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The Empire Strikes First

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Bad Religion
The Empire Strikes First
(Epitaph, 2004)

I Bad Religion possono essere il gruppo più facile da recensire, così come il più difficile. Facile, se l’obiettivo è solo quello di fornire una descrizione della loro musica; difficile se invece si tenta di recensire la loro ultima uscita con parole e giudizi che differiscano almeno in parte da quelli spesi per la precedente.
Cominciamo dal primo approccio. Ebbene: i Bad Religion sono l’icona del punk rock melodico californiano, e lo sono ormai da parecchi anni. L’origine del gruppo si colloca addirittura nell’epoca eroica del punk, tra la fine degli anni ’70 ed i primi ’80. Un quarto di secolo di attività non è poco per nessuna band; tanto più in un ambiente per definizione iconoclasta, e dunque poco propenso ad innalzare chicchessia su un piedistallo e mantenercelo per anni. Nel corso della loro carriera i Bad Religion hanno visto il punk esplodere, ritornare in fretta fenomeno underground, conoscere un improvviso revival sull’onda dei successi di Offspring, Green Day e Rancid, ed infine rientrare una volta ancora nei ranghi. Apparentemente indisturbati da queste vorticose evoluzioni, loro sono rimasti fedeli alla propria linea con una coerenza tale da potersi a tratti scambiare per esasperante immobilismo. A differenza di band molto più accattivanti e giovanilistiche, quali ad esempio i già citati Green Day, così come di altre molto più esteticamente caratterizzate, come i duri-e-puri Rancid, i Bad Religion hanno puntato quasi tutte le proprie carte sulla miscela di istanze sociali e politiche progressiste, sulla critica costante dell’american way of life e delle religioni organizzate, su lyrics lucide ed elaborate, nonché su un’immagine mediatica di basso profilo (alzi la mano chi ricorda più di un loro videoclip). Musicalmente, a dispetto di alcuni cambi di formazione, non si sono mai permessi grandi variazioni sul tema: hanno al limite lasciato sbollire un po’ della rabbia degli esordi, tramutandola da disordinata aggressività ad energia meglio incanalata e più sotto controllo.
Il presente The Empire Strikes First è assolutamente emblematico di quanto scritto fin qui. Tanto per cominciare, il titolo: un gioco di parole con The Empire Strikes Back, un film della serie di Star Wars, ed un ovvio riferimento alla guerra preventiva del presidente Bush. Poi, la copertina: una bandiera americana rossa e nera sullo sfondo, il busto un uomo in camicia a cravatta con le mani giunte in primo piano, schizzi rossi su tutta la superficie. Tutto un programma, insomma.
Quando poi si passa ad analizzare la sostanza, ovvero le quattordici tracce dell’album, ci si ritrova alle prese con materiale così classico che più classico non si può. Ero tentato di scrivere "scontato", ma in tal caso la connotazione sarebbe stata troppo negativa: è vero che un nuovo album dei Bad Religion raramente (mai?) nasconde sorprese, però la sensazione di già sentito è generalmente controbilanciata da tanto mestiere, da testi sempre e comunque interessanti e da un gusto melodico sottile ma sempre evidente. Una volta di più sono costretto a notare che i brani più soddisfacenti si rivelano essere quelli meno frenetici: Los Angeles Is Burning, To Another Abyss e la title-track su tutti. Quando il ritmo si alza, al contrario, ci si accorge di come tutte le strade siano già state battute, tutte le aperture melodiche già sperimentate, tutti i cori già eseguiti da qualche altra parte del corposo repertorio della band: nelle semi-ballate non c’è parimenti nulla di rivoluzionario, intendiamoci, ma i tempi rallentati permettono quantomeno di apprezzare maggiormente le dinamiche interne. Come già in occasione del precedente The Process of Belief, la line-up prevede addirittura tre chitarristi (Brett Gurewitz, Brian Baker e Greg Hetson); ma questo apparente sovraffollamento garantisce semplicemente un grande impatto, non certo un profluvio di svolazzi strumentali. Greg Graffin, dal canto suo, sembra non invecchiare mai: la sua voce è ormai più che un marchio di fabbrica.
Riassumendo, The Empire Strikes First è un disco sostanzialmente prevedibile, nel bene e nel male. Piacerà soprattutto ai fans di lungo corso, che del resto i Bad Religion non deludono praticamente mai.

Fabrizio Claudio Marcon

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