KULT Underground

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Blues Runner

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Blues Runner
(quando i miti si scontrano)
(Prima classificata – Sezione FANTASCIENZA/FANTASY)

Arrivai nell’ufficio del mio ex capo nel dipartimento esattoriale con la mia espressione più cupa, sapevo esattamente cosa aspettarmi da quel lurido maiale. Le sue insistenze cariche di minacce erano state molto convincenti.
Non mi sbagliavo.
Riprendere il servizio come esattore era l’ultima cosa che avrei voluto, ma quel bastardo mi aveva incastrato assicurandomi che quei due "lavori in pelle" sarebbero stati gli ultimi della mia carriera. Già, "lavori in pelle" li chiamava lui. Due replicanti modello piacere, creati per il divertimento umano nelle colonie extramondo. Musicisti.
I loro nomi erano Jack e Elwood Blues, si facevano chiamare i fratelli Blues.
Erano fuggiti dalle colonie perché dovevano un mucchio di soldi di tasse al governo decentrato e avevano fatto perdere le loro tracce sulla terra. Dovevo scovarli e costringerli a pagare.
Sospettavo che il sadismo del mio capo nello scegliere proprio me fosse stato stuzzicato dalla mia passione per il Sax.
Mi aveva lasciato con un ultimo avvertimento: i due erano armati e pericolosi.

L’aviobluesmobil sfrecciava sotto il cielo cupo di Los Angeles tra i dirigibili pubblicitari che ricordavano quanto fosse bella la vita sulle colonie, nonostante le tasse salate. Elwood pilotava il mezzo cercando di non attirare l’attenzione. La radio sintonizzata sul canale dell’esattoria governativa aveva informato lui e Jack che avevano alle calcagna un certo Deckard, agente delle tasse; doveva essere un duro amante della techno. Un rifiuto umano insomma. La cosa non li preoccupava più di tanto, erano in missione per conto di Tyrrel, colui che li aveva creati. Avrebbero rimesso insieme la banda e diffuso il blues sulla povera vecchia terra, infestata dai generi musicali più imbarazzanti. Unica difficoltà: gli mancavano gli ottoni.

Nell’ufficio di Tyrrel, Deckard aveva la precisa sensazione che l’uomo gli stesse mentendo. Impossibile che i due replicanti non fossero registrati e dotati di sistema di rilevamento come il grande magnate sosteneva.
«Mi spiace agente Deckard, il modello dei due replicanti che sta cercando è molto avanzato. I Bluesxus 6 non possiedono alcuna limitazione. Sono impossibili da rintracciare persino per me.» Insisté Tyrrel mentre lasciava l’enorme stanza, illuminata trasversalmente dai raggi solari.
L’agente delle tasse aveva già allungato il dito sul pulsante dell’uscita, quando una voce femminile lo chiamò.
«Buon giorno tenente Deckard.» La donna elegante e bellissima gli si fece incontro tendendo la mano bianca e sottile.
«Non sono tenente, mi chiami pure Rick, signorina…»
«Rachael Tyrrel, la nipote.» Sorrise «Forse mio zio ha scordato di riferirle qualche particolare, potremmo incontrarci fuori di qui per approfondire l’argomento.» Aggiunse sottovoce con gli occhi che luccicavano.
«Più che volentieri signorina Tyrrel, ma…»
«Mi chiami pure Rachael agente…ehm Rick.» Lo interruppe porgendogli un biglietto da visita.
«D’accordo Rachael, ma perché mi vuole aiutare contraddicendo suo zio?»
«Ho le mie buone ragioni.» Concluse la donna mentre lo invitava a uscire dalla stanza aprendogli la porta.

Elwood e Jack avevano appena seminato una pattuglia della stradale, che li aveva inseguiti per un semplice semaforo bruciato, infilandosi nelle vetrine di un centro commerciale. I manichini che cadevano sfondando le grandi vetrate erano sembrati donne in fuga.
I fratelli Blues continuavano imperterriti nella loro missione, non era facile trovare un suonatore di sax. Soprattutto ora, con tutte le pattuglie della città a dare man forte a quel Deckard.
La loro fuga si interruppe quando finirono in un ingorgo che formava un’interminabile coda di veicoli.
«Che succede ?» Chiese Elwood, sporgendosi dal finestrino, al poliziotto che passava lentamente di fianco a loro a bordo del suo mezzo.
«Niente, è la solita manifestazione dei seguaci di Replay.» Rispose questi senza degnarli di uno sguardo.
«I seguaci di chi?» Si intromise Jack.
«Ma sì, Replay! Quella pazza mitomane che è convinta che le colonie extramondo siano infestate da alieni assassini!» Spiegò l’agente mentre già il suo veicolo avanzava al fianco della coda.
I musicisti si guardarono, non potevano perdere tempo, dovevano ancora procurarsi anche i soldi per comprare la birra.

