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Troppa Grazia… (e poca Costituzione…)

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Troppa Grazia…
(e poca Costituzione1…)
"Quando digiunate, non prendete un aspetto triste,
come gli ipocriti, i quali si sfigurano la faccia
per farsi vedere dagli uomini che digiunano.
In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa."
Vangelo secondo Matteo (6, 16)

La concessione della
grazia2 rappresenta, nell’ordinamento italiano, un provvedimento individuale di clemenza (art. 174 Codice Penale), emesso dal Presidente della Repubblica, con il quale viene condonata in tutto o in parte la pena inflitta, ferme restando le pene accessorie3 e gli altri effetti penali della condanna. La grazia va quindi inquadrata fra le cause di estinzione della pena4, in quanto presuppone una sentenza irrevocabile di condanna.
A differenza dell’amnistia e dell’
indulto5, che hanno una portata generale per determinate categorie di reati o di condannati, la grazia si riferisce a un singolo soggetto e tiene conto di situazioni eccezionali di carattere equitativo o giudiziario, che inducono a far cessare l’esecuzione della pena6.
Il Legislatore, predisponendo il testo del Codice di Procedura Penale del 1988 ha regolato all’art.681 i provvedimenti relativi alla
grazia7, rammentando che essa "assolve una funzione correttivo-equitativa dei rigori della legge, ma ha anche, e sempre più, il ruolo di strumento di risocializzazione alla luce dei risultati del trattamento rieducativo, pur non senza dimenticare "le altre e diverse funzioni, di rilievo anche politico", proprie dell’istituto8.
D’altra parte, l’elevatissimo numero di provvedimenti di grazia concessi annualmente in Italia (da un minimo di circa 1000 a un massimo di 2500 ogni
anno9) ha in pratica trasformato l’istituto da provvedimento eccezionale in un correttivo generalizzato delle disfunzioni della legge penale e processuale penale.
L’origine del potere di concedere la grazia, tuttavia, risiede in primis nella Costituzione della Repubblica, laddove all’art.87 vengono elencate le
funzioni10 del Presidente della Repubblica:
il 1°comma stabilisce solennemente che "Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale", al comma 11 "Può concedere grazia e commutare le pene".
Il citato art.87 va, nondimeno, letto in combinato
disposto11 con l’articolo 89, 1°comma, della stessa Costituzione secondo il quale: "Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità."
Il
Presidente12 della Repubblica, infatti, nel nostro sistema non ha una responsabilità propria in quanto organo. Parliamo di responsabilità in accezione sintetica, per intendere una responsabilità insieme politica e giuridica; in altre parole il Presidente non può essere chiamato, sotto nessun profilo, a rispondere delle sue dichiarazioni e dei suoi atti, e che la responsabilità13 di quello che Egli compie ricade sul Governo e sui Ministri che controfirmano i suoi atti.
In effetti, non ci sono atti del Capo dello Stato di rilievo costituzionale o politico che si possano dire espressione esclusiva della sua volontà, emanando, Egli, di solito, atti frutto della volontà del Governo o del
Parlamento14.
Dunque, la grazia è sì atto "esclusivo" del Presidente della Repubblica, ma la controfirma del Decreto che la concede da parte del Ministro della Giustizia è
sempre15 necessaria (non è semplicemente un atto "dovuto", attestante l’avvenuto esercizio di un potere Presidenziale), e ciò è valido, a maggior ragione, nel "caso" che ha riportato d’attualità la questione del potere di grazia, in cui il richiamo alla responsabilità ministeriale coinvolge l’intero Governo.
Nella vicenda di Adriano
Sofri16, di fronte alla "battaglia17" a suon di scioperi della fame e/o sete di Marco Pannella, per "il ripristino di un potere espropriato al Presidente della Repubblica", quindi "non per chiedere la grazia a Sofri, ma perché siano chiarite le competenze del Presidente", le domande da porsi non sono di ordine giuridico (la Costituzione vigente è chiara se interpretata sistematicamente18, cioè nel quadro delle altre norme ordinamentali) ma di ordine squisitamente politico, considerazioni nelle quali, come è mia abitudine, non voglio dilungarmi, limitandomi a porre alcuni punti fermi, come la presenza di una sentenza definitiva di condanna, legalmente prodotta da una Corte dello Stato, superabile preferibilmente con gli strumenti giurisdizionali propri dell’ordinamento processuale, il cui rispetto rappresenterebbe anche il modo migliore di "chiudere la fase storica del terrorismo degli anni di piombo" nell’assoluto riguardo delle vittime e dei famigliari (che sono del tutto contrari ad ogni atto di clemenza).
A meno che non si voglia, per un malinteso e contingente spirito di clemenza, attribuire al Presidente (ma solo dopo una chiara modifica della Costituzione) un potere molto simile a quello dei Sovrani, più o meno assoluti, del 19°
secolo19.
Oggi, l’eventuale rifiuto della controfirma da parte del Ministro della Giustizia (che renderebbe inefficace l’atto presidenziale), segnalerebbe che lo stesso Ministro valuta esorbitante o non rispondente ai principi e ai valori costituzionali l’atto
medesimo20.
Certamente vi sono opinioni diverse secondo le quali occorrerebbe interpretare la Costituzione in modo "innovativo" e nei mesi passati si è registrato un tentativo di alcuni Deputati, di diversi schieramenti, di attribuire, con legge ordinaria, al Capo
dello stato il potere di concedere autonomamente la grazia ai detenuti: ma il voto dell’Aula della Camera21 ha, di fatto, affossato la proposta di legge, così che tale potere resta "condiviso" con il Ministro della Giustizia.
Per concludere, rendendomi conto che l’argomento non è nuovo, ritengo che il Parlamento dovrebbe cessare di approvare leggi (con iniziative provenienti sia da destra che da sinistra) ad personam, che lontano, cioè, dall’essere "generali ed astratte" (caratteristica di ogni "buona" norma, che dovrebbe disciplinare fattispecie astratte a cui poter ricondurre tutti i casi concreti possibili), sono in realtà "particolari e concrete", dirette a risolvere casi di singoli cittadini.

