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Audioslave – S/T

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Audioslave
S/T
(Epic/Interscope, 2002)

Cosa accomuna Chris Cornell, straordinario leader dei (defunti) Soundgarden e titolare qualche anno fa di un album solista pieno zeppo di ballate malinconiche, ai Rage Against The Machine, gruppo simbolo del crossover anni ’90 ma oggi orfano della voce e della personalità di Zack de la Rocha? Prima risposta, semplice al limite della banalità: il fatto di essersi ritrovati a suonare insieme con il moniker di Audioslave ed aver dato alla luce lo scorso 19 novembre un lavoro self-titled, i cui lavori erano cominciati mesi fa quando ancora il progetto era identificato dal nome Civilian. Seconda risposta: un’imprevista ed imprevedibile sintonia musicale.
Dici Soundgarden, poi dici Rage Against The Machine e fai una gran fatica ad immaginare un punto di contatto: alfieri del grunge ossequiosamente legati alla tradizione dell’hard rock anni ’70 i primi, senza peraltro che questo abbia impedito loro di trascenderla e ritagliarsi un posto in prima fila nella storia della musica; aggressiva ed anarchica punta di diamante del melting pot cultural-musicale dello scorso decennio, aperto ad ogni contaminazione, i secondi. Poi invece ascolti questi Audioslave e tutto d’un tratto realizzi come la distanza che separava queste due realtà sonore non fosse poi così spropositata. Fatto sta che questa nuova creatura ricorda tanto l’ex-gruppo di Cornell quanto quello degli altri tre componenti, riuscendo a ricondurre le rispettive esperienze ad un’apparente unità.
La maggior parte dei brani evidenzia l’eccezionalità di Tom Morello, uno fra i chitarristi più originali ed immediatamente riconoscibili del panorama attuale. La sua invidiabile capacità di giostrare riff semplici ma implacabili, non eccessivamente distante da quella a suo tempo sfoggiata dallo stregone Jimmy Page, e la sua abilità nell’estrarre dalla sei corde suoni a dir poco inusuali lo rendono protagonista impagabile del disco: l’assolo di Shadow On The Sun, breve ma sbalorditivo, valga per farsi un’idea. Cornell dal canto suo non fa che confermare quanto già si sapeva sul suo conto: trattasi della voce più impressionante mai sentita nell’ambito del rock alternativo, sicuramente degli ultimi anni ma con buona probabilità di sempre. L’urlo primordiale e selvaggio a cui si abbandona in più di un frangente fa il paio con le calde e sofferte tonalità caratterizzanti le non poche ballads che sfilano lungo i solchi del lavoro: da Robert Plant a Eddie Vedder in un battito di ciglia. Dal canto loro, Tim Commerford e Brad Wilk completano il quadro fornendo il necessario supporto ritmico alle virtuose esibizioni dei due più illustri compagni d’avventura.
Se in alcuni momenti pare di sentire i veri e propri RATM, solo con Cornell nel ruolo di lead vocalist, altrove l’eredità oscura e massiccia dei Soundgarden si riporta prepotentemente in primo piano: in linea di massima la fusione fra i due elementi, come già detto, riesce sorprendentemente bene. Dispiace solo notare come l’anima meditabonda e melodica di Euphoria Morning, il progetto solista di Cornell al quale a questo punto non sarà presumibilmente offerto alcun seguito, sia sostanzialmente rimasta tagliata fuori dall’album: quando le frequenze rallentano ci si ritrova più che altro dalle parti di Superunknown o eventualmente del poco fortunato Down On The Upside, ultimi due lavori licenziati dai Soundgarden prima dello scioglimento. Il dispiacere però viene più che ampiamente riassorbito nella constatazione dell’incisività del presente album, che viaggia come uno schiacciasassi lungo buona parte del consistente minutaggio e si concede tregue solo in qualche rara occasione.
L’apertura è affidata a Cochise, scelta anche come primo singolo: puro RATM-style, con Cornell che però riesce a sfumare anche lo screaming più aggressivo mentre alle sue spalle Morello estrae un riff lancinante e ricama note aliene sul proprio strumento. E’ uno dei due schemi vincenti dell’album: l’altro, prefigurato già da Show Me How To Live ed individuato poi con la massima efficacia da What You Are, è quello della cavalcata quasi soundgardeniana con il solito Morello a rilevare questa volta la solista di Kim Thayil, mostrando grandissime capacità di mimesi seppur conservando sempre e comunque il proprio inconfondibile tocco. Parecchi pezzi si collocano poi a mezza via, con la voce di Cornell a fare da tramite fra lo squadrato assalto dei tre soci e le sonorità del gruppo d’origine. Si perdona dunque con facilità la caduta di stile di Hypnotize, poco convincente azzardo su ritmiche pseudo-drum&bass; & si sorvola anche su una seconda metà dell’album nell’insieme non all’altezza della prima, senza peraltro poter essere definita in alcun caso deludente.
Un bell’album, in definitiva, per un gruppo che pare orientato a raccogliere il testimone dai RATM più che dai Soundgarden o da Cornell stesso. Speriamo solo che non rimanga l’unico, perché questi quattro hanno ancora parecchio da dire insieme…

Fabrizio Claudio Marcon

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