Lo sapevo che non mi dovevo fidare!
Quando ho visto i provini di "Lulù On The Bridge" già sospettavo di trovarmi di fronte all’ennesima commedia romantica, tipica di tutti i film americani che escono in questo periodo.
Ma no, mi sono detto, in fondo il film è di Paul Auster, lo stesso scrittore di "Smoke" e "Blue In The Face", uno che le storie le sa raccontare, teneri spaccati di vita quotidiana, in cui anche un piccolo luogo con i suoi personaggi può diventare il centro del mondo. E in fondo, anche se si cimenta per la prima volta come regista, gli si può perdonare l’inquadratura non proprio perfetta, o la fotografia un po’ scontata. In fondo noi vogliamo vedere i suoi racconti.
E poi la partecipazione al Festival di Cannes dell’anno scorso e la presenza di attori come Harvey Keitel, Mira Sorvino1 e Willem Dafoe dovrebbero essere una garanzia sulla qualità della pellicola (anche se in cuor mio ho imparato a diffidare dei grandi cast, visto le frequenti fregature che mi hanno dato). Stavolta, poi, fatto assolutamente miracoloso, sono riuscito a convincere senza tanta fatica anche gli amici ad accompagnarmi2, nonostante la scomodità del cinema, il caldo all’interno e le altre mille scusanti che di solito sono costretto a sorbirmi per giustificare un rifiuto. Devo dire, in questo caso, che le locandine all’esterno mi hanno dato una grossa mano, locandine che ritraevano, naturalmente, scene che non saranno poi presenti nel film.
La storia inizia in un locale dove si sta preparando a suonare un gruppo capitanato da Izzy (Harvey Keitel), un sassofonista di culto nell’ambiente Jazz. Ad un certo punto del concerto, entra uno squilibrato con una pistola in mano che comincia a sparare all’impazzata, naturalmente ferendo il nostro musicista.
Trasporto all’ospedale, operazione delicata, e salvataggio miracoloso……ma, il sassofonista è stato colpito ad un polmone e non potrà più suonare per tutta la vita. Crisi d’identità, non più tanti scopi per vivere e tentativo di riallacciare vecchi rapporti, con la ex moglie ed il suo attuale compagno e un’amica della coppia, una regista in cerca di un’attrice che interpreti il ruolo di Lulù nel suo nuovo film, un remake de "Il Vaso di Pandora" di Pabst. E fin qui tutto bene, ci può stare come inizio, non una gran botta di originalità, ma che lascia molte prospettive aperte.
Izzy rientrando a casa una sera, inciampa per strada in un uomo morto, ucciso da un colpo di proiettile in fronte, e vicino a lui trova una borsa che contiene un pacchetto e un numero di telefono.
Lui si porta a casa la borsa, evitando di segnalare il morto, apre il pacchetto (in realtà una serie di pacchetti che si contengono a vicenda) e vi scopre all’interno una pietra.
Ma qui cominciano le prime perplessità sulla pellicola: la pietra, al buio si illumina di un colore bluastro e si solleva!
L’ex sassofonista, sconvolto, cerca qualcosa per darsi una spiegazione, e pensa di telefonare al numero allegato al pacchetto. E finalmente entra in scena Mira Sorvino (Celia), che naturalmente non sa niente, ma che conosce invece Izzy per la sua fama di musicista. Si incontrano, ed insieme assistono all’eccezionale fenomeno. Poi toccando la pietra, in una sorta di trip new age, si innamorano.
Lei è naturalmente una giovane attrice attualmente cameriera, in cerca di una chance per sfondare.
Izzy contatta la regista amica della ex moglie, Celia fa il provino e incredibilmente viene scelta !!!
Si parte per l’Irlanda, dove si gira il film, ma Izzy pensa di raggiungere la sua amata qualche giorno dopo, donandole però la pietra in segno di unione.
Ed arrivano i legittimi proprietari del misterioso oggetto a rapire Izzy, e forse finalmente daranno una spiegazione plausibile o anche non plausibile alla serie di eventi. Invece no, non si sa chi sono, da dove vengano, perché rivogliono la pietra e a cosa serve (per ora l’oggetto si limita ad illuminarsi e a sprigionare una fantomatica sensazione di benessere). Però, in compenso sanno tutto di lui, cosa gli è successo e addirittura episodi sconosciutissimi a tutti della sua infanzia. Insinuano anche comportamenti non proprio puliti dell’ex musicista, una qualche colpa passata che Izzy collega, in una sorte di punizione espiatoria, agli eventi che lo hanno menomato.
Lui nega di avere avuto la pietra, nega di conoscere Celia per salvarla, ma la fantomatica organizzazione scopre il coinvolgimento della ragazza e la raggiunge in Irlanda. Lui riesce a fuggire dalla sua prigionia…..ma è troppo tardi. Celia (la Lulù del film che deve interpretare) per non farsi prendere con la pietra si getta da un ponte, e di lei, così come dell’oggetto, non si sa più niente.
Finito il film? Non può essere in una maniera così banale e interrogatoria.
C’è il colpo di scena finale, che a questo punto non so se sadicamente tacere, apparentemente per farvi una cortesia, ma in realtà per costringervi a subire anche voi questa tortura di film, o rivelarvi, liberandovi dal dubbio che dissiperà ogni intenzione di visionare la pellicola.
Ok, è troppo brutto per tacerlo: tutta la storia è in realtà un sogno, che Izzy immagina nel delirio della sua agonia, riverso sul pavimento del locale dove gli hanno appena sparato. E non sopravviverà nemmeno: la sua vita cesserà nell’ambulanza che corre disperata verso l’ospedale, nel momento in cui, naturalmente, incrocia lo sguardo di Celia che passeggia a piedi ignorando chi sia lo sfortunato moribondo del veicolo.
Quindi, se volete farvi un favore, non andate a vedere questo film; se proprio volete vederlo, non coinvolgete nessuno, se ci tenete a mantenere un briciolo di credibilità quando la prossima volta proporrete ai vostri amici o fidanzati di seguirvi in una sala. Cosa che personalmente ho perso, e mi condannerà alla solitudine cinematografica per parecchio tempo.
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LULÙ ON THE BRIDGE
Andrea Leonardi
Oscar per la parte della prostituta dalla voce scema in La dea dell’amore di Woody Allen.
Spesso non è un buon segno…