– Ma che accidenti di strada ho preso. – sbottò Franco all’ennesimo sobbalzo della vettura all’ennesima buca presa. – Dove sono finito. –
Rallentò portandosi e destra e fermandosi sul ciglio della strada, se tale si poteva definire quella distesa tutt’altro che piatta cosparsa di ghiaia e di sassi di dimensioni raccapriccianti.
Si guardò intorno come per cercare un qualcosa che lo facesse raccapezzare. Un particolare, qualunque cosa. A sinistra, una distesa immensa di girasoli e a destra campi di granoturco ancora poco cresciuto. Altro non si vedeva.
– Mi sa che ho sbagliato leggermente strada, porca malora troia. – lo disse a metà tra l’ironico e l’incazzato. Stando alle indicazioni seguite avrebbe dovuto trovarsi al centro di un paese con almeno duemila anime, cosa che non era sicuramente, a meno che non fossero tutti Puffi e allora, probabilmente, essere nascosti dentro uno dei campi antistanti, girasoli o granturco che fosse.
Decise di tornare indietro e proseguire diritto per la strada principale, alla faccia del tipo che lo aveva fatta finire lì in mezzo con le sue indicazioni di scorciatoie sicure. Con quattro manovre e qualche improperio a contorno riuscì ad invertire la marcia.
Questi inconvenienti sono cose da prendere con filosofia, come si suol dire, anzi, erano già da preventivare, vista la sfiga dell’incarico che gli avevano assegnato al giornale, o era più appropriato dire ‘affibbiato’. Si era sorbito più di 180 chilometri per andare a finire, se fosse riuscito ad arrivarci, in un paesino nel padovano ad intervistare un vecchio, probabilmente sclerotico e visionario, se non alcolizzato, che diceva di aver visto un UFO o qualcosa del genere. In redazione non erano stati molto precisi.
Si assestò meglio nel sedile per non sobbalzare troppo inforcando le inevitabili buche, al pensiero che come ammortizzatori quell’auto, la sua auto, faceva proprio schifo. Ormai era quasi ora di cambiarla.
Non aveva percorso ancora 200 metri e a seguito di uno scoppio la macchina sbandò. Dopo un attimo di panico riuscì a frenare e, seguito da un paio di sbalzi maggiorati dalla foratura, si fermò imprecando come un ossesso. Niente ilarità stavolta, questo era troppo pure per lui, anche perché si era subitamente ricordato che la ruota di scorta era completamente a terra. Da un mese almeno diceva di farla gonfiare ma aveva sempre rimandato.
– Fanculo. Fanculo. Fanculo. – Scese dall’auto sbattendo la portiera con violenza. Osservò il pneumatico anteriore sinistro completamente a terra e poi gli sferrò un calcio. – Fanculo anche tu! Schifosa di una gomma. –
Notò, vicino al cerchione, un chiodo piantato, di quelli belli grossi ed arrugginiti da tetano istantaneo. Annuì stizzito. – OK! – trasse un respiro profondo – Nessun problema. Una telefonata al soccorso stradale e farò due servizi in uno, recupero macchina e tutte le informazioni che mi servono. – Pensare in positivo era uno dei suoi punti fermi. Estrasse dal taschino della giacca il cellulare, ultima generazione, supermini e leggero come una piuma, un gioiellino di tecnologia. Premette l’interruttore accensione, prima l’aveva spento per evitare disturbi mentre era concentrato in ricerca strade, e formò il 116.
– E prendi la linea, accidenti a te… – lo scosse e si apprestò a ripetere il numero. BIP BIP. – Merda, è scarico. – Una minuscola scritta BAT, in nero su sfondo verde lampeggiò alcune volte prima che il telefonino morisse inderogabilmente. – E no, non puoi. Mi sei costato una cifra, bestia di un infernale aggeggio del c… Va bèh! Ho già capito tutto. –
E fu così che, rimesso il cellulare nel taschino, chiuse a chiave l’autovettura e si avviò lungo la strada tutta buche che d’asfalto non aveva mai sentito parlare.
Prima non l’aveva notata, ma c’era una casa, forse l’unica in tutta quella lunga via.
Aveva percorso circa un chilometro, probabilmente qualcosa di più quando, alla sua sinistra la vide attraverso gli steli scarni di piante di granturco ancora a inizio crescita.