Alberto Monari
"Causa patrocinio non bona, peior erit22"
Ovidio

1
Nell’immagine: Il torchio usato un tempo per imprimere il Sigillo ufficiale di Stato, esposto in un corridoio del Ministero della Giustizia a Roma. Il Grande Sigillo dello Stato porta impresso l’emblema della Repubblica con la legenda Repubblica Italiana. L’obbligo della sua applicazione è stabilito per le leggi, i decreti e ogni altro atto da inserirsi nella Raccolta Ufficiale ed è rammentato di volta in volta nella formula di promulgazione. Il Ministro della Giustizia, in quanto Guardasigilli, cioè "guardiano del sigillo dello Stato", lo applica dopo il suo Visto.

2
Vedi: "Il potere di grazia secondo prassi e consuetudini costituzionali; la sua attualità nel vigente sistema penale" di Roberto Quintavalle, in: "Cassazione Penale" Anno XLI Fasc. 11 – 2001.

3
Sanzioni che limitano la capacità o attività del condannato, o rendono più affittiva la pena principale. Svolgono, in genere, funzione preventiva, non rivolta tanto alla rieducazione del condannato (art.27, 3°comma Cost.), quanto alla eliminazione delle condizioni che possono favorire la ricaduta nel reato. Esempi di pene accessorie proprie dei delitti sono: l’interdizione dai pubblici uffici, da una professione, interdizione legale per i condannati a pene detentive superiori ai 5 anni, perdita o sospensione dell’esercizio della potestà di genitore, ecc.

4
Nel senso che il reato commesso non viene meno e la condanna non viene cancellata dal certificato del casellario giudiziario.

5
Le quali estinguono, rispettivamente, il reato e la pena principale.

6
La grazia si profila certamente come intervento "eccezionale e singolare" diretto alla rimozione di "una" sofferenza irrogata legalmente, secondo le regole dell’ordinamento, dal giudice penale, la quale è percepita "ad un certo punto della vicenda umana del condannato" come non più sostenibile e inutilmente affittiva (anche in una logica retributiva della pena), in presenza di sopravvenute condizioni oggettive e soggettive "specifiche".

