Stanno uscendo in questo periodo nelle sale cinematografiche alcuni film italiani visti quest’anno alla Mostra di Venezia. Spenti gli echi della laguna, finalmente si può giudicare con più distacco ed obiettività le nostre pellicole, evitando di assistere al solito bagno di sangue della spietata critica veneziana.
"Luna Rossa1" di Antonio Capuano è stato uno dei due film italiani nel concorso ufficiale insieme a"Luce dei miei occhi" di Giuseppe Piccioni.
La pellicola analizza attraverso la voce narrante dell’ultimo superstite, l’ascesa e il disfacimento della "famiglia" mafiosa Cammarano, coinvolta in una sanguinaria lotta fra cosche. Trasposizione in chiave napoletana dell’Orestea di Eschilo, il film è un’opera corale che vede un nutrito cast di protagonisti, fra i quali Carlo Cecchi, l’icona soldiniana Licia Maglietta e l’attore teatrale Toni Servillo2, fra le grandi sorprese di questa edizione del festival.
Dopo aver annientato la banda rivale, i Cammarano si trovano a gestire il nuovo potere acquisito. Ma all’interno della propria famiglia inizia un processo di disgregazione che porterà ad amputare progressivamente i propri vertici, in un susseguirsi di omicidi e di giochi al massacro per la conquista del potere. La legge della famiglia è più forte di qualsiasi legame affettivo, ed il più giovane sarà costretto ad allontanarsi, per poi ritornare come un angelo vendicatore a suggellare il definitivo tramonto dei Cammarano. La storia giunge a noi dalle sue parole, una volta costituitosi come pentito alla polizia. La pellicola ha tinte forti, con ambientazioni quasi psichedeliche, e la musica hip-hop degli Almamegretta ne sottolinea la violenza, alternandosi a classici napoletani del passato come "Luna Rossa", quasi a rappresentare un legame con un concetto di mafia più classico. Capuano, pur nella durezza della vicenda, da un ritratto estremamente grottesco della "famiglia" mafiosa, dove il cellulare diventa quasi un simbolo, presenza costante ed inquietante di sottofondo, che detta i tempi e i ritmi della loro vite violente.
Il film è stata una delle poche pellicole italiane risparmiate3 dalla critica veneziana. Personalmente, la ritengo inferiore al parere generale: troppi gli stereotipi che accomunano tutte le pellicole di mafia, dove ogni capo clan rimanda sempre alla rappresentazione classica del padrino, ed i personaggi hanno un’aura di dejà vu. Ed in questo film in particolare, l’aspetto napoletano si avvicina pericolosamente ad una tradizione "meroliana" eccessivamente caricaturale, anche al di là delle buone intenzioni del regista. Simbolo di questo è l’improbabile personaggio di Licia Maglietta con il suo alternarsi di terrificanti parrucche colorate.
"L’uomo in più" opera prima di Paolo Sorrentino, vede come protagonista, proprio come nella pellicola precedente, ed anche in questo caso straordinario interprete, Toni Servillo, nei panni di Antonio Pisapia, un cantante melodico di cui ripercorre l’ascesa e il declino. L’altro protagonista è Andrea Renzi, anch’egli Antonio Pisapia, calciatore di serie A, reduce da un infortunio che ne troncherà la carriera. Storia di due vite parallele, di personaggi dall’omonimo nome, che ignorano l’esistenza dell’altro, ma con caratteri estremamente differenti: il cantante, sbruffone e cocainomane, personaggio da night, pronto ad approfittare del potere concessogli dall’effimero successo; il calciatore, serio e posato, determinato dopo l’infortunio a non perdersi d’animo e capace di conseguire il patentino di allenatore, desideroso di mostrare le proprie rivoluzionarie teorie calcistiche.
Le due vite però si assomigliano: dalla fama alla rovina, attraverso l’abbandono dei propri affetti familiari e degli ambienti che li avevano esaltati. I due avranno il loro unico punto di contatto proprio confessando ad una trasmissione televisiva i propri insuccessi e le proprie delusioni. Ma mentre Antonio Pisapia allenatore si scontrerà con il cinismo e gli interessi economici del mondo del calcio e non riuscirà a sottrarsi al proprio fallimento, Antonio Pisapia cantante, egli stesso causa della propria rovina, riuscirà in virtù del proprio carattere spaccone ed indipendente a sopravvivere diventando una sorta di vendicatore del primo. L’uomo in più non è solamente il simbolo del calcio teorizzato da Antonio Pisapia allenatore: entrambi sono uomini in più, di cui la vita può fare a meno.
Altro film italiano presente insieme a "L’uomo in più" nel concorso parallelo di quest’anno, Cinema del Presente, è stato "L’amore imperfetto" di Giovanni Davide Maderna di ritorno a Venezia dopo la vittoria di due anni fa con la miglior opera prima "Questo è il giardino". Pellicola troppo frettolosamente massacrata dal pubblico veneziano, forse meritava come nel caso di "Luna Rossa" una riflessione più attenta ed un giudizio meno perentorio.
La storia è di quelle non facili: il tema che affronta il regista verte sulla delicata questione degli aborti e dei diritti dei genitori sulla nascita del proprio figlio. Sergio e Angela sono una coppia che in virtù della propria fede e della possibilità di donazione degli organi, decidono di far nascere il proprio figlio nonostante sia affetto da gravi malformazioni e nonostante i bollettini medici abbiano pronosticati pochi giorni di vita. Oltre al proprio dramma personale ed alla difficoltà di affrontare i propri stati d’animo di fronte alla vita ed alla morte così drammaticamente condensate in un fragile neonato, nella speranza di un impossibile "miracolo", i due saranno oggetto di un vero e proprio odio da parte della società che li circonda, arrogandosi il ruolo di giudice delle scelte dei due genitori.
Pur nell’ingenuità di alcuni passaggi, e i dialoghi non sempre all’altezza, il regista a mio parere riesce a rendere bene il dramma che circonda la coppia, e di come Angela, forte di una fede incrollabile, riesca a trovare un equilibrio che il suo compagno invece smarrisce, distrutto dal dolore e dai sensi di colpa, accentuati da una misteriosa storia parallela con una sua collega di lavoro.
Ma entrambi alla fine non riusciranno ad accettare un destino che forse pensavano di poter sopportare.
Pellicole in ogni caso da vedere, simboli abbastanza rappresentativi di un cinema italiano che cerca di affiancarsi ad un certo standard qualitativo rinunciando a strizzare l’occhio ad un cinema medio (per altro spesso apprezzabile) di più ampio consenso popolare. Tentativi che se a volte non convincono pienamente, hanno la capacità comunque di mostrarci la bravura di certi nostri attori. E a volte non è poco.
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Italiani a Venezia
Andrea Leonardi
Sullo sfondo un’immagine di questo film
Parente del "cognonimo" degli Avion Travel…
Si pensi che il bellissimo (per me) "Luce dei miei occhi" è stato massacrato dopo la presentazione al Lido! (nota di Benatti Michele)