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La donna è mobile… anzi, mobbile

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La donna è mobile… anzi, mobbile

Rigoletto all’Arena di Verona, stagione 2001.

Nel mondo dell’opera lirica vi sono consuetudini che fanno parte della storia della musica in modo così radicato che anche il tentare di proporre qualcosa di diverso provoca crociate in difesa della tradizione, come se questa fosse l’unico modo per interpretare, oggi, espressioni artistiche del passato. Così successe, ad esempio, lo scorso anno per il Trovatore alla Scala: "Di quella pira…" senza il do "di petto" (peraltro non scritto nella partitura ma "tollerato" dallo stesso Verdi) scatenò furibonde polemiche e scontri feroci fra innovatori e tradizionalisti.
Altro "vezzo" che non accenna, purtroppo, a tramontare è quello del Duca di Mantova che nella famosa "La donna è mobile…" del Rigoletto, imperterrito continua ad aggiungere una seconda "b" al primo verso, trasformando la donna da "mobile" a "mobbile" (trasformazione che non si dovrebbe accettare neppure si trattasse di un interprete romanesco), quando nel libretto di "b" ce n’è solo una.
Nemmeno Aquiles Machado, interprete a Verona l’estate passata, si è sottratto a questo giogo: peccato, perché le doti di interprete non gli mancano certo; la presenza scenica, invece, lasciava un po’ a desiderare: quando Gilda racconta al padre di aver conosciuto in chiesa un giovane "bello e fatale", difficile pensare al Duca interpretato da Machado. Gli altri interpreti principali erano Inva Mula, ormai di casa in Arena e interprete anche di Traviata nella stessa stagione, e uno strepitoso Leo Nucci: nonostante abbia interpretato questo ruolo centinaia di volte, sembra non essersi ancora stancato di vestire i panni del giullare.
Le scenografie consistevano in un semicerchio rappresentante il fronte del palazzo ducale di Mantova che, aprendosi, faceva da "contenitore" alle diverse situazioni. All’interno, un cubo (di quando in quando con grande strepito) si trasformava via via nella casa di Rigoletto, in quella di Sparafucile o in un semplice muro verso il quale il gobbo reclamava, inutilmente, la figlia.
L’opera inizia con un ballo alla corte: ai danzatori professionisti si era pensato di aggiungere (per far numero?) anche le comparse che, ben lontane dal professionismo, saltellavano goffamente da una parte all’altra del palcoscenico indossando ridicole parrucche bionde, unica nota stonata in uno spettacolo sicuramente apprezzato dagli spettatori, fra cui numerosi i turisti in visita a Verona in quei giorni.

Alessandro Melotti
kylix98@hotmail.com

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