Non so a quanti di voi sia capitato di fare dei cattivi pensieri? Mi direte, a che tipo di cattivi pensieri ti riferisci? Avete ragione, di cattivi pensieri ce ne possono essere di molti tipi quindi senza perdere troppo tempo passo subito a spiegare di quale tipologia voglio parlarvi, ma prima lasciatemi fare un piccolo discorso introduttivo.
Prendiamo un campione di persone, ad esempio noi, i nostri genitori, i nostri amici, le nostre amanti, ebbene, le vite delle persone appartenenti al gruppo sono estremamente diverse tra loro. C’è chi fa la vita che vuole, chi sogna di farla, chi è felice, chi meno, chi è fortunato, chi non lo è, se non credete alla fortuna potete chiamarlo fato, destino, sfiga, teoria del chaos o come diavolo vi pare.
Indipendentemente da come sia, possono capitare nel corso della vita degli avvenimenti, di varia natura, che portano con loro un grande dolore. Questo dolore può a sua volta essere dolore fisico, dolore mentale o dolore sia fisico che mentale anche perché come tutti sappiamo mente e corpo sono strettamente legati. Tutte le persone sono in grado di sopportare del dolore, ma ognuno di noi ha una soglia oltre la quale il dolore non è più sopportabile.
Se immaginassimo di fare superare questa soglia agli elementi del nostro campione di persone vedremo che questi si comporteranno in modo molto diverso l’uno dall’altro, quasi sempre in un modo non prevedibile.
C’è chi impazzisce. Il cervello sottoposto ad un livello troppo elevato di dolore porta ad una totale (o parziale a seconda dei casi) incapacità di ragionamento. Solo eliminando la fonte di dolore si può pensare di sottoporre il soggetto a terapie psico-riabilitative.
C’è chi cambia completamente vita. Questo tipo di reazione è prevedibile solo in soggetti particolarmente forti e solo nei casi in cui la tipologia di dolore lo consente. Questo tipo di reazione tende ad innalzare la soglia di sopportazione del soggetto eliminando il problema.
C’è chi si spegne. In questo caso non viene a mancare la capacità di ragionamento ma il soggetto si riduce ad uno stato pseudo vegetativo. A seconda della gravità del caso il soggetto può rimanere o no autosufficiente. Questa forma di autodifesa porta il soggetto ad una eliminazione totale o parziale degli stimoli esterni per arrivare ad eliminare con questi anche il dolore che non gli dà pace.
C’è chi innesca un meccanismo distruttivo. Questo comportamento deriva dal concetto scientifico di azione-reazione. Il soggetto cerca di trasformare il dolore che prova incanalandolo verso l’esterno. Il soggetto può diventare estremamente violento e dannoso nei confronti di tutto ciò che lo circonda siano queste cose o persone. Nella maggioranza dei casi questa reazione porta il soggetto in uno stato di progressivo isolamento a volte forzato.
C’è infine chi inizia a fare dei cattivi pensieri. Pensieri di morte per intenderci. Il soggetto non trovando alcun modo per eliminare la fonte del dolore o per innalzare la soglia di sopportazione non vede altra alternativa che terminare la sua esistenza. Cessando la sua esistenza metterà sicuramente fine al dolore che prova che è sicuramente molto forte. A questo punto, di solito, vengono tirate in ballo questioni morali su scelte di questo tipo. Ma è veramente possibile biasimare chi giunto allo stremo delle proprie forze non vede altra alternativa? Si possono veramente definire "cattivi" questi pensieri se per queste persone sono l’ultima alternativa? Come si può avere la presunzione di sapere quanto dolore affligge una persona? Come si può costringere una persona a "vivere" nel dolore illudendola che esistono altre alternative? Non siamo forse noi che ci illudiamo?
Anche se è vero che ognuno può disporre della propria vita come vuole è anche vero che l’intelligenza che l’uomo possiede dovrebbe condurlo a comportamenti che non limitino o danneggino la libertà degli altri. Forse il punto sta proprio qui, il suicidio per il suo carattere di gesto definitivo e dal quale non si può tornare indietro finisce per coinvolgere anche chi il suicidio non lo compie ma è comunque vicino a quella persona che soffre. Chi sta vicino alla persona che sta male, si sente in colpa per non avere potuto fare nulla e spesso sente di avere un po’ di colpa anche per quel gesto, ma chi lo compie non lo fa necessariamente per lasciare nel rimorso gli altri ma solo per mettere fine al dolore che sente.
La questione è come vedete molto complessa, ed è difficile trarre delle conclusioni valide universalmente. Tornando alla domanda iniziale non so se a voi vi sia mai capitato, sinceramente non ve lo auguro. A me è capitato, è capitato di essere travolto da un grande dolore, talmente grande da scoppiare a piangere improvvisamente anche in luoghi pubblici, mi è capitato verso sera di sentire fitte dolorose che tolgono il fiato, mi è capitato di perdere il gusto di mangiare, di perdere il gusto di dormire, di alzarmi la mattina con l’angoscia di un nuovo giorno, di perdere la voglia di vivere. Insomma un dolore talmente grande che è difficile rendere l’idea. Chi mi può biasimare se mi capita di fare dei brutti pensieri? Probabilmente non avrò mai il coraggio di metterli in pratica ma vi assicuro che non mi dispiacerebbe affatto se mi capitasse una mattina di non svegliarmi più.
Questo testo non è e non vuole essere un trattato approfondito e scientifico sull’argomento anche perché non avrei le competenze necessarie per farlo. Vuole solo essere uno spunto di riflessione sul dolore, sulle persone che soffrono e su un argomento spesso considerato tabù.
Cattivi Pensieri
Dr. Fabio Giuziaricci