Una stradina doveva pur esserci lì in mezzo a tutto quel verde e terra, per arrivarci a quella benedetta casa. Camminò per un altro paio di minuti e vide il sentiero. Lo imboccò maledendo un callo che da sotto il piede destro lo faceva zoppicare leggermente. – Con la fortuna che mi ritrovo oggi, minimo non ci trovo un cane. –
In cinque minuti raggiunse una minuscola aia e suonò al campanello di una casetta vecchia e decadente ma che dava però l’idea di essere abitata. C’era un senso di ordine in giro. Erba tagliata, un mucchio di legna ben accatastato. Vasi di fiori erano allineati vicino al muro per ordine di grandezza, decrescendo verso l’entrata.
Una tenda si scostò dalla finestra alla sua sinistra e, attraverso il vetro reso opaco dagli anni, scorse due occhi scaltri in un volto scarno e rugoso. Alcuni secondi dopo la porta, lentamente, si aprì cigolando ed apparve una vecchietta minuta con una sopravveste lunga e le babbucce ai piedi, una ‘mise’ completamente in nero.
– Buongiorno signora. Scusi se la disturbo ma ho forato una gomma, la più avanti – indicò la direzione con il braccio teso – se potessi fare una telefonata per chiamare il carroattrezzi le sarei molto grato. Naturalmente pagando per il disturbo. – A continuazione di una tipica giornata storta si stava già preparando psicologicamente alla notizia che la vecchietta era sprovvista di telefono.
– Signorina. – disse questa con un tono di voce tenue e tono piuttosto basso.
– Signorina, si. Scusi. –
– Venga pure. Signor… –
– Tosi. Franco Tosi. Sono un giornalista e sono arrivato da Milano per intervistare una persona. – si affrettò a dire. Essere giornalista, a volte, offre qualche vantaggio.
La vecchietta, nonostante l’apparenza, si proponeva sicuramente come intelligente e acuta, si trovò a constatare ad un’osservazione più attenta, ed anche parecchio in gamba. Lo precedette a passo spedito e lo portò fin davanti ad un telefono a tasti.
– Le va un tè freddo, signor Franco? – gli chiese mentre lui componeva il numero, – tanto il paese è a 10 chilometri e dovrà aspettare un poco. –
Franco sorrise ed accettò, grato di tanta gentilezza da parte della sua ospite.
Fatta la telefonata la ringraziò sentitamente, confermando l’affermazione precedente di voler pagare per il disturbo arrecatole, ma non ne venne a capo. Lei lo invitò a sedere sul divano vicino al telefono e in pochi secondi si allontanò, tornando con una caraffa colma di tè, due bicchieri ed alcuni biscotti su di un vassoio che pareva d’argento, e se non lo era perlomeno brillava uguale. I biscotti avevano il tipico aspetto di quelli fatti in casa, dalla forma leggermente diversa l’uno dall’altro, ma veramente invitanti.
Lui le chiese come si chiamava, Agnese, e le raccontò le sue ultime disavventure tanto per avviare un po’ la conversazione e passare il tempo nell’attesa dei soccorsi.
– E’ qui per il raduno? – intervenne lei, variando completamente il discorso.
– Come? –
– Le ho chiesto se è qui per il raduno. Un giornalista non fa tutta questa strada per niente. – ripeté.
– Sono qui per intervistare… aspetti che le dico il nome, me lo sono scritto da qualche parte. Così magari mi può anche dire dove posso rintracciarlo. – s’infilò una mano nella tasca destra dei pantaloni e ne estrasse un fogliettino spiegazzato. – Ranieri… Ranieri Walter. Via… Matteotti 21… Ma che raduno? –
– La Festa degli Angeli. Se deve parlare con il vecchio Walter è solo per la Festa degli Angeli. Se anche avesse dovuto intervistare qualcun altro sarebbe stato per la Festa degli Angeli. E’ l’unica cosa che smuove questo paese dal suo eterno torpore. – Aggiunse candidamente.
