, Deputazione di Storia Patria)
Cfr. “Modena Capitale” di L.Amorth, BPER; Modena 1998.
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I giuristi si accostarono al testo giustinianeo con la riverenza di chi si trovi di fronte ad un testo “caduto dal cielo”, ad una “bibbia del diritto”. Essi credono fermamente che il legislatore romano lo abbia promulgato per volontà e ispirazione divina, per loro, privi di senso storico e di sapere filologico, quello non è un diritto ma è “il Diritto”, da considerarsi vigente, perchè l’imperatore medievale lo riceve dall’imperatore romano, e deve così governare l’intera cristianità.
Il Corpus è, in realtà, una sterminata raccolta di casi di cui si propone la soluzione giuridica, un testo antichissimo, ricco di contraddizioni, lacune e disorganicità, ma per i medievali è un armonioso complesso di regole infallibili ed eternamente valide. E se lacone ci sono, queste sono nell’interprete, che diviene così il vero protagonista dell’attuazione del diritto.
Egli appronta il Corpus Iuris per il suo presente, in altre parole il testo romano è tecnicamente difficile e non lo si può affidare alla prassi (cioè darlo in mano a Giudici, Notai, Avvocati) pretendendo che esso venga aperto, letto e applicato, allora il giurista lo munisce di un commentario interpretativo che suggerisce anche al più sprovveduto degli operatori, praticamente preconfezionata, la sentenza da pronunciare.
E’ l’interprete che si sostituisce al testo, dando la versione attualizzata della norma antica, attraverso strumenti che cambieranno nel corso dei decenni (prima la Glossa, breve spiegazione di un passo difficile annotata ai margini del testo, poi come Commento, testo interpretativo di accompagnamento).
E’ il fenomeno della Giurisprudenzialità, in cui il giurista interpreta dando quel “Diritto nouvo” di cui la società ha bisogno. Cfr. A.Cavanna, Storia del diritto Moderno in Europa, Giuffrè, Milano 1982.
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E’ necessario accennare all’altra faccia del Diritto Comune oltre al diritto civile, che era il Diritto Canonico, ordinamento prodotto dalla Chiesa Cattolica, diretto a disciplinare gli aspetti spirituali della vita quotidiana.
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Ai giorni nostri, alcuni sono del parere che la situazione di “alluvione normativa” dell’età di cui si parla, sarebbe da paragonare, mutatis mutandis, all’attuale situazione dell’ordinamento italiano, in cui la contemporanea vigenza di almeno 130/140.000 atti normativi (ma il dato non è nemmeno certo) lederebbe fortemente la certezza del diritto.
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