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13 conversazioni su un argomento

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13 conversazioni su un argomento

La traduzione letterale del titolo originale suona come il titolo di quest’articolo, anche se sarebbe stato più corretto tradurlo come "13 conversazioni su un’unica cosa": la felicità.
L’argomento non è affatto semplice, così come non è semplice trasferire sullo schermo uno stato d’animo così astratto, così complesso e così personale. Forse è proprio per questo motivo che ci si è cimentata una regista laureata in Filosofia di nome Jill Sprecher, che col primo lungometraggio, "Clockwatchers – Impiegate a tempo indeterminato", vinse il festival di Torino nel 1997. "13 conversations about one thing" è il suo secondo lavoro, per il quale collabora anche alla sceneggiatura insieme alla sorella Karen, ed è inserito nella neonata sezione "Cinema del presente", quella che, da quest’anno, assegna un secondo Leone. Una collocazione di prestigio, quindi, per un film che ne risulta essere totalmente all’altezza, secondo chi scrive.
Si parla di felicità, si diceva, o meglio si parla del "vivere felici", che è un’applicazione specifica e terrena del concetto generico di "felicità". La Sprecher ne parla attraverso cinque storie abilmente intrecciate tra loro,
cinque personaggi che da diverse angolature affrontano il vivere felici e tutto ciò che ne è la causa, e tutto ciò che ne sono gli effetti. Un uomo schiacciato dal peso della monotonia di una vita sempre uguale nei tempi e nei modi trova la via d’uscita allacciando una relazione extraconiugale con una collega insegnante. Una donna decide finalmente di prendere di petto i continui tradimenti del marito e lo lascia. Un giovane avvocato vede crollarsi addosso il mondo di successo che gli si era appena aperto, addirittura la sera stessa. Un uomo d’affari non riesce a godere della sua posizione di successo perché angustiato dall’invidia per un sottoposto tanto insignificante, secondo lui, quanto apparentemente felice. Una ragazza che fa le pulizie aspetta fiduciosa la svolta, che poi arriverà ma sarà negativa e cambierà il suo modo di pensare. Fanno da collante tra queste storie i dialoghi misurati e ponderati, il ritmo lento e solenne delle riflessioni, non quello rapido e frettoloso delle azioni. I cinque protagonisti, fra i quali spicca il nome di John Turturro anche se non per la recitazione, si sfiorano leggermente. L’uomo d’affari sarà quello che in un breve colloquio al pub liquiderà senza pietà l’eccessiva euforia dell’avvocato durante un brindisi di festeggiamento per una causa vinta e quest’ultimo investirà con la propria auto la donna di servizio mentre, euforica, cercava di decifrare gli sguardi del proprietario single dell’appartamento che le aveva affidato la camicia da lavare.
Primi piani silenziosi ed alcune sequenze fanno pensare ad un film tutt’altro che statunitense, che invece è la vera nazionalità dell’opera. Sul tutto veglia un’aria "Kiewzloskiana": le coincidenze, i dialoghi, il destino incomprensibile e beffardo. Le storie, è inutile dirlo, non danno una risposta sul "vivere felici". La relazione extraconiugale si rivelerà solamente un’altra monotona vita, ancor più difficile da sopportare a causa della clandestinità e dei vincoli che comporta. L’invidia ed il livore verso i colleghi aldilà dal vetro dell’ufficio faranno sì che l’uomo d’affari sia addirittura imbarazzato nell’incontrare qualche tempo dopo proprio il bersaglio dei suoi sfoghi, naturalmente felice e soddisfatto. La ragazza smetterà di pensare che le persone sono buone e che per quelle come lei l’occasione è in arrivo quando sarà accusata ingiustamente di furto.
E la felicità? La felicità è fuggevole, secondo la Sprecher, la felicità è il giardino del vicino oppure è dietro alle tue spalle ed accorgersene non è facile. Il film è ottimamente misurato, nessun dialogo o nessuna scena sono fuori luogo, secondo me merita assolutamente la visione. E la felicità? "Che tu possa ottenere tutto ciò che desideri, che tu possa desiderare tutto ciò che ottieni" è la doppia maledizione gitana citata nel film: la felicità è sempre un passo avanti a te o un passo indietro.


Michele Benatti

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