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La fine di una civiltà che si credeva immortale

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La fine di una civiltà che si credeva immortale
(da COMUNICA n.2)

"La luce cominciò a penetrare la nube che copriva la valle, e i cipressi si ersero d’un tratto come sentinelle sul crinale dei colli (…)". Era l’Annus Domini 476. La pianura ricoperta da una coltre di nebbia quella tra Pavia e Piacenza e lì vi era il campo della Legio Nova Invicta, leggendario baluardo della romanità a difesa di Romolo Augusto, un ragazzo di tredici anni, l’ultimo imperatore romano d’Occidente.
A narrarcelo è Valerio Massimo Manfredi, che col suo romanzo, "L’ultima legione" (Ed. Mondadori, pagg.472, Euro17,60), ci regala pagine indimenticabili dove ideali, amicizia, coraggio, altruismo e speranza si fondono a fare da cornice ad un mondo, quello dell’antica Roma, malinconico nel suo inarrestabile percorso verso il tramonto.
Solo un viaggio nel passato? Un romanzo ambientato al tempo dei romani? No, molto molto di più. Chi del resto conosce Manfredi, chi ha letto "Alèxandros" o "Chimaira" può immaginarlo. "Mentre scrivevo questo romanzo – ha confessato l’autore al pubblico modenese cui ha presentato l’opera – accadde l’attentato dell’11 settembre.
Ero a metà e sono entrato in uno stato d’animo strano, cupo, perché mi sono reso conto veramente di come una civiltà, un impero che pensa di essere immortale può invece andare distrutta in un batter d’occhio".
Siamo allora nel passato, ma con un occhio rivolto al nostro presente, nella consapevolezza che a tutto c’è una fine. "L’Impero romano era mirabile, immenso – ha ricordato Manfredi con tono di ammirazione ed affetto -, difeso da una cintura militare incredibile, che si estendeva per oltre 8mila chilometri, 11 flotte, 34 legioni…". Giunse il tempo di Nerva e Traiano, il tempo di ben 100 anni di pace, con principi sani, saggi, valorosi, e poi, ahimè, quello delle invasioni barbariche. Ed ecco gli imperatori soldati, uomini che combattono sul fronte, che spesso sul fronte muoiono, uomini che hanno dedicato mirabilmente la vita a un grandioso complesso imperiale. Fino a quando fu eletto un ragazzino di soli 13 anni, e quando questo piccolo imperatore fu innalzato dalle truppe nessuno si accorse che cadeva, crollava, moriva un mondo che si era creduto eterno e immortale, il mondo di Virgilio, di Seneca, di Cesare. "Imperatori che cambiano quasi ogni anno, i barbari in tutti i posti di comando e ora l’assurdità più grande di tutte: un moccioso sul trono dei Cesari, Romolo Augusto – commentano i soldati -! Un ragazzino di tredici anni che non ha nemmeno la forza di reggere lo scettro dovrebbe reggere le sorti del mondo, almeno d’Occidente. No davvero, io la faccio finita, me ne vado". Poi Odoacre, il generale germanico, fa sterminare la famiglia imperiale, depone Romolo Augusto e lo confina nell’isola di Capri: ecco il sipario calare tristemente sulla civiltà romana!
Ma non tutto è perduto, non tutti sono morti e dal campo legionario risorge un pugno di legionari che paiono immortali, tra cui lui, Meridius Ambrosinus, enigmatico protettore del piccolo imperatore, anche a costo della vita, nonché protagonista quasi assoluto de "L’ultima legione".
Così si chiude con la speranza questo straordinario romanzo, quella di una nuova civiltà al suo stadio nascente.
"Credo che un libro ci debba far sognare – ha concluso lo scrittore – ed è quello che ho cercato di fare". E c’è riuscito, indubbiamente: ci ha donato un romanzo emozionante, una storia che è un’ipotesi quasi pazzesca inquadrata però in una situazione assolutamente reale, il crollo di un universo. Un crollo che poco tempo fa le Torri Gemelle ci hanno rammentato.

Francesca Orlando

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