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La ragazza che dipingeva il mondo

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La ragazza che dipingeva il mondo

Sollevò gli occhi al cielo e rimase a pensare un po’. Finalmente, quando lo sguardo si abbassò nuovamente sul bianco, le dita iniziarono a rovistare nei suoi sentimenti.
Iniziò spargendo emozioni su e giù, ancora ed ancora fino a che, lentamente, il suo mondo prese un colore uniforme. Raccolse un’altra matita e incrociò i segni, prima in un senso poi nell’altro e, ancora una volta, tutto cambiò tonalità, riscaldandosi di tinte intense che digradavano verso la periferia del rettangolo.
Le sue finestre potevano essere tante: il selciato di una piazza, la trama di una tela, il cristallo di una vetrina, un semplice cartone di recupero. Ma non importava su cosa spargeva la sua anima, l’importante era che trasmetteva qualcosa che la gente riusciva a percepire.
Era facile, bastava ascoltare ciò che cresceva dentro e raffigurarlo; senza spiegazioni, senza significati artificiosi, semplicemente facendolo. Era divertente, certe persone parlavano di quello che creava come se fosse stato frutto di tecniche e di sofferte esternazioni, ma cosa valeva la parola?
Cosa importava utilizzare un mezzo così impreciso? Si può forse capire qualcosa quando si udiva nominare la parola amore? No, era del tutto superficiale.
La parola doveva perdere il suo senso letterario per poter esprimere più facilmente un concetto; era il quark del linguaggio, la particella indivisibile ma insufficiente per spiegare i complessi fenomeni quotidiani: era un limite.
Doveva intervenire la combinazione delle parole per rivelare le sfumature e, quante più sfumature verbali si mettevano quanto più complesso diveniva esprimerle e farle capire.
Le sue creazioni erano invece immediate, arrivavano alla mente ed al cuore in un unico momento, non disperdendo energia ma conservando tutta la loro potenza comunicativa.
Chissà, forse se fosse stata cieca, avrebbe creato delle sculture, se fosse stata senza mani avrebbe usato la bocca, ma non avrebbe rinunciato al suo mondo.
L’incidente le aveva deturpato la pelle ma le aveva regalato una consapevolezza rara: il suo smisurato talento artistico. L’orribile cicatrice che le attraversava il collo le aveva rubato la voce ma l’aveva obbligata a scandagliare le sue possibilità; il dolore dei suoi genitori non era controbilanciato dall’estro nato dal caso, ma per lei era acqua passata, era nebbia nella notte.
Se l’aurora divide le ombre del buio donando calore e luce alla materia, facendo fiorire un’insieme di rifrazioni che di per sé non avrebbero senso, se illuminando un pesce che vive nelle tenebre scopriamo che si veste di brillanti colori, dobbiamo riconoscere che c’è una ragione nello stupire per comunicare, colpire al cuore per far capire. Poco importa il mezzo, l’importante è farlo.
Quando il suo sorriso s’increspò nello sfregio perenne, la sua anima rise delle restrizioni del corpo e, abbassando le ciglia sottili, lasciò che la mano tracciasse le sue nuove emozioni sul foglio.

Luciano Bevini

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