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Un giorno in un parcheggio

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Un giorno in un parcheggio

Sembriamo dei trogloditi di fronte alla cassa automatica di un parcheggio. Un gruppo di uomini potenzialmente tecnologici che si esprimono a gesti e a versi.
Io sono l’ultimo della fila: biglietto da una parte, soldi dall’altra. Davanti a me il caos.
L’eletto che attualmente si trova a dover fare i conti con il marchingegno automatico chiede alla moglie:
"Hai mica degli spiccioli, uno da 500, altrimenti non ci fa uscire!"
Risata generale. La cosa triste è che la battuta rispecchia pienamente la realtà.
I due, recuperate le 500 lire abbandonano il campo. E’ il turno di un tizio baffuto sui cinquanta: prende il biglietto, conta i soldi -sembra tutto a posto- …un attimo prima di introdurlo nell’apposita fessura affiora un dubbio:
"Dove ho messo la macchina?".
Si guarda intorno. Mi guarda:
"Non è possibile, proprio come Fantozzi!"
Nel tentativo di tranquillizzarlo esterno una battuta adatta al momento (potrà apparirvi come falsa -data l’incredibile compatibilità con l’avvenimento- non è così!):
"E’ successo anche a me, al "Gabbiano" di Savona. Ho girato per quasi un’ora prima di poter riabbracciare il mio caro mezzo di trasporto"
Il mio commento resta sospeso nell’aria. E’ in evidente stato confusionale. Guarda con frenetica attenzione il biglietto ritirato all’ingresso, probabilmente spera di trovarci inciso il numero di parcheggio occupato. Impossibile! Oppure si illude che l’inerte pezzo di carta gli comunichi, sotto forma di visione, la strada da percorrere.
Non accade nulla di tutto ciò.
Prima di incamminarsi lungo la rampa che porta al piano inferiore (proibita ai pedoni) mi lancia un’ultima disperata occhiata.
Lo so, potrei offrirgli il mio aiuto. Qualcosa mi trattiene. E’ come se, tendendogli la mano, lo facessi sfigurare maggiormente. Evito e mi allontano.
Alcuni passi e:
"Eppure l’avevo parcheggiata qui!"
Torno verso la cassa, leggo un cartello (precedentemente non notato):
TRASCORSI CINQUE MINUTI DAL PAGAMENTO
E’ CONSIGLIABILE AVER TRASFERITO LA MACCHINA ALL’ESTERNO
DEL PARCHEGGIO.
"Consigliabile?" il termine gentile amplifica la tensione.
"Lo consigliano, però non ti dicono cosa accade se agisci in altro modo" ringhio mentre strappo il cartello dal muro, un istante e sono addosso alla cassa automatica: la scrollo, la colpisco, la investo con sputi e bestemmie.
"Dove hai messo la mia macchina?" ormai in preda al delirio.

La scena attira spettatori. Il caso, o la sfiga, inseriscono nel gruppo un poliziotto in pensione, figuratevi, non gli sembra vero: sono anni che non arresta qualcuno, ormai si sente inutile, è sulla via del declino…ma io, altruista e sensibile, gli offro la possibilità di risorgere.
"Fate largo! Fate largo! In nome della legge!" e si dirige con passo fiero ed energico verso la mia persona.
Non oppongo resistenza. Viaggia veloce con il pugno alzato, all’altezza del mio volto.
"C’è bisogno di un po’ di blindoterapia". Queste le ultime parole. Si accascia al suolo. Paonazzo in volto. Schiuma densa ai lati della bocca. Ci lascia le piume.
Io non l’ho toccato, eppure mi chiamano assassino. Perchè?
"La gente così dovrebbero appenderla al primo albero" parole di un vecchio (naturalmente reduce di tutte le guerre).
"E se non regge?" questo è il mio ultimo commento.
Il guardiano del parcheggio, attirato dai rumori insoliti, interviene portando tutto alla passata tranquillità. Come? Semplice: estrae l’Eliminadubbi, lo regola al massimo della forza e me lo sbatte in testa. Luce. Mi alzo, mi sistemo i vestiti e, guidato dall’energia ricevuta mi dirigo verso la macchina. Salgo. Metto in moto. Parto.
Un viaggio memorabile.

Marco Marengo

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