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Venezia 2004 – Il culto orientale

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VENEZIA 2004: IL CULTO ORIENTALE

Nella prima Mostra diretta dal mandarino Marco Muller, i registi di culto sono naturalmente coreani, giapponesi e cinesi di Pechino, Hong Kong e Taiwan.

Binjip di Kim Ki Duk: è coreano il film sorpresa della Mostra. Siamo tutti case vuote e aspettiamo che qualcuno apra la porta e ci liberi. Un uomo come un fantasma arriva e libera una donna dalla sua prigionia, lei lo segue senza dubbi, senza riserve e lui sarà sempre con lei, nonostante tutto e tutti: impara infatti a diventare un fantasma per nascondersi dietro e dentro le ombre. E’ difficile dire se il mondo in cui viviamo è sogno o realtà. Imperdibile. Filo rosso: Antonioni. La traduzione italiana è Ferro 3: la mazza n. 3 è quella meno usata nel golf, metafora di una persona abbandonata o di una casa vuota.

Vital di Shinya Tsukamato: dal Giappone, un viaggio dentro i corpi, dentro le zone segrete del nostro essere, tra umano e non umano; si può recuperare la memoria sezionando il cadavere della propria fidanzata, fantasma che viene a visitarci durante questa operazione da Leonardo contemporaneo, fino a denudare completamente il corpo, per scoprire dov’è la coscienza, l’anima, la verità. Il corpo come un tunnel buio da esplorare, al termine del quale si può scoprire un altro mondo. Immaginate Medici in prima linea girato da David Cronenberg.

Howl’s moving castle di Hayao Miyazaki: dopo La città incantata, un nuovo bellissimo cartone giapponese, ispirato a un romanzo inglese con un set che sembra Londra/Praga/Parigi. Storia di streghe e principi, con al centro un’altra delle giovani eroine in mutazione di Miyazaki, questa volta trasformata per magia in un vecchia: animazione per anziani. Fantasia scatenata, incantesimi e metamorfosi, invenzioni e simboli, ectoplasmi e fantasmi, Heidi a Capitan Harlock. Creature volanti, anche i castelli volano, visione dell’alto, il cielo sopra la guerra: memoria perenne di Hiroshima e Nagasaki. La bellezza è un mondo perduto che la magia può aiutare a recuperare.

Eros: tre episodi, in omaggio ad Antonioni, di cui uno vale da solo una vita al cinema. La mano di Wong Kar Wai: 39 minuti di erotismo sartoriale. Una sensazione di piacere legata al corpo e ai vestiti. Tagliare e cucire vestiti su misura per chi si ama di un amore impossibile. Un piacere ricambiato solo con la sapienza di una mano che fruga nell’intimità: all’inizio apre le porte di un mondo affascinante fatto di stoffe di seta fine, delicata, colorata, bellissima, da toccare come un corpo che si anima al solo contatto delle dita, per fantasie meravigliose; alla fine, rappresenta uno struggente congedo da una storia senza speranza. In the mood for love forever and ever. Da vedere e rivedere, aspettando 2046.
Soderbergh sorvola sulla carne, c’è perché vuole il suo nome nei titoli di testa accanto a quello di Antonioni. Antonioni c’è, più che in Eros, in Lo sguardo di Michelangelo: il regista si confronta con l’artista del 500, guardare per Antonioni può essere intenso come una preghiera, i suoi occhi chiari sembrano senza filtri e allo stesso carichi di tutta la storia del regista, che ricorre come un filo rosso in molti film della Mostra (e anche nella musica di Caetano Veloso che canta e ringrazia Michelangelo).

Mysterious skin di Gregg Araki. Toccante fino a dentro il cuore, provocatorio ed elegante, controverso e angosciante: per scoprire cosa c’è in un passato che risale fino all’infanzia: un ragazzo, attratto dai giochi più pericolosi, al posto del cuore ha un buco nero senza fondo; un altro, a lui così vicino e così lontano, il buco nero l’ha riempito di fantasie con gli alieni di Marte, ma il passaggio dagli Ufo inesistenti ai mostri della porta accanto è uno slittamento che riporta a fuoco la realtà. Una delle vette più alte dell’emoziometro della Mostra. Invisibile in Italia?

Palindromes di Todd
Solondz1: il mondo rovesciato è sempre lo stesso, non ci sono vie di fuga. Come in un palindromo il mondo si rinchiude in sé stesso, immutato ed immutabile. Ognuno deve essere ciò che è, sembra dire Solondz. Forse per questo, paradossalmente, la protagonista Aviva è interpretata di volta in volta da due donne, quattro ragazze, una bambina e un ragazzo. Un enigma che cambia volto ma racconta la stessa storia, in un paesaggio umano desolato. Fatalismo senza possibilità di redenzione: nichilismo compassionevole. Non importa capire il significato di tutto quello che c’è nel film, l’importante è lasciarsi andare. Una domanda viene spontanea: dov’è il Todd Solondz del nord-est italiano? Invisibile in qualsiasi paese che ospiti la città santa di una religione monoteista.

