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John Paul Jones

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John Paul Jones
The Thunderthief
(Discipline Global Music, 2001)

John Paul Jones, l’uomo del Royal Orleans, il mitico bassista degli Zeppelin, è tornato. A due anni di distanza dallo stupefacente Zooma, si ripresenta al pubblico con un lavoro nuovo di zecca che esce ancora sotto etichetta Discipline Global Music: è giusto in questo caso dare un certo risalto anche a chi pubblica il lavoro, in particolare perché la DGM, vera e propria mosca bianca del panorama discografico, lascia ai propri artisti la piena titolarità del copyright relativo ai lavori realizzati. Una scelta coraggiosa, senza dubbio difficilmente estensibile a realtà discografiche più grandi ed articolate ma nondimeno degna di nota.
Passando ora al disco vero e proprio, sarà opportuno dire che si compone di nove tracce tutte firmate JPJ, ad esclusione del traditional che risponde al nome di Down To The River To Pray (comunque da lui arrangiato) e delle lyrics di The Thunderthief ed Ice Fishing At Night, opera di Peter Blegvad. Come nel precedente Zooma¸ Jones non è solo autore pressoché unico di tutte le tracce ma anche polistrumentista; nonché, va quasi da sé, titolare della produzione, della registrazione e del mixaggio. Varrà la pena di elencare, tanto per curiosità, tutte le attrezzature alle quali egli ha messo mano in sala prove: basso a 4, 6, 10 e 12 corde; bass steel guitar; chitarra elettrica ed acustica; mandolino; mandolino elettrico; bass mandolin; mandolino a tre manici; mandola elettrica; piano; organo; sintetizzatore; Kyma; koto; autoharp; ukulele. Niente male, vero? L’unica incombenza di un certo rilievo lasciata ad altri, nella fattispecie a Terl Bryant, sono le percussioni, perché in quest’album John Paul si cala addirittura nei panni di… cantante. The Thunderthief non è infatti un album esclusivamente strumentale: i vocals rappresentano in effetti la più sensibile innovazione riscontrabile rispetto al lavoro d’esordio, con il quale invece questo condivide abbastanza evidentemente la matrice stilistica e sonora.
Che John Paul Jones fosse un’artista eccezionale e dai molteplici orizzonti musicali lo si era capito già trent’anni fa, quando proponeva i suoi fiabeschi arrangiamenti per i pezzi più melodici e meditabondi dei Led Zeppelin; ne’ all’epoca era sfuggita la sua straordinaria padronanza tecnica degli strumenti, nella fattispecie basso e tastiere, con i quali si cimentava con maggiore frequenza. Nonostante questo, il suo valore non poteva che essere messo inevitabilmente in ombra dalla presenza all’interno dello stesso gruppo di due giganti quali Robert Plant e Jimmy Page, talmente eccelsi nel proprio ambito (e forti di una presenza scenica più esuberante) da condannare John Paul ad un ruolo di secondo piano. Lui stesso peraltro non ha mai amato alla follia le luci della ribalta: non è un caso che, se escludiamo la colonna sonora da lui approntata per il film Scream For Help, il suo debutto da solista post-Zep si sia fatto attendere quasi vent’anni dal momento dello scioglimento del gruppo. Apprezzatissimo arrangiatore, si è dedicato in quegli anni soprattutto a sviluppare idee altrui e ad offrire loro uno scenario musicale adeguato: compito esercitato con la consueta professionalità, ovviamente.
Ascoltare un album di John Paul Jones è un’esperienza assai gratificante. La sua musica pare sospesa al di là del tempo, ricca com’è di suggestioni riconducibili a mille ambiti differenti e di sfaccettature sempre mutevoli. Nei momenti più suggestivi sconfina nel jazz, in altre circostanze lambisce con eleganza il mondo del rock d’autore, altrove ancora svela un gusto per il riff che rimanda direttamente allo stregone Jimmy Page dei tempi d’oro. Difficile non percepirne il fascino, tra l’altro amplificato dal registro sonoro assai ampio e raffinato che un’artista di questo calibro può permettersi di mettere su disco. Siamo nell’ambito di una musica coltissima, tecnicamente ineccepibile; la quale però non cade mai in virtuosismi fini a sé stessi, che John Paul sarebbe sicuramente in grado di proporre ma che penalizzerebbero irrimediabilmente la resa finale del prodotto, trasformandolo in un freddo esercizio di stile.
Difficile indicare in assoluto una preferenza tra Zooma ed il presente lavoro. L’introduzione dei vocals turba un po’ l’equilibrio instaurato nel lavoro precedente ma nel contempo arricchisce ulteriormente la tavolozza di colori: a decidere se sia stata una scelta opportuna penserà personalmente ogni ascoltatore. D’altra parte è comunque vero che The Thunderthief rimane, a mio modo di vedere, un album ancora sostanzialmente strumentale, nel senso che la linea melodica non esula mai dal suo ruolo di accompagnamento alla struttura musicale e non sconfina mai sopra le righe; ed il basso, strumento al quale senza dubbio è legata una parte imprescindibile della carriera artistica di John Paul, continua ad essere lo strumento più vitale e trascinante in più di un brano.
Mi sentirei di consigliare a occhi chiusi The Thunderthief a chiunque abbia apprezzato l’esordio solista di JPJ, ed in generale a chiunque apprezzi il rock strumentale aperto alle contaminazioni con jazz e folk. Per coloro i quali invece John Paul sarà sempre e solo il bassista dei Led Zeppelin, quest’album potrebbe riservare qualche delusione: ma il problema non sta sicuramente nella musica, bensì nella disposizione con cui la sia ascolta…


Fabrizio Claudio Marcon

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