7
Art.681. (Provvedimenti relativi alla grazia). 1. La domanda di grazia, diretta al Presidente della Repubblica, è sottoscritta dal condannato o da un suo prossimo congiunto o dal convivente o dal tutore o dal curatore ovvero da un avvocato ed è presentata al Ministro di giustizia.
2. Se il condannato è detenuto, o internato, la domanda può essere presentata al magistrato di sorveglianza, il quale, acquisiti tutti gli elementi di giudizio utili e le osservazioni del procuratore generale presso la corte di appello del
distretto ove ha sede il giudice indicato nell’art. 665, la trasmette al ministro con il proprio parere motivato. Se il condannato non è detenuto o internato, la domanda può essere presentata al predetto procuratore generale il quale, acquisite le opportune informazioni, la trasmette al ministro con le proprie osservazioni.
3. La proposta di grazia è sottoscritta dal presidente del consiglio di disciplina ed è presentata al magistrato di sorveglianza, che procede a norma del comma 2.
4. La grazia può essere concessa anche in assenza di domanda o proposta. Emesso il decreto di grazia, il pubblico ministero presso il giudice indicato nell’art. 665 ne cura la esecuzione ordinando, quando è il caso, la liberazione del condannato e adottando i provvedimenti conseguenti.
5. In caso di grazia sottoposta a condizioni, si provvede a norma dell’art. 672 comma 5.

8
Questi concetti sono tratti dalla relazione al progetto definitivo del Codice di Procedura Penale. Ed è proprio su tale aspetto prettamente "politico" del provvedimento di grazia, che si focalizza il problema del "potere di grazia".

9
Le grazie concesse dai Capi dello Stato dal 1948 ad oggi sono state oltre 47.000, con punte di più di 13.000 casi sotto la presidenza di Giovanni Gronchi, tra il 1955 e il 1962.

10
Art.87, c.2. Può inviare messaggi alle Camere. c.3. Indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione c.4 Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo c.5 Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti c.6 Indice il «referendum» popolare nei casi previsti dalla Costituzione c.7 Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato c.8 Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l’autorizzazione delle Camere c.9 Ha il comando delle Forze Armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere c.10 Presiede il Consiglio superiore della magistratura c.12 Conferisce le onorificenze della Repubblica.

11
La formula si riferisce al risultato dell’interpretazione congiunta di due o più norme.

12
Cfr. G.Berti "Interpretazione Costituzionale" 2° ed., CEDAM Padova, 1990, pp.579 ss.

13
L’art. 90 Cost. è molto chiaro in questo senso:
"Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione.
In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri."

14
Si ricorda che il testo originario dell’articolo 79 Cost. era il seguente:
"L’amnistia e l’indulto sono concessi dal Presidente della Repubblica su legge di delegazione delle Camere. Non possono applicarsi ai reati commessi successivamente alla proposta di delegazione."
In seguito è stato sostituito dall’art. 1 della legge costituzionale 6 marzo 1992, n. 1, ed ora dispone:
"L’amnistia e l’indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale.
La legge che concede l’amnistia o l’indulto stabilisce il termine per la loro applicazione.
In ogni caso l’amnistia e l’indulto non possono applicarsi ai reati commessi successivamente alla presentazione del disegno di legge
";
il legislatore ha voluto, in pratica, anche letteralmente, togliere ogni riferimento al Presidente, riportando la piena responsabilità politica e giuridica dell’amnistia e indulto, alla legge del Parlamento, unico e vero depositario della sovranità popolare.

15
La natura del provvedimento di Grazia è quella di un "atto complesso" (o duale), che consiste in più manifestazioni di volontà, aventi lo stesso contenuto e tutte ugualmente necessarie per il perfezionamento dell’atto, che si fondono in una sola volontà unitaria.

