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Monster Magnet

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Monster Magnet
Monolithic Baby!
(SPV, 2004)

Per qualche motivo, avevo completamente rimosso dalla mente l’informazione relativa ai Monster Magnet segnalati in studio alle prese con le canzoni per il loro nuovo album: per questo motivo, sono letteralmente trasalito dalla sorpresa nello scorgere questo Monolithic Baby! sullo scaffale del negozio, per giunta in una sciccosa edizione limitata con DVD accluso. La mia ammirazione per la band è pari solo all’impazienza con cui attendevo una sua nuova uscita, dal momento che il precedente God Says No datava ormai a quattro anni fa: nel frattempo era stato proposto un greatest hits, ma non ancora un vero e proprio nuovo album.
I Monster Magnet edizione 2004 si presentano con una line-up rinnovata quasi per metà: al fianco dei confermatissimi Dave Wyndorf (voce, chitarra e tastiere), Ed Mundell (chitarra) e Phil Caivano (ancora chitarra, tanto per gradire…) si affaccia infatti Jim Baglino al basso; dietro le pelli siede Michael Wildwood, che lascia il posto a Josh Freas per la sola Master of Light (ma le note di copertina recitano anche "Magnet welcomes aboard Bob Pantella on drums"). Le ragioni del cambiamento sono illustrate da Dave nell’intervista presente sul DVD: in sostanza si è trattato di un ricambio naturale, procurato dal fatto che i membri dimissionari semplicemente non si trovavano più in sintonia con il materiale della band. Materiale che, a detta dello stesso Wyndorf, in occasione di quest’ultima fatica discografica vuole caratterizzarsi a pieno titolo come rock’n’roll duro e puro.
Dura (fin dal titolo, che fa perno su un gioco di parole intraducibile ma molto esplicito) è sicuramente Slut Machine, che investe l’ascoltatore come un treno in corsa e lo lascia al suolo stordito; incidentalmente, funge anche da lasciapassare per Supercruel, che si avvale di un riff altrettanto serrato ma molto più incisivo.
Fin qui tutto secondo la norma: l’impressione è che le danze debbano ancora aprirsi, e la conferma arriva con la traccia numero tre. On the Verge è la quintessenza dei Monster Magnet più astrali: attacco solo voce e chitarra, ingresso tutt’altro che invadente di basso e batteria, ritornello più robusto. Lo schema si ripete fino alla vorticosa accelerazione finale, che porta a conclusione un brano dalla firma inconfondibile.
Gli fa seguito Unbroken (Hotel Baby), primo singolo estratto dall’album: c’è anche un videoclip, incluso nel DVD, che ben difficilmente vedrete passare su MTV in fascia protetta. Nell’intervista Dave, ammessa la propria idiosincrasia per i video, procede ad illustrare il ragionamento seguito nella scelta del soggetto. Cosa vorrebbero vedere i fan in un video dei Monster Magnet? "Tits!", ovviamente. Ecco quindi quaranta ragazze variamente svestite dimenarsi freneticamente attorno ai fortunati musicisti per tre minuti e mezzo di assoluto rock’n’roll: immediato, catchy, sguaiato e diretto come da tradizione. Il gioco funziona egregiamente, tanto in audio che in video.
C’è appena il tempo di tirare il fiato prima dell’inizio di Radiation Day, altro brano ritmico sulla falsariga di Supercruel. Da qui si sfuma senza soluzione di continuità in un’efficacissima Monolithic, sorretta da un riff opportunamente pesante: curiosa la citazione, volontaria immagino, dalla beachboysiana Fun, Fun, Fun ("’till daddy takes your T-Bird away").
Segue una coppia di cover: The Right Stuff di Robert Calvert (ex Hawkwind) e There’s No Way Out Of Here dei Pink Floyd. La prima è ritmata e pesantemente scandita dal drumming, offrendosi come esperienza d’ascolto non proprio memorabile; le cose vanno un po’ meglio con la seconda, ballata insospettabilmente tersa all’inizio ma capace di incattivirsi come da copione in prossimità del ritornello.
Un beat dal sapore tristemente elettronico fa da accompagnamento alla voce di Dave nei primi secondi di Master Of Light. Superato lo shock ci si accorge che il brano ha qualcosa da spartire con i Paradise Lost di Host, che a me non dispiacevano affatto ma che nemmeno mi sarei aspettato di dover citare in una recensione dei Monster Magnet…
Too Bad è un pezzo con più di un precedente nella produzione del gruppo: penso a Take It, See You In Hell o Blow ‘Em Off. Consente di tirare il fiato e di ricordare come Wyndorf e soci se la cavino egregiamente anche quando accantonano i distorsori: in questo caso, peraltro, non è esattamente un intermezzo perché giunge quasi a fine programma.
Con Ultimate Everything, una cavalcata di oltre sette minuti dall’andamento decisamente stoner, si riaffaccia qualche suggestione spaziale e duramente psichedelica: l’impianto è quasi blues, sebbene sia reso irriconoscibile da ondate di feedback e da una sofferta interpretazione vocale.
La chiusura è affidata a CNN War Theme, un pastiche nel cui insieme spiccano percussioni di gusto tribale e che si snoda lungo tre minuti e mezzo attraverso fasi alterne di saturazione e calma. Nel complesso, più un divertissement che un brano vero e proprio.
E’ bello riavere con noi i Monster Magnet, soprattutto dopo un silenzio protrattosi troppo a lungo. Non sono tornati con l’album migliore della loro storia, questo è certo: nei momenti di grazia sono ancora loro, ma nel contempo Monolithic Baby! contiene più di una traccia che solo il grande mestiere della band consente di sollevare almeno parzialmente dall’anonimato. La scelta di scrivere materiale più semplice e diretto del solito ha prodotto alcune gemme, ma forse anche qualche scarto di lavorazione; o, perlomeno, qualche brano di fronte al quale non si rimane a bocca aperta. Poco male, dopotutto, se la qualità complessiva rimane comunque ben al di sopra della linea di galleggiamento.

Fabrizio Claudio Marcon

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