Nel concorso principale dell’ultima edizione del Festival di Venezia, semplicemente indicata come "Venezia 58", ha trovato posto uno di quei film che solitamente si annunciano da soli per via di una o più scene scandalose ma che, come sovente capita, non si rivela una scatola vuota e passate le polemiche (inutili e vacue) non resta neppure il ricordo. "Hundstage", tradotto in "Canicola", è il primo lungometraggio dell’austriaco Ulrich Seidl, già conosciuto (a pochi) come autore di documentari. Canicula è la costellazione che ci sormonta durante i giorni più caldi dell’anno quando, in tutti i paesi del mondo, insieme alla temperatura si surriscaldano anche i cervelli e succedono le cose più strane, o le più normali, secondo Siedl.
In un imprecisato agglomerato austriaco, non è importante dove ci si trova ma è importante guardarsi intorno e trovarsi tra anonime villette unifamiliari, centri commerciali sbiancati dalla luce solare, quartieri moderni e asettici, seguiamo alcuni personaggi che subito ci sono solamente sgradevoli e fastidiosi perché apparentemente così lontano da noi. Il cinico e frustrato venditore di sistemi d’allarme, la ragazzina succube del bullo con l’Opel taroccata all’inverosimile, la donna divorziata che frequenta i club orgiastici dentro ai centri commerciali, il vedovo che ritrova la compagnia della moglie scomparsa nella donna di servizio e così via. Sgradevoli, sudati, spesso nudi e depravati, falliti, borghesi e decadenti, anormali: questi aggettivi sembrano accomunare i personaggi di "Hundstage". A far loro da sfondo una serie di inquadrature favolose sulle brutture residenziali moderne, costruzioni e disposizioni che parlano di solitudini col giardinetto, di perversioni dietro alle tapparelle bianche, di proprietà privata e repulsione verso gli altri, verso chiunque entri nelle loro vite, vuote. Non a caso la storia più azzeccata è quella della ragazza un po’ toccata che vaga in autostop ed una volta caricata comincia a sproloquiare a proposito delle classifiche più strampalate del momento, i dieci supermercati più conosciuti, i dieci jingle più cantati, le dieci malattie più diffuse, intercalando con domande e affermazioni fastidiose, fastidiose perché sincere e senza inibizioni. La ragazza pagherà la sua spontaneità e la sua genuina assimilazione alla società consumistica con la violenza proprio da parte dei più espliciti esponenti di questa stessa società, solo che inconsapevoli.
"Hundstage" è interpretato da attori professionisti e non, girato in molti casi con la camera a mano, senza sonoro aggiunto. Ciò rende il tutto ancor più reale ed ancor più fastidioso. Seidl è già stato bollato come scandaloso e la critica lo ha generalmente trattato male. Perché? Forse perché ci ha raccontato un’Austria che non è solo Mozart e Sacher come abbiamo sempre creduto? Forse perché "Hundstage" non è l’Austria ma racconta di noi e dei nostri vicini, anche se non siamo austriaci? Secondo me le due ore di "Canicola" sono sei bei racconti visti al cinema e null’altro. Vedendolo non si sa se provare pena o vergogna, ancor di più quando ci si accorge che quello che stiamo vedendo è normale, consueto e pure positivo, a volte. Il senso di fastidio e repulsione delle prime scene fa posto alla comprensione e poi addirittura alla simpatia e all’antipatia, sentimenti che si possono provare solo tra simili, solo tra persone e società che si conoscono, come quella che suda sotto il sole a picco di "Hundstage". Vincitore meritato di un premio, Ulrich Seidl prosegue originalmente la strada tracciata a suo tempo da Lars Von Trier per quanto riguarda la realtà delle cose e da un certo cinema asiatico che lascia debordare i sentimenti più veri, accantonando il belletto e le false maschere.
La torrida Austria
Michele Benatti