– No. – affermò sorpreso allargando le braccia – Non ne so proprio nulla. Però se vuole dirmi qualcosa… –
– Comunque non l’avrebbe chiamata nessun altro se non il vecchio Walter. E’ nuovo del paese prima di tutto. E poi, poveraccio, ha problemi seri di memoria, a volte non ricorda neppure cosa ha fatto un’ora prima ed è capace di ripetere le stesse cose per tutta una giornata come un disco incantato. –
La vecchia lo fissò dritto negli occhi. – Non le crederà nessuno, in seguito, se vorrà scriverci un articolo e raccontarlo al mondo. Sa, li hanno anche fotografati, ma poi allo sviluppo i negativi erano neri. Non sei il primo a passare. –
Accidenti agli Angeli, pensò, la vecchia Agnese mi pareva una personcina ammodo ed equilibrata e invece…
– Invece cosa? – disse ella scostandolo da quell’attimo di distrazione. – Hai pensato che mi credeva ammodo ed equilibrata, e invece? –
Franco ci rimase malissimo. – Ma… non ho aperto bocca… io… –
La minuta vecchietta gli sorrise amabilmente, il suo sguardo era dolce come quando si trova un gattino spaesato davanti all’uscio di casa. – Ci sono tante cose a questo mondo che non conosci, ragazzo mio. –
– Mi ha letto nel pensiero? –
– Si, certamente. Lo trovi… strano? – Agnese parlava con lui, adesso, mantenendo quel tono materno che aveva gradualmente assunto.
Non è possibile, pensò Franco, sto dando i numeri, è lo stress…
– Non è lo stress e non stai dando i numeri – ribatté subito la vecchia senza dargli tregua, – prendilo come un dato di fatto. Qualcosa di anomalo certamente, un dono in più di madre natura se vuoi, ma un dato di fatto e basta. –
Franco si sentiva piuttosto confuso. La vecchia esprimeva un ché di ipnotico, di convincente, di buono e di strano tutto mescolato insieme in modo indefinito.
– Vuoi sapere degli Angeli? – lo incalzò nuovamente prendendolo in contropiede.
– Si. – La risposta gli venne automatica. La sua bocca si era aperta ed espressa al posto suo.
– Va bene. In ogni modo sappi che, tu ci creda o no, non riuscire a provare niente nel primo caso e non vedrai niente nel secondo. Così è sempre stato. –
Franco accennò ad un si muovendo su e giù la testa. Il suo stato mentale gli suggeriva che piuttosto di pensare era meglio stare ad ascoltare la storia di Agnese. Le decisioni erano rimandate al dopo.
La vecchia prese a raccontare, la voce pacata e gradevolmente intonata.
– Ogni anno qui in paese si svolge la Festa degli Angeli. Inizia a mezzanotte del Solstizio d’estate, il 21 giugno, e va avanti fino alla mattina. Non è proprio in paese, ma da qui la distanza è pressoché uguale. Se prosegui per questa strada tra quattro o cinque chilometri tenderà a sinistra e a salire. Se vai per quella principale, poco prima di giungere in centro c’è una stradina ancora più stretta di questa. E’ sulla destra e non è asfaltata, come quasi tutte del resto. Si fatica a vederla quando si forma l’erba, però se si cerca si trova, come dice un proverbio, e una volta imboccata prosegue diritta per un pezzo e poi diventa in salita. Tutte e due portano ad una collinetta che in linea d’aria disterà otto chilometri più o meno, e sopra c’è una villa con un parco, piccolo ma molto bello e fiorito. Li, tutti gli anni come dicevo prima, gli Angeli si radunano e fanno festa fino al mattino, liberi da ogni limitazione terrena. Sembra che ce ne giungano a centinaia, ma è difficile riconoscerli perché ai nostri occhi sono come noi e riescono ad arrivare alla villa senza farsi notare. Non sempre però, qualcuno è stato riconosciuto non so come e qualcun altro è stato visto andarci in volo e forse l’intervista che devi fare più che un avvistamento UFO è stato qualcuno di loro ha anticipato la sua ‘liberazione.’ –
– Non mi pare di aver mai parlato di avvistamenti UFO. – obiettò Franco interrompendo il discorso.
– Bisogna sempre parlare per sapere le cose? – L’espressione di Agnese riluceva di una tranquillità disarmante.
– E poi? – chiese Franco alla pausa della vecchia, non rimanendogli niente da controbattere.
– E poi basta, è tutto qui. E’ arrivato il carroattrezzi. – Si sentì il rumore di una frenata e il balbettìo distinto di un motore diesel, e fu come spezzare un filo. Franco rimase come risvegliato da un incantesimo dalla fretta di ripartire.
