Intervento divino è un film ironico leggero, che non ti aspetteresti trattando della Palestina, oggi. Presentato all’edizione 2002 del festival del cinema francese di Firenze (in quanto coproduzione francese) ed uscito miracolosamente in Italia all’inizio di novembre, è l’opera seconda di Elia Suleiman, documentarista e cineasta palestinese, naif e autodidatta, che rifiuta i racconti lineari, preferisce le ellisse e lascia spazio all’immaginazione e all’interpretazione dello spettatore. Il suo cinema ricorda nei toni un po’ Jacques Tati, un po’ Aki Kaurismaki; la faccia di Suleiman, anche attore, sembra quella di un Buster Keaton arabo, muto ed impassibile.
Il titolo allude al potere dell’immaginazione: prendi un prigioniero, dice il regista, mettilo in una cella di tre metri per tre, può sempre liberarsi con l’immaginazione, a dispetto di tutte le oppressioni: tema che il cinema e la letteratura ci hanno più volte raccontato, come ne Il bacio della donna ragno. L’immagine sembra essere anche l’ultima risorsa a disposizione dei palestinesi.
Il film è costruito, per sketch e gag ripetute, intorno a due simboli: l’amore che non conosce limiti, neanche nelle peggiori situazioni, e un check point (nei territori occupati) che blocca tutto.
Cinema di resistenza, che riflette con ironia, humour nero e spunti surreali, sugli effetti della violenza nella vita quotidiana delle persone, con molta autoironia anche sulla stessa condizione del popolo palestinese, dalla cui parte si schiera, naturalmente.
Il film non mostra le immagini sensazionali di morte e devastazione che vediamo tutti i giorni in tv, ma la sottile piccola violenza dei gesti quotidiani tra vicini, tra palestini stessi, l’odio e il dispetto dell’uno contro l’altro, in una società in cui violenza e conflitto sembrano (e come potrebbe essere altrimenti) permeare ogni rapporto umano: un uomo getta con noncuranza e ripetutamente i suoi rifiuti nel giardino del vicino, un altro raccoglie sulla sua terrazza il pallone con cui un ragazzo sta giocando e invece di renderglielo lo buca; mostra anche la stupidità e l’accanimento dei soldati con la stella di Davide contro coloro che abitano i territori occupati: un militare costringe i guidatori di una serie di macchine ferme al posto di blocco a scambiarsi di posto alla guida dei veicoli, prima di farli ripartire.
L’assurdità della vita quotidiana durante una guerra sempre presente toglie la parola e costringe due innamorati ad incontrarsi nel parcheggio del posto di blocco, permette loro solo di sfiorarsi le mani e di assistere attoniti a scene di ordinaria follia surreale.
Ma l’immaginazione (che sembra essere soprattutto quella femminile) consente di passare oltre tutte le barriere e i confini a testa alta, di sognare perfino una vendetta contro la violenza, gli spari, i soprusi: così la protagonista si trasforma in una guerriera ninja invulnerabile, agile e imprendibile.
L’immaginazione di Suleiman lo fa sognare invece uno stato unico, senza barriere e muri, in cui israeliani e palestinesi possano convivere insieme pacificamente.
Nell’ultima scena la pentola a pressione fischia: sta per scoppiare?
Commedia dell’assurdo in Palestina
Paolo Baldi