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Lisa Gerrard / Patrick Cassidy – Immortal Memory

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Lisa Gerrard / Patrick Cassidy
Immortal Memory
(4AD, 2004)

Qualcuno di voi forse ricorderà la recensione dell’album Wake dei Dead Can Dance, pubblicata qualche mese fa su queste colonne. Ebbene, Lisa Gerrard altri non è che la voce femminile di quel duo, oggi titolare di una carriera solista solidamente avviata, nell’ambito della quale non sono mancate e non mancano tuttora collaborazioni con altri artisti: è il caso di Patrick Cassidy, co-firmatario di questo Immortal Memory.
L’idea della collaborazione, a quanto racconta la Gerrard, nacque in modo del tutto casuale: incontratisi mentre lei stava lavorando alla musica per il film Gladiator, scoprirono presto le proprie affinità in campo musicale e si trovarono da subito in sintonia l’uno con l’altra. Per dirla con le stesse parole di Lisa, "we discovered a shared love of music and stories and poetry and of music as a way of telling a story". Patrick all’epoca viveva e lavorava in Irlanda, Lisa in Australia: questo fu sufficiente perché da quel primo incontro non nascesse nulla di concreto. Le basi però erano state gettate, ed in seguito, approfittando di due mesi liberi nelle rispettive agende, Patrick decise di volare in Australia per comporre musica assieme a Lisa: Immortal Memory ne è il risultato.
Una collaborazione, per essere stimolante, deve necessariamente avere luogo fra due artisti capaci di parlare una lingua comune ma allo stesso tempo di apportare idee e suggestioni differenti. In questo caso, la Gerrard ci spiega come "the challenge was for him to accommodate to my more intuitive approach and for me to discipline myself to his more methodical way of working"; la sfida di sintonizzare ragione ed istinto su una lunghezza d’onda equidistante dalle posizioni di partenza, insomma. Non solo: Cassidy portava in dote influenze letterarie pescate a piene mani dalla tradizione gaelica ed aramaica, che avrebbero spinto la Gerrard ad un notevole sforzo di apprendimento della fonetica di entrambi i linguaggi, al fine di poter interpretare correttamente i testi messi a sua disposizione. Tutto questo senza dimenticare che, come ricorda la cartella stampa relativa all’album, "Lisa also has the capacity to go "behind the words" – as Van Morrison once put it – in search of a profounder language, nuanced beyond literal meaning into pure emotion"; peculiarità che, del resto, già emergeva con chiarezza cristallina nella produzione dei Dead Can Dance.
Alla luce di queste premesse, non sarà forse difficile farsi una prima idea di quanto si possa celare all’interno di Immortal Memory. L’album si apre con un poema gaelico, mai musicato precedentemente nel millennio trascorso dalla sua prima stesura (The Song Of Amergin); e si chiude con un brano dedicato da Cassidy alla memoria del padre, scomparso due anni addietro, che costituisce fra l’altro la prima interpretazione della Gerrard di un brano scritto da qualcun’altro (Psallit In Aure Dei). I brani complessivamente sono dieci, tutti caratterizzati da un’atmosfera eterea e spirituale; aggettivo, quest’ultimo, che però Lisa preferisce non applicare alla musica, preferendogli "soulful". Qualunque definizione si scelga, comunque, non si potrà negare la solenne profondità di tutta la musica che scorre fra questi solchi. Rispetto ai già citati Dead Can Dance, che rimangono necessariamente il punto di riferimento nell’analisi di qualsiasi successivo lavoro a firma Lisa Gerrard o Brendan Perry, Immortal Memory accentua ulteriormente l’aspetto melodico nei confronti di quello ritmico. Come facilmente intuibile, non si tratta di musica di facile fruizione. Un distratto ascolto in sottofondo finisce per accomunarla in tutto e per tutto alla media delle produzione new age, dalle quali invece si differenzia per la ramificazione ed originalità delle influenze; un attento ascolto in cuffia, d’altra parte, richiede tempo e tranquillità, anche se ripaga con sensazioni difficilmente procurate da qualsivoglia altra musica. Perfettamente comprensibile, se si pensa alla definizione che la Gerrard offre della musica: "a sanctuary from mediocrity and boredom". In molti casi una pia illusione, ma qui una dichiarazione d’intenti alla quale seguono inesorabilmente i fatti.

Fabrizio Claudio Marcon

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