– Bèh Agnese -, iniziò con notevole imbarazzo estraendo il portafogli – insisto. Voglio sdebitarmi per il disturbo. –
Lei gli si era già avvicinata e posandogli la mano sulle sue intente a trafficare tra le banconote lo bloccò e disse – lascia stare. Un tè in compagnia e due chiacchiere tra amici sono più di quanto si possa chiedere. – Sorrise. – Sei un bravo ragazzo. Ricordati però una cosa, i fatti sono reali ma dimostrarli, i fatti, è tutto un altro essere. Senza qualcosa di oggettivo in mano non puoi fare assolutamente niente. E quando si tratta di qualcosa di ‘diverso’ – sottolineò la parola – allora anche una dimostrazione può non servire a niente. Non farti influenzare e segui il tuo cuore… e forse anche il tuo destino. –
Rimasto senza parole per l’ennesima volta e alquanto frastornato dall’anormalità dei discorsi, Franco si lasciò accompagnare alla porta, riuscendo a mormorare un ‘grazie’ appena distinguibile. Si voltò a guardare il mezzo di soccorso, giallo e blu con la scritta ACI 116 sulla portiera e fece un cenno all’autista. Si rivoltò a cercare Agnese ma questa non c’era già più e l’uscio di casa era chiuso. Non aveva fatto nessun rumore, oppure il carroattrezzi aveva coperto tutto con il suo rombare scoppiettante da motore diesel.
Il clacson del mezzo di soccorso lo richiamò e, una volta scosso, si avviò rapido a salire nella cabina assieme all’autista.
Ci vollero tre ore abbondanti per recuperare l’auto, portarla in paese all’officina e far riparare la ruota oltre a rigonfiare quella di scorta.
Nel frattempo Franco, informatosi su dove poteva rintracciare il suo interlocutore dato che si era scordato di farselo dire dalla vecchia Agnese, si era scarabocchiato una specie di cartina del luogo con i punti principali di riferimento che gli interessavano. La casa di Walter Ranieri, fuori centro un paio di chilometri dalla parte opposta alla direzione del suo arrivo, troppo distante per andare a piedi a fare l’intervista. Il centro del paese, con le sue due vie principali che s’incrociano a X in mezzo ad una piccola piazza. La casa della vecchia strana e simpatica Agnese e infine la collina degli Angeli, con le sue due vie di accesso.
La storia lo stava attirando, foss’anche una bufala. Ci si può sempre ricamare sopra. Forse non era abbastanza succosa per un articolo da prima pagina, ma un po’ di righe nelle pagine delle curiosità gli avrebbero portato in tasca qualcosa e magari, se andava bene ci stava una serie di articoli in tema. Le notizie di quel tipo incuriosivano più gente di quanta sembrasse, lo sapeva per esperienza personale. Era curioso, tremendamente incuriosito e stuzzicato.
Qualche voce tra i locali l’aveva captata. Chiacchierii simili a segreti di stato, voci in sottotono che si riattivavano alla presenza dello ‘Straniero’ che vagava per il paese, mezze frasi buttate in una strana e totale agitazione da fatto in imminente svolgimento. Tutti sapevano ma nessuno parlava apertamente.
Da buon giornalista valeva la pena saperne di più, tentare di scoprire qualcosa. Telefonò al giornale da un bar, visto che il suo cellulare era in macchina attaccato all’accendisigari per ricaricarsi.
Tornato all’officina ingannò l’attesa tentando di scucire qualche informazione al meccanico, ma un muro sarebbe stato certamente più loquace e forse anche più intelligente.
Erano da poco scoccate le cinque pomeridiane quando, d’umore nerissimo, risalì in macchina dopo essere stato salassato nelle finanze per i lavori sulla vettura. Per la stessa cifra avrebbe potuto comprarsene almeno un treno nuove, di gomme. Dopo dieci minuti aveva già rintracciato Ranieri ed era seduto a tavola, in cucina a casa sua, con lui davanti ad un bicchiere di vino che non aveva niente da invidiare all’acido muriatico in quanto a gusto.
Walter Ranieri dimostrava almeno una settantina d’anni. Era chiaramente a disagio in presenza di Franco. Si notava chiaramente che intendeva parlare ma era titubante, la tipica titubanza di chi vuole dire qualcosa senza passare per ignorante o scemo o credulone e non sa da dove cominciare.
Da mestiere, Franco lo mise a suo agio più che poté e dopo qualche frase molto sul cortese e un minimo d’incoraggiamento Walter partì cauto nel suo racconto, dapprima in modo un po’ sconnesso, nervoso e pieno di pause, poi man mano più sicuro e preciso nei particolari, convinto nell’esposizione e convincente nell’argomentazione.