Promised land di Amos Gitai; Land of plenty di Wim Wenders. La natura esotica della visione iconoclasta della Terra promessa di Israele e il sogno americano finito anche agli occhi di un amante deluso come Wenders. Una sorta di Apocalisse finale accomuna le due storie. Un attentato in Israele, il caos, fa nascere la libertà, spezza la natura repressiva di certe strutture di controllo. In Usa l’11 settembre sembra solo rafforzarle. "Blow away the dreams that break you heart". "Mister I ain’t a boy no I’m a man and I believe in a promised land" (Bruce Springsteen)

Vera Drake di Mike Leigh: Leone d’oro per un dilemma morale. Avere/non avere, volere/non volere i figli. Al centro la famiglia, microcosmo che riproduce la società, i rapporti genitori-figli. Viaggio indietro nel tempo: Inghilterra, anni 50, povertà, dignità, leggi ingiuste, giustizia di classe. Dopo l’orrore della seconda guerra mondiale, aiutare le ragazze ad abortire è un gesto di solidarietà. In Inghilterra l’aborto diventa legale nel 1967. Scartato dal festival di Cannes vince a Venezia. Per ricordare e non ripetere gli stessi errori.

Le grand voyage di Ismael Ferroukhi (premio opera prima); Le chiavi di casa di Gianni Amelio (Leone mancato). In entrambi, un padre e un figlio, separati da un abisso generazionale, culturale, linguistico, entrambi in qualche maniera esiliati in un paese straniero. Un incontro reso inevitabile dalla promiscuità di un viaggio insieme (verso la Mecca o verso Berlino e la Norvegia, non fa differenza), senza vie di fuga; man mano che il percorso procede si compie un riavvicinamento, più maturo nel film del regista marocchino, più da melò nel film di Amelio, che vuole farci piangere aumentando il pathos con la disabilità. Peccato però che il suo film sia tutto e solo dalla parte del padre (a differenza di Mare dentro di Alejandro Amenabar, dove la prospettiva è quella del disabile: e noi qui piangiamo davvero). Due film che nascono comunque da un’urgenza vera.

Come inguiammo il cinema italiano. La vera storia di Franco e Ciccio di Ciprì e Maresco: la Sicilia, la palermità, l’essere coppia nello spettacolo, un modo avventuroso di approcciare il cinema, una visceralità da commedia latina. Prosegue il recupero della vitalità sottoproletaria ormai scomparsa, che ha portato al grado zero de Lo zio di Brooklyn; destino parallelo a quello di altri grandi comici (Totò in primis) che recitavano in film modesti, ma contenenti piccole perle di vita. Ai loro tempi, Berlusconi parolava con Franco come fa oggi con Apicella. Bertolucci teme che Ultimo tango a Zagarolo di Nando Cicero (presente a Venia con Viva la foca) sia migliore di Ultimo tango a Parigi. Una delle rare occasioni per ridere a Venezia.

Lavorare con lentezza di Guido Chiesa (+ Wu Ming): sopra il cielo della rivoluzione, sotto un tentativo di colpire al cuore il capitale, trasversale a tutto la comunicazione via etere, liberatoria, ironica ed orizzontale, da molti a molti. Dietro la facciata di commedia pop, senza nostalgia, ci spiega come si distrugge una generazione, tra violenza e droga. Film da Global beach dentro la Mostra. "Mio fratello è figlio unico perché non ha mai parlato di un film senza prima averlo visto" (Rino Gaetano).

Post Scriptum
I Protagonisti:
Quentin Tarantino in coppia con Barbara Bouchet arriva sempre puntuale all’appuntamento di mezzanotte con i B movies italiani. Gusto della citazione, piacere del colpo di scena, deriva del racconto: Tarantino sembra aver imparato tutto da questi film.
Abel Ferrara e la sua corte di personaggi che sembrano usciti da un film di mafiosi italo-americani + Vincent Gallo, a presentare Mary, il prossimo film che Ferrara sta per girare, rivisitazione del personaggio di Maria Maddalena, con Vincent Gallo nella parte di Gesù: attesa trepidante per i devoti di Abel.
Tim Robbins e Naomi Klein a Global beach, a mostrare e commentare Embedded di Robbins, lavoro teatrale e ora film, tra Brecht e Dario Fo, dove vediamo una incredibile parodia della junta Bush (come la chiama Gore Vidal): si può colpevolizzare un popolo come quello Usa, accusato di rivotare Bush, se i mass media riportano solo una realtà falsa e piena di bugie, a partire dai giornalisti costretti a fare propaganda governativa divulgando le notizie fornite dall’esercito? Ma si possono considerare gli Stati Uniti ancora una vera democrazie, un potere in mano al popolo?

Paolo Baldi

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