Già dal titolo si dovrebbe intuire di quale film si parla in questo articolo e con quale tono. Sì, Ferrario è uno dei miei registi preferiti: profondo, preciso, intelligente, autonomo. In Davide Ferrario, noto al grande pubblico soprattutto per il divertente "Tutti giù per terra" ed per il più recente "Guardami" vagamente ispirato alla figura della pornodiva scomparsa Moana Pozzi, si possono trovare quei temi e quel modo di affrontarli che nel cinema italiano più "emerso" è proprio difficile trovare. Autore di svariati documentari, ottimi per costruzione e per contenuto, su Mendella, sulla resistenza, con un progetto trilogia iniziato a Correggio con Materiale Resistente, sul fenomeno emergente Lega Nord nel 1991, o più recentemente sul tragico Genova Social Forum, Ferrario si concede un piccolo film, autoprodotto, sul cinema e sul silenzio, sul sogno e sulla periferia, sul precariato e sui sentimenti.
Ognuno di questi aspetti trova dignitosamente posto in "Dopo mezzanotte", un film leggero e intenso, mai stancante, mai superficiale, nel quale il più classico dei triangoli amorosi, una storia che il cinema racconta da sempre come ci ricorda la voce narrante di Silvio Orlando, diventa un pretesto per raccontarci una Torino invisibile ma viva come quella del quartiere della Falchera, un’utopico quartiere modello voluto dalla sinistra degli anni ’70 e ben presto diventato un ghetto o per portarci dentro alla Mole e dentro al sogno del cinema, o per farci conoscere i ragazzi che lavorano nei fast food o rubano auto di lusso, gli operai del presente di una città che sta rimuovendo il proprio passato recente. Martino è il guardiano notturno del Museo del Cinema ospitato, appunto, dalla Mole Antonelliana. Taciturno e strampalato come Buster Keaton, di cui divora le comiche durante le pause del proprio lavoro, ordina tutte le sere lo stesso menu in un fast-food lì vicino. A servirlo è sempre Amanda, una ragazza a cui la divisa colorata del locale va stretta, non per ambizioni personali ma per la sensazione di alienazione e costrizione che il lavoro le procura. Amanda ha una "relazione" travagliata con "l’Angelo", un ladro d’automobili il cui scopo è, paradossalmente, guadagnare fino a potersi permettere una Jaguar, una marca che non ruba per rispetto. I tre ragazzi sono a modo loro degli anticonformisti e si assomigliano più di quanto essi stessi non immaginano. Una sera Amanda è costretta a rifugiarsi nella Mole e Martino le apre il suo mondo, sildenzioso come le comiche che ama e meraviglioso come il cinema che la Mole custodisce. Inutile dire che tra Martino e Amanda sembra nascere qualcosa e che "l’Angelo" non è affatto d’accordo. Inutile però è raccontare un film che, nella sua semplicità, racchiude tante storie, l’unico consiglio che mi sento di dare è quello di andarlo a vedere.
In certi momenti "Dopo mezzanotte" mi ha ricordato "Lisbon story" di Wim Wenders (non a caso la Lab80 Film, uno dei primi passi nel cinema di Ferrario, era la distributrice per l’Italia dei suoi film e di quelli di Fassbinder). In "Lisbon story" il regista tedesco scava nel proprio cinema e si chiede se sia cinema la finzione dello schermo o la realtà che ci passa
Dopo mezzanotte Ferrario è ancor più bravo
Benatti Michele