– E’ stato due giorni fa. Erano le sette di sera, esatte. Sono sicuro sull’ora. Avevo appena guardato l’orologio perché le campane in paese stavano ancora suonando. Avevo finito di zappare l’orto e volevo andare in casa per rinfrescarmi poiché ero sudato e impolverato, dopo tutto un pomeriggio fuori non ne vedevo l’ora, quando ho visto qualcosa con la coda dell’occhio sopra la casa. Non sul tetto, su in aria, in alto. Mi erano sembrati due uccelli, grossi, ma due uccelli. Però erano troppo grossi. Qui da noi non ce ne sono di quelle dimensioni e la cosa mi è parsa subito anomala. Se prima, distrattamente, era stata una cosa a cui non avevo fatto caso, un momento dopo ero incuriosito e volevo vedere che razza di uccelli erano. Guardai in su e li vidi. Erano uomini con le ali. –
Il vecchio smise di parlare ed osservò Franco, sicuramente per testarne la reazione.
Questi rimase serio, continuando a dimostrare interesse ed esortandolo a riprendere il racconto. – Interessante. Avevo sentito qualcosa in proposito. – Buttò l’amo con la frase già collaudata in varie occasioni. – Continui pure la prego, se c’è dell’altro. –
Non se lo fece dire di nuovo.
– Incredibile vero? Uomini con le ali. Erano nudi, con ali bianche e grandi e pareva che stessero parlando tra loro come in una passeggiata in piazza. Le ali si muovevano lentamente, erano… sospesi in aria. Li ho seguiti per almeno cinque minuti, poi tra casa e alberi sono spariti e non li ho più rivisti. Sono anche andato al primo piano della casa e poi alla finestra in soffitta ma non li ho proprio più visti. Ero scosso, davvero. Mi sono bevuto un paio di bicchieri di vino per riprendermi. Forse erano anche 4 o 5 i bicchieri ma non importa, non ero ubriaco quando li ho visti. Dopo forse… di sicuro, ma prima no. Ci tengo a precisarlo. –
L’uomo, Walter, ora si rivolgeva a Franco, dalla cui reazione dipendeva sicuramente il modo di proseguire il loro contatto. O continuava a parlare come una fiumana in piena ad un ascoltatore recettivo, o si sarebbe schermato dietro il più completo silenzio ad un comportamento incredulo, o poco chiaro, o sfottente.
Franco aveva annotato tutto, rapidamente e nelle parti essenziali, su di un block-note. Finì di scrivere le ultime parole e girò foglio. Un pizzicorino alla base del collo lo metteva sull’attenti. Non aveva mai creduto nel soprannaturale ma… C’era qualcosa, lo percepiva. Il vecchio non stava mentendo. Non gli sembrava né stupido né un caso da allucinazioni e c’era un quelché in più, non sapeva cosa ma l’aria, il paese, tutta la zona ne era impregnata. Era come se qualcuno avesse mollato in giro tonnellate di un gas particolare e l’ambiente ne risultava saturo. Se ne sentiva l’odore, se ne captava l’intensità. Lo cosa era insieme preoccupante ed eccitante, gli sarebbe piaciuto scoprire una qualche anomalia, qualcosa di… diverso? Sì, diverso. – In che direzione andavano gli ‘Angeli’? – chiese.
– Verso… – il vecchio si bloccò. Finora la parola ‘Angeli’ non era mai stata usata, neanche al singolare. – Lei sa qualcosa, vero? – cambiò tono Walter. Ora somigliavano più ad un paio di amici d’antica data che da piccoli credevano alle streghe ed ora, adulti e dopo tanti anni di cruda realtà, scoprono di crederci ancora.
Alla domanda Franco non parlò ma accennò un sì, muovendo la testa.
– Andavano verso la collina. Alla villa, sicuramente alla festa degli Angeli. – Fece una pausa di qualche secondo, riflessiva, prima di riprendere. – Ci ho pensato dopo… per questo ho telefonato. La mia memoria è un po’ così va e viene, è l’età mi dice sempre il dottore. Non è da ridere? Quando la mia testa funziona so di non avere testa e quando non funziona sono convinto di averla. Io non abito qui da molto, un paio d’anni. La casa era del mio fratellastro, me l’ha lasciata quando è morto. In paese di Angeli e della festa ne avevo sentito parlare molto poco. Pare che siano discorsi che debbano rimanere tra i locali e, ultimamente ho sentito qualcosa di più. Forse cominciano a considerarmi uno del luogo. In ogni caso ne avevo sentito parlare… non ne avevo mai visto uno, a differenza di altra gente. E’ diverso, tra sentir dire e vedere. E’ diverso, molto. Forse non dovevo ma ormai avevo telefonato ed eccoci qui a parlare di Angeli. Non pensavo venisse qualcuno. –
Franco accennò un sorriso. – Cos’altro sa di questa festa? – chiese continuando a scrivere in un corsivo leggibile per pochi.
