sul palcoscenico della vita pubblica
Più di ogni altro scrittore italiano, più ancora di Pier Paolo Pasolini, Moravia è stato il padrone della scena letteraria italiana: viaggiando, dialogando, pubblicando nuovi libri, non era mai assente; dimenticarsi di lui era impossibile: di lui sapevamo tutto, che film vedeva, cosa pensava della politica, della scienza, del sesso, dei premi letterari… E non lo dimentichiamo nemmeno oggi, soprattutto quando a riempire gli scaffali delle librerie arriva "Finalmente di scrivo" (Ed. Bompiani), il libro che Carmen Llera Moravia ha dedicato al marito.
Alberto Moravia morì il 26 settembre 1990, e solo dieci anni dopo, forse per attendere che il tempo attenuasse la sofferenza, Carmen ha deciso di pubblicare un intimo colloquio con il marito, composto utilizzando le lettere, i biglietti che lo scrittore le lasciava in casa, sul tavolo o sotto la porta.
"Ho saputo che eri morto dalla radio – scrive la donna -, io che ti credevo immortale e mi sono persa nella nebbia densa che avvolgeva Mogador. Ho camminato a lungo sulla spiaggia dell’Oceano dopo il tramonto". A queste parole rispondono frasi del passato di Moravia: "Cara Carmen, tutto sarebbe semplice se io non ti amassi. Siccome ti amo e l’amore è già di per se stesso complicato, tutto è invece orribilmente complesso e angoscioso…".
Una storia difficile quella tra Carmen Llera e Alberto Moravia, per la differenza di età, ventisette-settantatrè all’inizio e trentasette-ottantatrè alla fine, ma soprattutto perché uno dei due era sempre irrequieto, inquieto, infelice, l’uno fuggiva mentre l’altro tratteneva, l’uno amava l’atro si lasciava amare…
Carmen: "Un primo contatto fisico dopo quarantotto ore dall’incontro al mare. All’inizio abbiamo parlato solo di letteratura, freddamente. Era l’ora del tè, credo al gelsomino o affumicato, servito con delle ciambelline al vino molto zuccherate… c’era un uomo che mi aspettava in macchina sul lungotevere… dopo aver fatto l’amore non ero affatto sicura di rivederti. L’indomani sono partita per Malta, dove mi hai raggiunto…".
Alberto: "Fuggi, vorrei proprio sapere da dove hai ricavato l’idea che bisogna vivere insieme in una continua alternanza di fughe e ritorni. Fuggi in camera tua e ti chiudi a chiave, fuggi da Aleppo, fuggi scendendo di volata la scala di casa nostra, fuggi per lo stradone al mare, fuggi al telefono mettendo giù il ricevitore in fretta, fuggi piantandomi in asso all’aeroporto perché non faccio la fila, fuggi chiudendoti nel silenzio… la tua fuga continua è assurda come tutto ciò che è irrazionale, io purtroppo di fronte a questa irrazionalità non riesco che a prendere la parte mortificante della ragione… Finché ti amerò, ti accetterò dunque così, in fuga sulle strade, nelle camere, alla fine magari, dalla mia vita…".
Lei è sempre in fuga e lui cerca di fissarla con il matrimonio: "Morirò e sposerai un altro". "Idiozie", rispondeva lei.
E ancora Alberto: "Io ti chiedo soltanto di considerare questo nostro rapporto somigliante a tutti gli altri rapporti salvo che in un solo aspetto: che abbiamo deciso di vivere insieme… Intanto tu ti comporti esattamente come se fossi sola, solissima ami, soffri, conquisti, intrecci rapporti, prepari viaggi ecc. ecc… Poi ci sono io".
Poi Carmen ricorda: "Si continuava a viaggiare: inchiesta sull’atomica in Germania e Giappone. L’idea ti ossessionava – "bisogna far diventare la guerra un tabù, come l’incesto" – le mie ossessioni erano altre, riguardavano solo me".
Lettera dopo lettera, immagine dopo immagine, il libro ci svela che la vera ragione di questa sproporzione risiede in una diversità culturale e generazionale; Moravia lottava per salvare la bella ragazza dal "nulla", e ora la bella ragazza lotta per ricostruire quella storia d’amore che prima tanto si era affaticata a distruggere.
Alberto Moravia
Francesca Orlando