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Bioetica e Diritto

8 min read

Bioetica e Diritto: filosofia di un approccio1
"Le assurdità di ieri, sono le attualità di oggi
e saranno le banalità di domani"
Ennio Flaiano

La
bioetica2 ha una ricaduta diretta e decisiva sul mondo del Diritto: se questioni come la fecondazione artificiale, l’aborto, l’eutanasia, l’ingegneria genetica, i trapianti, non avessero una dimensione e disciplina giuridica, il dibattito bioetico resterebbe limitato al pur rispettabile ambito della filosofia e della scienza, al confronto fra moralisti e teologi, senza che ciò possa avere alcuna ricaduta concreta sulla vita delle persone.
Le scelte in questo campo sono (e dovranno essere) squisitamente "
politiche3", per alimentare successivamente, una coerente politica del diritto; ecco perché questo articolo (primo di una serie di alcuni, su diverse problematiche che hanno trovato una regolamentazione in diversi Paesi del mondo e a livello di Unione Europea), prende le mosse dalle convinzioni logiche, morali e giuridiche del sottoscritto, senza nulla togliere a differenti punti di vista, dettati da diverse e legittime opinioni o filosofie di vita.
La bioetica obbliga la nostra società a tornare a riflettere sulle "regole del gioco", cioè sul modo con cui si intende delimitare la libertà individuale, tutelare le persone, imporre doveri, garantire la giustizia. Sul modo in cui, in altre parole, si vogliono scrivere le leggi.
Sappiamo che il diritto ha, tra gli altri, un compito specifico ed insostituibile: difendere i più deboli dalla prepotenza dei più forti, sostituire alla legge del più forte la
forza della legge4.
Davanti a questa affermazione di principio, subito alcuni obiettano che lo Stato, dovendo essere laico, non può occuparsi di questi aspetti: le cosiddette "questioni di coscienza", che possono stare a cuore ai cattolici, non possono riguardare la collettività nel suo insieme.
Ma a ben vedere questo modo di ragionare nasce dall’incapacità di guardare in faccia uomini, individui potenzialmente discriminati e usati come oggetti grazie al potere creativo che la legge porta in sé. Così come Caligola fece senatore un cavallo, il legislatore si arroga talvolta il diritto di trasformare la realtà, di disseminare il codice di
fictio iuris5, escludendo alcuni soggetti dal consesso degli esseri umani. Così capita che il bambino non ancora nato, il malato in coma o il vecchio inutile siano, o stiano per diventare, gli schiavi del ventesimo secolo6.
Sorprende che, a più di cinquant’anni dalla
Dichiarazione dei diritti dell’uomo7, qualcuno possa ancora teorizzare la sostenibilità, logica prima ancora che morale, di tesi che presuppongono la negazione del primo principio di diritto naturale: l’uguaglianza fra gli uomini. Qualsiasi legge che ammette l’aborto procurato o l’uccisione dell’innocente per motivi pietosi, presuppone di fatto la negazione di quell’assioma pre-filosofico e intuitivo che è alla base della Dichiarazione del ’48, ma anche della costituzione americana del 1787: l’uguaglianza fra tutti gli uomini.
Altri possono obiettare che lo Stato non potrebbe, attraverso le norme di legge, assumere il compito – tradizionalmente affidato alla famiglia – di "insegnare" al cittadino ciò che è giusto e ingiusto, ciò che è morale o immorale, ciò che è buono e ciò che invece è riprovevole. Insomma, una specie di Stato-mamma (o "etico") che non piacerebbe a nessuno.
Ma anche qui, affermare che la norma giuridica ha un effetto educativo significa, più semplicemente, fare una constatazione. Le regole poste da una autorità ad un certo gruppo di uomini costituiti in modo organizzato, influiscono non solo sul modo di agire di questi individui, ma anche sul modo di pensare, di giudicare, di prendere posizione rispetto a quelli che, con espressione generica e abusata ma ancora efficace, chiamiamo valori (che nel nostro caso, possono essere quelli affermati dalla nostra Costituzione repubblicana).
Ogni anno, in gennaio, il Procuratore Generale della Cassazione, inaugurando l’anno giudiziario, secondo tradizione rende noti i dati relativi alla cosiddetta cifra oscura, quello che i criminologi anglosassoni chiamano dark number: si tratta del numero percentuale di reati che non vengono denunciati o dei quali non si riesce a scoprire l’autore. Se analizziamo i dati resi noti lo scorso
11 gennaio8, scopriamo che in Italia la giustizia è rimasta impotente di fronte al 96,05% dei furti, al 63% degli omicidi, all’86% delle rapine, al 70% dei sequestri.