– Quasi niente… –
Franco si sentì ripetere a grandi linee quello che la vecchia Agnese gli aveva già riferito.
– Perché ha telefonato? –
La domanda lasciò Walter perplesso.
– Intendo – fece per spiegarsi meglio Franco – il motivo reale. Vuol far conoscere a tutti l’esistenza degli Angeli o lo ritiene un fenomeno da studiare o un pericolo da eliminare, o qualcos’altro. Perché? –
La risposta fu un – non lo so – e dopo un attimo di pausa aggiunse – paura. Forse. –
– Ha idea del motivo per il quale questa notizia non ha ancora fatto il giro del mondo? E si che è una notizia bomba. Qualcuno mi ha detto che non riuscirò mai a provare niente, anche se riuscissi a vedere e a capirci qualcosa. –
Walter non gli seppe rispondere. A Franco fu chiaro che era giunto il momento di congedarsi, l’argomento era esaurito. Nessun altro commento, nessuna richiesta, nessuna promessa. Un arrivederci detto da entrambi sulla soglia di casa e tutti e due sapevano essere un ‘addio’, un ‘a mai più rivederci’. Era normale.
Franco era in macchina, diretto verso il centro del paese.
Pensieri su pensieri lo tenevano in uno stato di confusione dal quale non riusciva a districarsi. Un’idea particolare si faceva strada a spintoni in quel guazzabuglio e resisteva a tutti i tentativi di logica soppressione.
La sua parte pensante più prudente gli suggeriva di chiudere lì, confermandogli che l’incarico era stato svolto e poteva scrivere non uno ma ben due articoli, assommando ciò che gli avevano detto prima Agnese e poi Walter, uno sugli Angeli e uno sull’avvistamento; poteva avviarsi sulla strada del ritorno e non stare a scervellarsi inutilmente.
La parte meno raziocinante, quella istintiva, selvatica e curiosa, gli diceva di arrivare alla villa, spronandolo a mettersi ad indagare.
Strano ma vero, era una delle pochissime volte che questa seconda parte stava per riuscire ad avere il sopravvento. Non era per paura o per pigrizia, ma di solito non ne valeva la pena. Stavolta invece era una di quelle poche occasioni nelle quali la faccenda si prospettava interessante.
Mancava poco alla strada sterrata che portava a casa della vecchia Agnese e poi, proseguendo, alla collina degli Angeli. Ancora in bilico sulla decisione, ma era solo una proforma di tipo psicologico, giunto all’incrocio svoltò bruscamente all’ultimo istante rasentando il ciglio della strada.
– Bene, ora si balla. – Furono le uniche parole a voce alta di tutto il tragitto, anche perché parlare da soli non è molto edificante, che si concluse alla base della collinetta in mezzo ad alcuni filari di viti, posti in centro ad un campetto di girasoli.
– Posto giusto per attendere il buio e poi andare. Nel frattempo qualche piano più o meno serio si può buttare in andazzo. – Con questi buoni propositi scese dall’auto e nel baule cercò la torcia elettrica. Visto l’andamento della giornata era meglio controllare se funzionava e ben sperare. La trovò e la provò. Tutto bene, almeno questa.
Si risedette in macchina, sospirando al primo momento somigliante ad un po’ di relax. Guardò l’ora nell’orologio sul cruscotto. 19.30. Aveva lasciato l’abitazione di Walter Ranieri alle 18 e 30 circa e dopo esserci rimasto per un’oretta abbondante. Non doveva attendere molto per entrare in azione, un’ora e mezza o tre quarti al massimo.
La villa l’aveva intravista e sembrava deserta, ma quel famoso senso di generale presenza oppressiva era molto più intenso. Trasse un bel sospiro appoggiando le spalle allo schienale e la testa alla sua estensione, osservò l’orizzonte. In mezzo, i radi viticci intrecciati si stendevano disordinatamente senza riuscire a raggiungersi tra filare e filare. Il cielo era limpido, azzurro, striato di bianco da qualche nuvoletta inconsistente. Il primo accenno di rosso in basso gli faceva presagire un imminente e tranquillo tramonto di fine primavera.
