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La forza delle idee

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La forza delle idee

Spesso è proprio grazie al caso che si fanno le scoperte più interessanti. In una oscura serata di inizio primavera, la RAI manda in terza serata questo "Johnny 100 pesos" che videoregistro prudentemente attratto dalla partecipazione ad un recente Mystfest1. L’inizio del film, visto qualche giorno dopo, è interlocutorio. Ad una qualità delle immagini da film televisivo e ad un doppiaggio infame si abbina invece una scena curiosa: un ragazzo di bell’aspetto seduto in fonda ad uno sgangherato autobus lascia inavvertitamente partire un colpo dalla pistola che custodisce dentro ad uno zainetto e poi scappa davanti alle perplessità dell’autista. Seguiamo lo stesso ragazzo fino ad uno strano videoclub all’ottavo piano di un grande palazzo del centro, un videoclub dove poco velatamente si riciclano pesos e dollari. Il ragazzo è in apprensione, finge di scorrere le videocassette mentre porge gli occhi e le orecchie a quello che succede nell’appartamento. Nel frattempo ("nel qual mentre" mi pare un po’ esagerato) quattro loschi figuri (e scrivi come mangi!) vanno decisi verso lo stesso videoclub. Le intenzioni dei cinque si svelano ben presto e sono quelle di entrare nelle stanze del retro ed impadronirsi della cassaforte piena di dollari e pesos senza sapere però che la porta che vi conduce si apre solo dall’interno dove "lavorano" un uomo e la segretaria. Il piano sembra saltare, non c’è altra soluzione se non quella di prendere in ostaggio le tre persone che si trovano nei locali del videoclub per costringere ad aprire quella maledetta porta. La situazione precipita, le idee si confondono, gli animi si increspano. La situazione si rovescia ed ora sono gli stessi rapinatori ad essere ostaggio di quell’appartamento, ben presto circondato dalle forze dell’ordine in pompa magna che solo ora scopriamo appartenere al governo cileno.
Johnny è uno studente di 17 anni, come si può facilmente leggere dalla tessera della scuola che ha lasciato nello zainetto finito fuori dalla finestra durante una colluttazione e raccolto da un ficcante giornalista televisivo. Mentre all’ottavo piano succede quello che ci si aspetta, compresa una presunta attrazione tra Johnny e la segretaria-concubina del capo del videoclub, è fuori che si svolge la parte più interessante del film. Il primo ministro non ne vuole assolutamente sapere di autorizzare un blitz militare all’interno del palazzo, seguendo le rigide istruzioni del comandante in persona che vuole a tutti i costi evitare spargimenti di sangue durante "il governo democratico del paese". Il primo ministro ed i suoi collaboratori sudano sette camice per barcamenarsi tra l’inespresso desiderio del comandante di mettere a ferro e fuoco tutto il palazzo ed una questione d’immagine che sfocia nel ridicolo "Piano per recuperare un giovane cileno". Approfitta della situazione il giornalista che rastrella tutte le persone vicine a Johnny per realizzare interviste che si rivelano veri e propri boomerang contro il "giovane da recuperare": la fidanzatina non parla perché il padre glielo ha proibito, la madre scopre il baule di Johnny pieno di autoradio rubate e gli dice che la galera gli farà bene, l’insegnante svela che durante le partite di calcetto si fa sempre espellere per rissa. Johnny è terrorizzato dai racconti sulla prima notte di galera (vi lascio immaginare cosa si aspetta che possa succedere), i suoi compagni di rapina vogliono evitare gli interrogatori ed andare subito davanti al giudice il quale, ligio ai tempi dell’esplicita dittatura militare, si rifiuta di firmare un provvedimento del genere specialmente se impostogli da un ex-reazionario appena tornato dall’esilio in Francia. Le allusioni alla dittatura di Pinochet2 sono sempre meno velate e sempre più frequenti. Uno dei rapinatori propone di farsi consegnare un aereo per Cuba in cambio degli ostaggi ma un altro si oppone con forza, temendo di subire poi una sorte peggiore quando Castro scoprirà che non è affatto comunista. Intanto il giornalista televisivo subisce un’aggressione e, forse, ha qualche ripensamento sul suo lavoro che umilia e mette a nudo le persone più indifese, non ancora avvezze al potere delle immagini.
Non è facile spiegare come "Johnny 100 pesos" (il titolo si riferisce all’importo delle monete che i suoi compagni vogliono fargli ingoiare prima dell’arresto affinché possa spenderle in cella per cautelarsi dalla "prima notte"…) ti coinvolga come e più di un documentario sulla dittatura cilena: le immagini dei telegiornali che i rapinatori seguono durante le ore sempre più drammatiche dell’accaduto rimandano subito a quelle delle repressioni degli anni ’70 e ’80 con i militari incoronati da quegli enormi cappelli visibili tra le turbolenze di un sistema televisivo arretrato. La resa è quantomai emozionante e di forte impatto. Di fronte all’evidenza dei fatti i rapinatori si arrendono, forti della promessa di essere subito giudicati senza passare dal temuto interrogatorio ma Johnny è silenzioso, titubante. La porta dell’ottavo piano si apre ed escono gli ostaggi poi i rapinatori che vengono subito ricoperti da un sacco della spazzatura ed accompagnati nei cellulari della polizia come succedeva con quelle persone che poi sarebbero destinate a scomparire silenziosamente. Manca Johnny. Di fronte alla fine, abbandonato dal mondo esterno, deluso dallo svolgimento dei fatti Johnny si spara, ma non mortalmente, nella pancia: i titoli di coda scorrono dopo che Johnny, vedendo la luce del sole attraverso il lucernario a sbarre dell’ambulanza, si ricopre il viso col lenzuolo, come fosse già cadavere.
Conoscere la storia del film e la sua fine, anche se è stata raccontata solo a grandi linee, non deve impedire di vederlo, specialmente in questo momento che la vicenda Pinochet è tornata alla ribalta. Le riprese, il doppiaggio e i dialoghi possono sembrare dilettanteschi ed ingenui ma "Johnny 100 pesos" contiene veramente molti spunti interessanti. La derisione grottesca della dittatura, ancor più sbalorditiva se si pensa alla capacità di repressione del regime cileno ancora pienamente attiva nell’anno in cui il film è stato girato. L’intuizione della potenza penetrativa della televisione e della forza persuasiva delle immagini: quello che vedo in TV è la verità.


Benatti Michele

1
Ora confluito nel recentissimo AdriaticoCinema.

2
In Cile è ridicolizzato col nomignolo Pinocho (Pinocchio) dai parenti dei desaparecidos.

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