Bellaria Film Festival 2004,
una bella sorpresa
una bella sorpresa
Devo confessare di aver cercato e poi accettato l’invito al Bellaria Film Festival 2004 spinto più dalla voglia di mare e dalla voglia di portarci per la prima volta il mio piccolo, piuttosto che dalla voglia di cinema. L’anno scorso, lo scrissi per Kult senza risparmiarmi, il festival mi era parso dimesso, stanco, al capolinea. Il programma era stentato, non particolarmente interessante e così era anche la selezione dei corti e dei medi per il concorso principale.
Arrivo a Bellaria e già l’atmosfera è differente: c’è il passeggie dei festivalieri che mi sembrano più numerosi e attivi dello scorso anno, ed è già qualcosa. Non ho avuto occasione di vedere molto, ma devo elogiare l’organizzazione e l’ospitalità per aver supportato il festival con dell’ottimo materiale e con una buona dose di precisone, puntualità e cortesia.
Credo che la parte migliore di Anteprima sia il concorso stesso, ed è un bene. I lavori selezionati spaziano dalla fiction all’animazione, dal documentario all’inchiesta giornalistica. Rispetto al periodo adriatico di Enrico Ghezzi c’è un programma meno sperimentale e più reale, meno interiore e perciò più percettibile dal pubblico; io non posso che rallegrarmene.
Tra i lavori visti sono certamente da segnalare "Clochard si nasce" di Fabio Martina, proveniente dalla scuola del cinema di Milano. In 38 minuti si segue la vita da barbone di Sandro, ex broker assicurativo che ha scelto la strada non per necessità ma per perseguire alcuni valori che non trovavano posto nella vita di prima. La macchina da presa lascia spesso spazio alle chiacchiere di Sandro con gli altri clochard, e queste sono le sequenze migliori. Dell’eclettica Anna de Manincor è il cortometraggio "Die for me", ispirato alla canzone "Morireste per me?" di Manuel Agnelli, che firma anche le musiche. In "Die for me" si racconta di un gruppo di quattro ragazzi inseparabili un po’ fuori dai soliti binari, loro amano le centrali e le raffinerie, le luci sfolgoranti che accecano la pianura anche di notte, il brusio dei macchinari e il mistero che c’è attorno. Una sera decidono di immergersi nel canale di scolo, ma uno di loro ha paura e cerca di convincere gli altri ad uscire: non sarà più lo stesso gruppo. "Die for me" è evidentemente il frutto del lavoro di persone talentuose, oltre al conosciutissimo Manuel Agnelli, Anna de Manincor mette in mostra una capacità di sintesi, una sensibilità di regia ed una visione della scena che la qualifica decisamente al di sopra della media dei lavori visti qui. Non bello come i precedenti, forse perché soffre l’esordio alla regia di una giornalista, è "Gli ergastoli bianchi", un’inchiesta sugli Ospedali Psichiatrici Giudiziari ancora esistenti in Italia, in bilico tra il carcere e il manicomio, o meglio vere e propri carceri-manicomi, col peggio di entrambe le strutture. Raccontato da Marina Piccone col taglio dell’inchiesta ma con un pizzico di libertà alla realtà e all’osservazione acritica, "Gli ergastoli bianchi" non colpisce come potrebbe, manca di profondità e si focalizza troppo su di un personaggio, Carlo, internato da 13 anni, interessante ma non sufficiente per narrare cosa succede là dentro. Su di "

E allora ci vediamo l’anno prossimo a Bellaria.
Michele Benatti.