Rimase così, in contemplazione. Il peso della giornata intensa ed il caldo iniziarono a farsi sentire al primo attimo di rilassamento vero che si concedeva dopo la levataccia mattutina, il viaggio ed il resto.
– Ancora una mezz’ora e poi… – si era accorto che stava rapidamente lasciando il mondo reale per un altro dove si vaga ad occhi chiusi. Era veramente così stanco? Riuscì a chiedersi prima di addormentarsi, o era… qualcos’altro?…
Il risveglio fu brusco.
Un suono acuto anche se distante lo aveva fatto sobbalzare, penetrando nell’isolamento creato del sonno profondo.
Era buio. Se ne rese conto praticamente subito e guardò l’orologio sul cruscotto della vettura. La sensazione di essersi appisolato per un attimo era completamente sballata. Mezzanotte.
Il ‘Giornalista’ si appropriò quasi immediatamente dell’entità Franco scalzando tutto il resto. Il ‘quasi’ erano una caterva di improperi lanciati mentalmente per non fare rumore, da buon professionista qual era.
Scese dall’auto e si diresse alla strada pochi passi dietro di lui e prese a percorrerla mantenendosi sul ciglio e il più in ombra possibile. Lampioni non ve n’erano ma luna e stelle si davano da fare più che a sufficienza.
Libero da altri pensieri tentò inutilmente di decifrare suoni e rumori che provenivano da sopra la collinetta. Giungevano comunque di sicuro dalla villa. Qualcosa stava succedendo e lui avrebbe scoperto cosa. Aveva dormito alla grossa per non accorgersi di niente ma ormai non poteva star certo a recriminare.
Percorse circa duecento metri e, dopo una curva a sinistra sulla salita, scorse distintamente la sagoma della costruzione. Tutte le finestre erano illuminate ma niente di innaturale, solo un grande dispendio di elettricità. – Sarà contenta l’Enel quando stilerà la fattura. – si ritrovò a pensare Franco, inarcando la bocca a formare un leggero sorriso.
Continuò a salire e ripensò a tutta la storia sugli Angeli, iniziando a farsi l’idea che fosse solo una fesseria e che stava perdendo tempo andando ad investigare ad una festa mondana di industriali e arricchiti, che bevono come spugne e sniffano chili di coca, con contorno di qualche tartina al caviale e battone di classe. Riprese la salita e giunse, dopo l’ultima curva, ad una cinquantina di metri dal limite della proprietà.
La villa era a due piani oltre il piano terra, con ingresso centrale. Sopra quest’ultimo, una per piano, due porte con relativo balcone. Tre a destra ed altrettante a sinistra erano le finestre e le luci interne, tutte accese, amplificavano i rari tratti illuminati all’esterno di un bianco sfavillante, facendoli risaltare in quel miscuglio d’ombre di forme geometriche che si veniva a creare dell’intersecarsi di tutte quelle proiezioni.
Un passaggio largo circa quattro metri, limitato da un paio di piloni in pietra a vista in un basso muretto di un metro scarso, era l’unico accesso che si notava, e andava dritto alla porta principale arrivandoci dopo una sessantina di metri di ghiaia bianca e grigia. All’esterno non vi erano sorgenti luminose. Imboccò il vialetto e si fermò due passi dentro ad osservare attentamente.
Ora c’era qualcosa di strano. Nessuna automobile o un mezzo che fosse uno era visibile dentro a quel parchetto cosparso di forme vegetali non molto comprensibili, almeno così nell’oscurità. Forse erano parcheggiate sul retro, suppose, ma sapeva che non era così.
Si continuava a percepire un gran rumoreggiare, molto più forte ma ancora comprensibile. Parevano in ogni caso voci, tante voci acute e sovrapposte. Non vi era però nessuna traccia di movimento ed era, la staticità generale, veramente fuori dal normale.
Gli vennero alla mente quasi tutti i nomi dei films di Hitchcock e si soffermò un attimo in più sulle immagini rimembrate di ‘Uccelli’. Merli, colombe e i loro colleghi alati infestavano il cielo come ad una invasione di cavallette.
