"Solo por hoy" è il titolo originale dell’esordio nel lungometraggio di Ariel Rotter, argentino, già conosciuto come regista di videoclip e spot pubblicitari. Realizzato col patrocinio della scuola di cinematografia del Cile, "Solo por hoy" non lascia rimpianti ai finanziatori perché il risultato è, secondo me, più che buono.
Cosa succede nel film? Beh, poco, per la verità. Si metta subito in chiaro che in un film, per essere "buono", non deve necessariamente succedere qualcosa di particolare. Se l’accoglienza a Berlino è stata più che positiva, il film era nella sezione Panorama, devo invece difendere il lavoro di Rotter da un’impietosa critica trovata sul sito del recente Festival di Rotterdam, dove infatti si apostrofa che in questo film "non succede nulla fino alla fine": e allora? Che cosa potrebbe succedere a quattro ragazzi che condividono un appartamento a Buenos Aires, una città enorme che però vediamo, e splendidamente, solo in sottofondo, dalle finestre, da dietro al casco di chi guida il motorino, dalle immagini accelerate dello stesso incrocio tutte le notti, quando sul balcone si affacciano i protagonisti che non riescono a prendere sonno. Un aspirante attore, mai un ingaggio ma un nome d’arte come "Toro", fa le pulizie nelle camere d’albergo dove gioca ad essere qualcuno davanti agli specchi annoiati di facce diverse ogni mattina. Una ragazza di origine cinese è una svogliata pony-express ma è la sola ad impedirsi di dipingere, se non fosse anche che servono i soldi. Un cuoco sogna Parigi e sul lavoro studia il francese da autodidatta, non si accorge però che non avrebbe bisogno di andare fino a Parigi (dove infatti non andrà) per trovare soddisfazione. Il quarto è Ramon, interpretato da Sergio Boris, che col pretesto cinematografico del "film-nel-film", ci fa conoscere sé stesso ed i suoi compagni, le loro illusioni e le loro speranze, le loro ingenuità e la loro impotenza di fronte all’enormità che li copre una volta usciti di casa, una volta fuori dal silenzio domestico e dalle parole sussurrate dei dialoghi dopo cena. Ramon è il parafulmine dei problemi dei conviventi ed è anche il collante. Ramon che gira per le strade con una videocamera a chiedere sempre le stesse tre domande, convinto che bastano per conoscere una persona e, per estensione, una città, una nazione o addirittura un popolo: "sei felice?", "cosa vorresti essere se potessi rinascere?" ed infine "cos’è il sesso".
Dalle risposte che la gente dà a Ramon si intuiscono vite semplici, desideri irrealizzati dei quali ci si compiace del semplice ricordo, nostalgia. E’ questo il genere di persone che diventeranno i quattro ragazzi, senza che ci sia bisogna che accada nient’altro. Quel che accade in "Solo por hoy" è la quotidianità, niente di straordinario ma comunque meritevole di essere raccontato in un film. Una sorta di realismo sussurrato, l’imbarazzo della ragazza di fronte alle gentili attenzioni di Ramon, i sospiri di quest’ultimo, costretto a chiedere i soldi ai genitori per vederseli rubare dal fratello, l’arroganza degli insicuri che mostra il cuoco, la spensieratezza dell’ingenuo attore. Alcune piccole trovate azzeccate, come le interviste di Ramon al mercato o i momenti di solitudine di ognuno dei ragazzi, fanno di "Solo por hoy" un buon film, ed aggiungo, l’ennesimo buon film che ultimamente arriva dal sudamerica come il chiacchierato "Amores perros".
Buona visione.
(Non) Solo per oggi
Michele Benatti