Lo Stato, allora, dovrebbe trovare una qualche forma di legalizzazione per ciascuno di questi comportamenti devianti, che non riesce assolutamente a punire in maniera apprezzabile? Rapine e furti d’auto regolati da precise disposizioni; riprovevoli, certo, ma depenalizzati per limitare i danni? Un’ipotesi paradossale, assurda. Eppure, in campo bioetico il modo di procedere, la forma mentis degli opinion leader è sempre più di questo tenore: la prassi deve, letteralmente, dettare legge. La frequenza dei comportamenti umani viene utilizzata per stabilire se essi sono penalmente rilevanti o meno.
Basta "considerare" aborto, eutanasia, assunzione di stupefacenti, fecondazione artificiale extracorporea come fenomeni tra i più ricorrenti, un atto colpevole diventa, per ciò stesso, normale. Non basta: tra le potenzialità della norma vi è anche la capacità di esercitare una subdola forma di pressione psicologica.
Emblematica la vicenda della legalizzazione dell’aborto procurato, che segue sostanzialmente ovunque questo percorso:
1)
l’aborto non deve essere punito;
2)
deve essere giuridicamente lecito;
3)
deve essere assistito come servizio sociale;
4)
è un diritto;
5)
è moralmente accettabile;
6)
è talora un dovere civile;
7)
è talora un dovere morale.
Al termine del percorso il male è chiamato bene e il bene male. Ciò che prima era riprovato dal senso comune e vietato dalla legge diventa un "male necessario" che è opportuno rendere lecito. Dopodiché, nella mentalità comune si insinua un ragionamento di questo tenore: se la legge permette questo comportamento, significa che non vi è nulla di male ad assecondarlo. Ecco dunque che cosa accade: la legalizzazione, che in origine è una risposta alla presunta, almeno nelle proporzioni, prassi clandestina, diventa causa a sua volta di un sovvertimento dei valori e delle intime convinzioni di una società. E la nuova legislazione permissiva diventa a sua volta un fattore di incremento della prassi degenerativa. Inducendo i mass media a esercitare pressioni per un ulteriore processo di liberalizzazione, all’interno di un circolo vizioso che – onestamente – appare senza vie di uscita.
Nell’ipotesi della legalizzazione della eutanasia. Una volta che la legge "permetta" al paziente di chiedere di essere ucciso dal medico, gli affida una volontà che potrebbe assomigliare a un lugubre invito. Non solo "puoi" togliere il disturbo, ma sei caldamente pregato di farlo; e se non lo fai, sappi che stai gravando sul tempo dei tuoi familiari e sulle casse del servizio sanitario.
Questo delicato rapporto circolare fra legge e valori diventa ancor più decisivo nell’ambito di qualsiasi decisione che coinvolga l’embrione umano: le scelte dei Parlamenti sono in grado di incidere profondamente sul tessuto sociale, sulle convinzioni diffuse dei consociati, sulla percezione che la gente comune può avere di questa entità apparentemente astratta che è l’embrione di un uomo.
L’embrione merita di essere "reso presente" dalla norma giuridica di qualsiasi Stato di diritto semplicemente in virtù della sua appartenenza al genere umano. Una legge che, in materia di fecondazione artificiale, si limitasse a stabilire qualche divieto per le pratiche più raccapriccianti, ma allo stesso tempo rendesse lecita
la Fivet9, negherebbe all’embrione quello status giuridico che la logica e il buon senso concordano nel riconoscere a ogni uomo fin dal concepimento. Neppure una legge che vietasse la Fivet eterologa10 potrebbe suscitare dunque la nostra approvazione, perché in ogni Fivet, sia essa omologa11 o eterologa, viene calpestato il diritto alla vita dell’embrione, che ha scarsissime possibilità di sopravvivenza. Accettare di porre in atto una tecnica che mira ad ottenere un bambino a fronte del sacrificio di decine di fratelli che, anche qualora impiantati, non trovano le fisiologiche condizioni di accoglienza all’interno del corpo della donna, è pratica che implica la totale incapacità di gettare uno sguardo sul concepito.
La legge ha il compito di "render presente" questo silenzioso soggetto di diritto, proscrivendo ogni ipotesi di fecondazione artificiale extracorporea. Se così non sarà, l’effetto "diseducativo" sui consociati sarà, a mio parere e purtroppo, devastante.
Queste mie affermazioni, che potrebbero essere da alcuni ritenute come molto "sociologiche" e poco "giuridiche", sono estremizzate e anche provocatorie, nel senso che ho voluto in questo modo porre sul tavolo alcune tra le più controverse questioni cui si trova di fronte il legislatore (sia a livello nazionale che a livello comunitario) che deve disciplinare questi fenomeni, o metter mano ad una riforma di norme già esistenti, la cui illustrazione farà l’oggetto di miei prossimi interventi .