Si vide nella scena mentre un paio di loro si stavano staccando dal girovagare in aria per farglisi incontro a folle velocità. Scendendo si ingrandivano, ma non solo per l’avvicinamento. Le loro dimensioni continuavano ad aumentare e da due colombe (colombe?) si stavano trasformando in due uomini, nudi, con grandi e bianchissime ali attaccate sulla schiena che si muovevano appena come vibrando. Gli erano quasi addosso ed ognuna delle ali, adesso così vicina, era più grande del suo proprietario. Mentre stavano per afferrarlo l’immagine svanì. La paura forse gli aveva inconsciamente ricordato che era davanti alla villetta dal ‘tempo bloccato’ e non in un film, anche se del grande e mitico Hitchcock.
‘Tempo bloccato’!! L’idea scaturita da sola lo portò a verificare guardando l’orologio, ma questo proseguiva nel suo lavoro di segnalare l’avanzare di secondi, minuti ed ore. Un’altra delusione in quell’irreale situazione, che proseguendo per quella direzione di pensiero rischiava di trasformarlo in un pauroso nevrotico senza nessuna idea sul come proseguire la sua indagine. Alla faccia del giornalista professionista.
Di botto quell’odore, quella presenza olfattiva quasi tangibile che aveva riscontrato in tutta la zona scordandosene forse per abitudine, gli fece arricciare il naso a mo’ di stazione di rilevamento.
Tentò di catalogarlo, ma non conosceva quell’odore. Il suo sistema lo archiviò tra i nuovi e nel contempo un impulso interno, sotto forma di ‘vocina’, lo incitò a mettere da parte remore e paure e ad entrare in quella casa. Andare una volta per tutte a vedere che cavolo c’era dentro, angeli o non angeli, Hitchcock o non Hitchcock.
Affrontò rapidamente l’ultimo tratto e si parò davanti al portone d’ingresso, rendendosi conto che quell’odore gli stava come invadendo la mente, rendendolo meno lucido e meno attento. Continuava a sentire quel brusìo di voci, ma adesso parevano più distanti.
Cercò il pulsante del campanello ridendo al pensiero di un cherubino con l’arpa, che presentandosi sospeso a mezz’aria lo invitava ad entrare dopo avergli aperto la porta. L’annuncio: Franco Tosi, giornalista. Senza invito, tanto non può provare niente. Si accomodi.
– Sveglia scemo – si disse scuotendo la testa – non è il momento di andare in tilt adesso. – Trasse un profondo respiro ma si sentiva annebbiato e inconnettivo, la testa pesante come dopo una sbornia. Con uno sforzo non indifferente si concentrò sull’accesso notando la dissimmetria delle due ante. Era aperta.
Si accostò alla porta e lentamente la spinse creando una fessura e cercò di guardare dentro, non vedendo nient’altro che un angolo di stanza illuminato. Si aprì un varco maggiore e infilò incautamente la testa, pensando che normalmente non si sarebbe mai comportato in modo così poco scaltro, ma non gli interessava. Era ebbro proprio come una bevuta o… ‘ossigeno puro’. Eccola l’idea che vagava tra le pareti del suo cranio senza riuscire ad interconnettersi, ossigeno; respirarlo ha gli stessi effetti di una sbronza. Che sia la causa del suo stato euforico attuale? Vuoi che qualcuno…?
Concluse il suo pensiero con un ‘chissenefrega’. Era certo che la stanza fosse vuota, e così entrò in quello che altro non era che una grande stanza vuota e odorosa…
Fu come se il pavimento con annessa stanza si fosse volatilizzato. La sensazione di vuoto sotto i piedi durò un attimo, sostituita da un’idea di leggerezza estrema e di spinta in avanti. Luce bianca, fioca e frizzante al tempo stesso. Vi era dentro, sospeso.
Le voci erano adesso tutt’intorno, amplificate ma prive di direzione e di significato. Franco ne rimase ammaliato, ipnotizzato, e dopo un momento di indefinibile durata se ne sentì parte, integrato fino al midollo in quella cosa che non sapeva cosa fosse e dove fosse, o se fosse qualcosa di quantificabile, classificabile oppure no.
Tutto però gli risultava familiare, fin troppo. Era una sensazione che gli proveniva da dentro, in qualche recesso di quell’anima forse molto più vecchia del suo corpo. Un involucro si ritrovò a definirlo, sentendosi come un uomo dentro la carcassa di un’auto che sta per essere schiacciata in una pressa da sfasc
LA FESTA DEGLI ANGELI