Nell’appartamento silenzioso del palazzo deserto, Deckard era intento ad esaminare alcune foto fornitegli da Tyrrel. Vi erano raffigurati due uomini vestiti di nero con gli occhiali neri. A un esame approfondito delle lenti scure emerse l’immagine di una donna, Rachael.
La porta d’ingresso lo informò che qualcuno attendeva. Impugnata la pistola spalancò l’uscio e si trovò davanti lei, la nipotina di Tyrrel.
Con un bicchiere di scotch tra le mani la donna cominciava a sentirsi a suo agio. Non ci volle molto perché si sciogliesse.
«C’è un modo per rintracciare i due replicanti.» Proruppe all’improvviso.
L’esattore rimase a fissarla sconcertato. «Quale?»
«Domani sera terranno un concerto al Palatyrrel, anche se mi chiedo come faranno senza sax.»
«Perché mi aiuti Rachael? Ho scoperto che avevi rapporti con loro.»
«Sei tu che aiuterai me Rick, mi aiuterai a vendicarmi di Jack.» Il bicchiere era ormai vuoto.
«Vendicarti di Jack?» Ripeté Deckard stupito. «Di cosa vuoi vendicarti?»
«Mi ha ingannata, eravamo innamorati, ovvero io ero innamorata. Mi ha fatto un sacco di promesse e il giorno delle nostre nozze se n’è andato sulle colonie extramondo a suonare il blues con i suoi amici pezzenti.» La voce della donna era fremente di rabbia.
«Ti ha abbandonata sull’altare? Tu, il tuo bel vestito bianco, gli invitati e lo zio che ridacchiava!» La interruppe lui.
Lei lo guardò ammutolita, i grandi occhi luccicanti spalancati, colmi di stupore.
«Non sono ricordi tuoi Rachael. Tu sei una replicante. Ti sono stati impiantati.»
Le labbra di lei tremavano mentre il viso le si inondava di lacrime. Deckard si sentì stretto nella morsa del senso di colpa. Era stato inutile e crudele rivelare la verità a quella fragile, splendida donna. La strinse in un abbraccio confortante e la sentì abbandonarsi fiduciosa e indifesa.
Quando il mattino dopo si svegliò, scoprì che lei se ne era già andata. Non gli rimase che alzarsi e mettersi al lavoro.

Jack ed Elwood misuravano a passi nervosi il suolo davanti all’ingresso posteriore del Palatyrrel, erano dannatamente agitati. La sala era gremita di pubblico ma il sassofonista che avevano contattato ancora non si vedeva. La pioggia battente inzuppava i loro abiti scuri. Di poca consolazione erano le casse di birra che riempivano il camerino del teatro.
L’atterraggio improvviso di un veicolo li fece accendere di nuove speranze. Ma quando dal mezzo eruppe l’uomo con la pistola in pugno, lo sconforto impedì loro qualsiasi reazione, sopraffacendoli.
«Sono l’agente Deckard, vi dichiaro in arresto!» Intimò.
Jack cadde in ginocchio rivolse il viso verso l’esattore e si tolse gli occhiali. Quando parlò la sua voce era carica di infinita tristezza.
«Io ne ho viste cose che voi amanti della techno non potreste immaginarvi. Jim Morrison che infiamma la folla nei teatri di Orione. E ho visto Ray Charles suonare nel buio vicino alle porte di Tannoiser. E tutti quei momenti andranno perduti come soldi nelle casse dello stato. E’ tempo di pagare.»

Io non so come fecero a convincermi a suonare con loro, forse in quel momento amavo il blues più di ogni altra cosa, non solo il mio blues, tutto il blues. Non ho potuto far altro che restar lì e suonare.
Tyrrel ci mise a disposizione un mezzo per fuggire.
Peccato però che Rachel mi stia ancora aspettando sull’altare!
Le casse di birra furono caricate a bordo. Sono molte, ma non so quanto dureranno.
Ma chi è che lo sa?

Luisella Bacchiocchi

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