"Il fenomeno più straordinario è la propria esistenza:
l’uomo è il segreto più grande per se stesso"
Novalis

Alberto Monari

1
Utili spunti per la redazione di questo articolo introduttivo sono stati tratti dagli scritti di Mario Palmaro (Istituto di Filosofia del Diritto dell’Università degli Studi di Milano) e di Mario Alessandro Cattaneo (Professore Ordinario di Filosofia del Diritto nella stessa Università), apparsi nella sezione "Bioetica e Diritto" del sito http://www.bioetica-vssp.it

2
La parola "bioetica" fu "inventata" dall’oncologo Van Rensselaer Potter nel 1970

3
La politica è, per definizione in questa delicata materia, il "buon governo della città", la promozione del bene comune, la tutela degli interessi di tutti i cittadini e, prima ancora, la difesa organica dei diritti fondamentali.

4
Un embrione, un anziano, un malato in coma non possono difendersi da soli. Deve intervenire la legge statale a tutelarli.

5
Lett."finzione giuridica": oggi il termine viene utilizzato per indicare entità di creazione legislativa sprovviste di consistenza reale e prenormativa (es. le persone giuridiche).

6
Un grande Paese come gli Stati Uniti si è arrovellato a lungo intorno a un quesito che oggi ci pare sorprendentemente banale: i negri hanno gli stessi diritti dei bianchi? Il 6 marzo del 1857 la Corte suprema emise una sentenza secondo cui "i negri, a norma delle leggi civili, non sono persone". Ci vollero undici anni perché, con l’introduzione del 14° emendamento alla Costituzione, quella decisione vergognosa venisse cancellata.

7
Approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. La Dichiarazione non costituisce uno strumento giuridico in senso stretto non essendo stata approvata sotto forma di Trattato, ma detta una serie di regole, rivolte agli Stati, di notevole valore politico.

8
Fonte "Il Sole 24 ore – 12 gennaio 2002, pag. 15.

9
Fivet (Fecondation in vitro and embryo transfer). E’ certo oltre ogni dubbio che in ogni ciclo di Fivet vengono scientemente sacrificati decine e decine di embrioni, il cui impianto è reso altamente difficile proprio dall’artificiosità del processo. I tecnici anzi usano molti embrioni proprio in base a calcoli probabilistici e all’effetto combinato che i deboli segnali ormonali di ciascuno potrebbero produrre sul corpo della donna. Questo tema, ancorché subordinatamente al riconoscimento di un qualche valore al nascituro, rappresenta un ostacolo rilevante alla liceità anche giuridica della Fivet, in ogni sua forma.

10
La fecondazione artificiale eterologa è praticata utilizzando il seme o l’ovulo di un soggetto estraneo alla coppia. Essa solleva molteplici problemi in quanto crea una discrasia tra paternità biologica e paternità naturale.

11
La fecondazione artificiale omologa è quella effettuata utilizzando il seme e gli ovuli dei soggetti appartenenti alla coppia. Essa è praticabile con vari sistemi e non ha provocato problemi di compatibilità con il nostro ordinamento civile.

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