John Christopher Mulas era eccitatissimo quando finalmente entrò nella sala mensa della Standard Grain Ltd di Omaha. La sua impazienza si coglieva dai movimenti nervosi e scattanti e dall’accortezza con la quale reggeva il vassoio colmo di bustine di consommé liofilizzato e la caraffa di acqua naturale tiepida. Durante il tempo che aveva trascorso nell’atrio, però, in coda nella lunga fila di laboranti, era rimasto calmo e senza tentare di scavalcare nessuno; neanche di spingere chi gli stava davanti.
Ora, però, entrando nella sala, i suoi occhiali avvolgenti anti-esalazioni si giravano ripetutamente da destra a sinistra e viceversa, nel tentativo di abbracciare una visuale completa dell’ambiente. Reggendo per un attimo il vassoio con una sola mano, Mulas abbassò la mascherina ecologica sul collo e cercò un posto a sedere. Dopo averlo individuato, vi si diresse e si sistemò nella sedia di plastica, di fronte a un tizio quasi immobile.
Mentre aggiustava il vassoio per meglio consumare il pasto, lanciò uno sguardo all’altro commensale. John Mulas sembrava davvero impaziente di parlare con qualcuno. Cercò di leggere il numero di matricola stampato a chiare cifre sul petto dell’altro e gli parve di riconoscerlo. Il suo compagno di tavolo aveva già versato il contenuto delle bustine nell’acqua e stava mangiando lentamente, tirando su con una cannuccia, di quelle da un centimetro di diametro.
Si ricordò anche lui della cannuccia e per un secondo ebbe il sospetto che non l’avesse ritirata al banco. Controllò sotto le bustine e vide con sollievo che c’era. Cominciò e far cadere la polverina grigia nella tazza. Poi, guardando ancora l’uomo di fronte a lui, si disse: ma sì, è lui. "Salve!" lo salutò. "Tu sei McArtur, operatore di quarta serie al Reparto Confezioni, non è vero?".
L’altro lo guardò per un attimo da dietro gli occhiali scuri, ma con fare distratto, come se non avesse nessuna voglia di intavolare una conversazione. "Sì" grugnì con indolenza McArtur, e riprese a tirare su con la cannuccia.
Ma John Christopher non voleva rinunciare a scambiare due parole e chiese ancora: "Come va nel vostro settore?".
"Così" mugugnò l’altro.
"Ho una fame, oggi" riprese John. Nessuna reazione. Un silenzio. Poi di nuovo John, con una certa ansia di raccontare: "Sono rientrato oggi… sono stato in clinica per un po’… Ma ne è valsa la pena".
"Ah, sì" commentò l’altro, giusto per dimostrare un educato interesse.
John Christopher sorrise e dopo, senza parlare, abbassò i suoi occhiali avvolgenti mostrando all’altro due occhi azzurri con delle striature di verde. McArtur si chiese dove diavolo volesse arrivare, ma non potè fare a meno di abbassare anche lui gli occhiali scuri per verificare il grado di chiarezza degli occhi del suo interlocutore. Ma non chiese nulla.
John continuò, come se stesse rivelando una grossa notizia: "Ecco i miei gioielli. Mi sono fatto trapiantare gli occhi di un finlandese di venti anni, morto in un incidente nella Sezione Trasporti".
"Belli" fu il commento conciso di McArtur, che ora sperava di essere lasciato a mangiare in pace.
"Eh già. Li ho sempre desiderati" dichiarò soddisfatto John Christopher. Dopo un po’, avendo assaporato completamente il piacere della rivelazione, e anche per dare anche all’altro la possibilità di dire la sua, chiese: "E tu, che interventi conti di fare in questo campo?".
"Beh" si rianimò McArtur, stuzzicato dall’interesse del vicino, e per non sembrare da meno di lui, "dall’anno scorso, per la precisione dal settembre del 2061, ho acceso un mutuo per ottenere un fegato poco usato. Potrò farmelo trapiantare appena le carte saranno a posto. Sai, mi piace bere un goccio di tanto in tanto, e il mio comincia a perdere colpi".
"Certo, hai fatto bene" convenne John Christopher. "A che serve guadagnare se non ci si toglie delle soddisfazioni? E poi, i soldi spesi per i trapianti sono l’unico investimento sicuro".
Investimenti
Giuseppe Cerone