Il Malestrom continuava a chiamarmi, ed il desiderio di spiccare il salto diventava sempre più un’esigenza ma il gesto si sarebbe compiuto solo con la certezza di non tornare indietro. Anche perché adesso che non vi era più nulla, niente, non avrei trovato nemmeno un pezzo di legno a cui aggrapparmi.
La mia angoscia stava salendo con la marea e ne percepivo chiaramente dei segni fisici che la identificavano.>>
Quel giorno Fosbury non si uccise, e nemmeno nei giorni che vennero. Passava il tempo a ripensare alle cose fatte e non fatte, alla gente, alla sua vita ed alla vita della gente con i pensieri che andavano a mischiarsi direttamente con la schiuma delle onde.
Dopo un numero indescrivibile di albe e di tramonti si rialzò, mise le sue cose in un vecchio zaino ed andò via. Allontanandosi vedeva lo zaino sul bordo della scogliera diventare sempre più piccolo. Camminava da giorni e continuava ad attraversare posti, città, campagne e colline, ma era sempre la stessa cosa: stava percorrendo un unico, infinito deserto.
Dopo un inizio indescrivibile, Fosbury aveva dedicato l’intera vita ad occuparsi di un unico problema: per cinquanta lunghissimi anni aveva speso tutte le sue energie a cercare un’unica soluzione. E mai un dubbio, mai una flessione.
Aveva attraversato innumerevoli luoghi, aveva conosciuto saggi, santi, eretici e mistici. Uomini che erano morti per la fede, uomini che si erano annullati in nome di un Dio.
Era stato per anni in India, aveva studiato sugli antichi testi sanscriti ed aveva cercato indizi fra le pergamene dei monasteri buddisti.
Aveva letto e riletto i volumi dei filosofi del medioevo e le fantasie pornografiche dei contemporanei; lui era forse l’unico, profondo, conoscitore allora vivente.
E più passava il tempo, più conosceva più diventava di un materialismo e di una superiorità incontrastabili tanto che alcuni momenti sentiva che ciò che sapeva era incomunicabile anche a sé stesso.
– Un miracolo! Uno stramaledetto, fottutissimo miracolo! – disse Fosbury urlando alla luna. Erano passate alcune stagioni e tutto andava precipitando mentre la sua angoscia era sempre più incontrollata e lui era completamente solo; ora stava svanendo piano piano anche il resto della realtà e se fosse stato meno materialista si sarebbe convinto di essere finito direttamente all’inferno.
Tutti gli studi, tutte le più sottili deduzioni che aveva escogitato, lo avevano sempre condotto ad un’unica ipotesi: l’esistenza di quell’entità superiore cui lui aveva dedicato tutto la vita per dimostrarne la futilità e l’inesistenza.
Le parole gli rimbombavano ancora nella mente, ed aumentavano la totale solitudine dentro cui si stava muovendo.
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Parole che gli erano arrivate da dentro, la dimostrazione, l’unica dimostrazione in cui si sia mai veramente imbattuto: la dimostrazione del suo fallimento, il suo certificato di morte.
All’inizio non era cambiato quasi nulla, ed aveva continuato la sua vita come sempre ma poi piano piano tutto quel che rappresentava un simbolo per l’umanità era scomparso.
Scomparvero per prime le religioni. Di fatto e dalla mente degli uomini, anche i più ancestrali ricordi di preghiera se ne andarono. Quell’anno i calendari furono pubblicati senza onomastici e più nessuno ricordava il proprio nome, poi scomparvero i linguaggi, la gente non parlava più perché non aveva più nulla da dirsi. E poi scomparse anche la gente.
Fosbury vide dissolversi gli animali e con loro le foreste e l’erba mentre delle città rimasero solo i monumenti sconosciuti ed i viali mai percorsi. Scomparvero le puttane ed i loro lampioni, il denaro, le automobili. Scomparvero i popoli oppressi ed i loro oppressori: restava solo Fosbury, solo, in un deserto che si stava lacerando.
L’unica cosa che era rimasta era il mare, lui ed il ricordo di quelle parole e tutto ciò che rimaneva del resto era trasparente ed impalpabile.
Con la scomparsa dei libri Fosbury cominciò a dubitare anche della sua stessa memoria e delle sue conoscenze. Non vi era più nulla di certo perché se ne sparivano via via tutti i punti di riferimento: erano mesi che Fosbury vagava, e la sua vecchia bussola sembrava una pietra.
Fu il giorno che il tempo morì con l’ultimo tramonto che si rimise a pensare.
Pensò a sé ed a ciò che era successo, che per quanto incredibile era comunque la realtà.
– La realtà é che la realtà non esiste più! – urlò singhiozzando in mezzo ad una landa desolata.
Passarono molti altri giorni e Fosbury continuò a vagare in uno spazio senza più dimensioni; nessun punto era diverso da un altro, ed egli era virtualmente fermo al centro del nulla. Il cielo da qualche tempo (si può ancora parlare di tempo ?) era di un colore uniforme ed in particolare notò che era esattamente dello stesso colore della terra; questo effetto fece sì che scomparisse anche la linea dell’orizzonte. Poi scomparvero i suoni, e Fosbury se ne accorse perché non si sentiva più urlare durante i suoi momenti di massima disperazione e adesso non sentiva più nemmeno le lacrime scorrergli sul volto.
Ci fu un attimo in cui si sentì più sollevato dal peso dell’angoscia opprimente: anche la sua consistenza se ne stava andando; era ormai parecchio che non pensava più a ciò che era stato, e non era nemmeno tanto sicuro.
Mentre l’intero universo si stava dissolvendo non poté fare a meno di notare che le uniche cose che non svanivano erano le sue percezioni. Le sensazioni allo stato puro erano l’unica realtà che gli rimaneva ed a cui si aggrappava totalmente.
Trascorse un’eternità che non fu misurata da nulla e da nessuno, prima che cominciasse a rendersi conto seppure Fosbury non si accorse di queste eternità perché non c’era più tempo da misurare, e nessun cambiamento poteva essere registrato perché non c’erano ne cambiamenti, ne realtà, né qualcuno che se ne potesse accorgere.
Al centro di questo infinito, Fosbury si rese conto ed esplose in una enorme risata, isterica e di compatimento insieme, divertita, completa, come di un dio che rida di sé stesso.
Si sedette sul bordo del nulla e ricominciò ad inventare nuovi mondi.
Enrico Miglino
Fosbury
< Adesso che non avevo più niente da fare né da perdere, me ne stavo da giorni appollaiato sulla punta più alta, sempre più attratto dalla voragine là sotto che mi stava aspettando.>