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Hako

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Hako

Quest’anno oltre ad Andrea Leonardi, anche io e Isabelle siamo andati al 21° Torino Film Festival. La nostra è stata più che altro una toccata e fuga perché quest’anno il tempo libero è stato veramente scarso.
A differenza di quanto espresso da Andrea con il suo articolo del numero scorso, noi non siamo rimasti entusiasti della manifestazione, anzi…siamo rimasti parecchio frastornati dalla locazione e dal programma. Mi spiego…
Quest’anno il Festival ha avuto come sede il multisala del "Lingotto" che, per chi non lo sapesse è diventato un MEGA centro commerciale a dir poco alienante, preso d’assalto nei week-end da orde di zombie consumisti che si aggirano trascinandosi per corridoi interminabili (Romero docet). Questo è stato il primo punto dolente.
Nella confusione del "Lingotto" abbiamo cercato di decifrare il programma del festival per tentare nel poco tempo a nostra disposizione di vedere il maggior numero di film in concorso. Non è stato facile… una cosa è certa, nelle undici sale del Festival le proiezioni non mancavano ma a parer nostro c’erano troppe sezioni, diciannove, in cui i 14 lungometraggi della sezione in concorso facevano la fine di un ago nel pagliaio. E questo era il secondo punto negativo.

Abbiamo visto alcune cose, non tante, molte ci hanno lasciati indifferenti ma una ci è rimasta particolarmente impressa.
Il film in questione è "HAKO" di Kanji Nakajima, giapponese.
Il film, completamente in bianco e nero, gioca su una trama surreale con riprese caratterizzate da forti contrasti che rendono intere sequenze praticamente monocromatiche. Il modo in cui il regista ha deciso di girare il film contraddistingue in modo molto particolare questo lungometraggio la cui assenza di colori rimane impressa nella memoria dello spettatore anche dopo molti mesi.
Dal punto di vista della trama, si tratta di un film di fantascienza, ambientato in un futuro non ben definito in cui tecnologia e natura si compenetrano, convivono, si sostengono, si scambiano. Una fantascienza senza effetti speciali abbaglianti in cui tutto ciò che avviene è appena accennato e comunque avvolto in un alone di mistero (tipico di molti film nipponici) in modo da lasciar lavorare la fantasia dello spettatore. E’ questo che colpisce, che rimane impresso, una tecnologia misteriosa, non rivelata, che si fonde con la natura e che entra a contatto con le persone silenziosamente, di soppiatto, quasi per coglierne l’essenza. L’immagine della scatola ("The Box") che "rotola" lungo le rotaie di un treno che da molto tempo non passa più, rimarrà a lungo nei nostri ricordi.

Con molto piacere abbiamo saputo recentemente guardando i risultati del festival che la giuria ha assegnato a questo film una Menzione speciale "per un film allegorico, visivamente esuberante, in monocromia"

Fabrizio Guicciardi e Isabelle Martinelli

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