16
Adriano Sofri, Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani vennero accusati nel luglio 1988 di essere responsabili di un omicidio avvenuto 16 anni prima, nel 1972. A quel tempo essi avevano partecipato del movimento Lotta Continua, una delle più popolari formazioni nate dopo le contestazioni del "68, di cui Sofri era il maggior esponente, che si sciolse nel 1976. Nel 1988, Leonardo Marino, anch’egli ex militante di LC, raccontò ai giudici di essere stato una delle due persone che sedici anni prima avevano ucciso il commissario di polizia Luigi Calabresi davanti alla sua casa di Milano. Marino disse che a sparare al commissario era stato Ovidio Bompressi e che i due avevano ricevuto l’ordine di compiere l’omicidio da Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani. I tre furono arrestati e poi scarcerati in attesa del processo ma si dichiararono del tutto estranei all’accusa. La storia raccontata da Marino, alla prova di fatti e confronti, cadde da subito tra moltissime contraddizioni, incongruenze, smentite e rettifiche.
Il processo, iniziato nel 1990, si concluse con le condanne a 11 anni per Marino e a 22 anni per le persone che aveva accusato, malgrado nessuna prova si fosse aggiunta al suo racconto.
Da allora si sono susseguiti otto processi, con esiti contraddittori. Le Sezioni Unite della Cassazione, nel 1992, annullarono le condanne, chiedendo che si trovassero dei riscontri seri alla versione di Marino, o che si assolvessero gli imputati. Un processo d’appello, nel 1993, ha assolto tutti gli imputati, non credendo a Marino nemmeno per quel che accusava se stesso. Ma un giudice che aveva votato contro l’assoluzione ha stilato le motivazioni della sentenza in modo incongruo per ottenerne l’annullamento, cosa che è avvenuta. Di un altro processo, nel 1996, sono emerse gravi pressioni e abusi del presidente della corte per ottenere la condanna degli imputati.
Nel gennaio del 1997 Sofri, Bompressi e Pietrostefani hanno subito una condanna definitiva e sono entrati in carcere a Pisa. Marino ha avuto il reato prescritto senza scontare un giorno di carcere. I tre si sono consegnati al carcere, Pietrostefani addirittura tornando da Parigi dove lavorava. Per altri due anni e mezzo la loro difesa si è battuta per ottenere la revisione del processo, portando nuove e clamorose prove della falsità dell’accusa. La revisione è stata accettata nell’agosto 1999 e i tre scarcerati, dopo due anni e sette mesi. Bompressi era libero da pochi mesi per l’aggravamento della sua salute dovuto alla detenzione.
Al processo di revisione, svoltosi a Venezia tra la fine del 1999 e l’inizio del 2000, è stato dimostrato definitivamente il torbido percorso della "confessione" di Marino, nonché l’estraneità di Bompressi, e la fallacia dei sostegni delle sentenze di condanna. Ciò malgrado, i giudici veneziani hanno ritenuto di riconfermare le condanne, nello stupore di chi aveva seguito il processo e hanno ordinato il ritorno in carcere dei tre, ventotto anni dopo i fatti contestati.
Bompressi è agli arresti domiciliari per motivi di salute, i suoi famigliari hanno chiesto per lui la grazia. Pietrostefani è attualmente latitante. Sofri, in carcere a Pisa, non ha mai chiesto la grazia, essendosi sempre dichiarato estraneo alla vicenda. http://www.sofri.org/

17
Al momento della chiusura in redazione, 21 aprile 2004, lo sciopero è stato interrotto da alcuni giorni.

18
È opinione, ormai, consolidata tra molti esponenti politici di destra come di sinistra, che occorra modificare la Costituzione, sempre che si voglia, ben inteso, attribuire il potere esclusivo (e la responsabilità politica…) di concedere la grazia alla discrezionalità (arbitrio?…) del Capo dello Stato, che è un uomo e può anche sbagliare…

19
Lo Statuto Albertino, concesso ai sudditi da Carlo Alberto di Savoia, il 4-3-1848, stabiliva all’art. 8:
"Il Re può far grazia e commutare le pene".
Si fa notare come la Costituzione del 1948 usa identiche parole rispetto allo Statuto, quasi che il potere di Grazia fosse un lascito non troppo ingombrante che servisse a non deprimere troppo la dignità formale del Presidente della Repubblica a confronto con il precedente Sovrano; anche per questo se il potere del Presidente non fosse bilanciato dalla volontà del Ministro (a sua volta controllabile dal Parlamento), il meccanismo sarebbe inaccettabile.

20
In tale caso saremmo certamente in presenza di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, che spetterebbe alla Corte Costituzionale risolvere (art.134 Cost.).

21
Il voto dell’assemblea della Camera il 16 marzo ha affossato il "disegno di legge Boato" che puntava a modificare le norme in materia (in particolare l’art.681 CPP), riconoscendo un potere autonomo al Presidente della Repubblica, a prescindere dal parere del Ministro della Giustizia. Il provvedimento, legato alla possibilità della concessione della grazia per Adriano Sofri era stato approvato in Commissione con una maggioranza trasversale tra i Deputati di tutti gli schieramenti. L’accordo non ha retto però alla prova dell’Aula dove invece la maggioranza ha approvato compatta un emendamento di AN che cancella i nuovi poteri previsti dalla proposta di legge. Dopo il passaggio dell’emendamento l’opposizione ha lasciato l’Aula per protesta: una volta messo ai voti il testo del ddl è stato quindi bocciato nel suo insieme. (17 marzo 2004)

22
"Una causa cattiva, diventa peggiore col difenderla"

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