Lo beveva Pasquale Cafiere a Poggioreale, lo preparava con strane ricette la Peppina e, attualmente, ne beve settemila Alex Britti. Anche la musica lo ricorda, il caffè, compagno di viaggio delle nostre giornate: indispensabile per prendere il via alla mattina, formidabile come motivo di pausa e ristoro, sostegno nelle notti di studio e lavoro. Amico caffè? In fondo, si potrebbe anche dire così. Ma da dove viene, chi è l’amico caffè? Senza fare una lezione di geografia alimentare, si può seguire il percorso di un chicco di caffè dall’albero alla nostra tazzina (e il percorso parallelo compiuto dai dollari).
E’ democratico in fondo, il caffè, piace a tutti, ricchi e poveri, in ogni parte del mondo. E’ democratico anche perchè causa di arricchimento e affrancamento sociale per tantissimi contadini dal Brasile al Vietnam, dalla Colombia all’Etiopia. Questo fino a che, dal 1997 in avanti, non sono crollati i prezzi in borsa, con conseguente tracollo di varie economie. Un esempio concreto può aiutare a capire che si tratta di fatti reali, non di teorie macroeconomiche: il Vietnam è famoso nel mondo come paese produttore di riso. A un certo punto però, si scopre che un chilo di caffè può fruttare quanto 4 o 5 chili di riso, e si comincia a spingerne la produzione5, anche grazie a incentivi statali sull’acquisto di terreni e altro. Così, il reddito medio di un agricoltore praticamente raddoppia e con esso la possibilità di mandare i figli a scuola, di curarsi, di comprare la televisione. Poi i prezzi in Borsa crollano. Per quanti caffè, cappuccini, caffelatte si bevano ogni giorno, il caffè prodotto è superiore 6in quantità al caffè richiesto. Le scorte aumentano, i prezzi crollano. In Vietnam, un chilo di caffè rende quanto un chilo di riso. E i compratori non lo chiedono più. Inoltre, i coltivatori vietnamiti non raggiungono il livello di qualità e tecnologia di quelli brasiliani e delle loro coltivazioni intensive. Guadagnano così poco che paradossalmente cercano di produrre ancora di più per arrivare a un qualche minimo ricavo. La qualità crolla, gli agricoltori essicano il caffè ai lati delle strade, coltivano ovunque. E vendono il caffè alle multinazionali, che poi lo rivendono a noi. E’ stato dimostrato che la qualità del caffè che beviamo sia peggiorata rispetto ad anni fa. Non altrettanto si può dire della qualità del packaging, degli slogan pubblicitari 4o dei premi delle varie raccolte punti.
Guardando altrove, rimane vero il fatto che moltissimi coltivatori7 guadagnano meno di quanto spendano per le loro coltivazioni. In Tanzania il caffè è coltivato nella zona del Kilimangiaro, area in cui, nei momenti di boom della produzione, la ricchezza superava quella del resto del paese anche del 95%; ora, col crollo del mercato, anche lì è tornata la povertà. Molti coltivatori hanno dovuto ritirare i figli da scuola, pregiudicando così anche lo sviluppo e il miglioramento delle generazioni future. Dal Chiapas ogni settimana emigrano dalle zone del caffè 500 famiglie, spesso per tentare di entrare illegalmente negli Stati Uniti e guadagnarsi una vita ai margini della società. In Etiopia le perdite economiche sono enormi (quasi metà del fatturato, che di per sé costituisce i 2/3 dell’export nazionale) e coinvolgono circa settecentomila persone.
Esiste una soluzione? Ne esistono molteplici, a vari livelli. Attuando politiche di largo respiro, è stato proposto dagli esperti di agire dall’alto, regolamentando il mercato dei prezzi, riducendo con un accordo sovranazionale le produzioni dei singoli stati in modo da produrre solo per soddisfare la richiesta -una specie di quote caffé-, migliorare le tecniche di produzione, di trasporto, di credito per gli agricoltori. Un’ulteriore proposta prevede di aiutare i coltivatori a convertire i loro raccolti in nuove produzioni più redditizie (purtroppo qualcosa di simile sta avvenendo a livello selvaggio in Colombia, dove il caffè è via via spodestato dalle piantagioni di coca!).
Una soluzione saggia e immediatamente attuabile sta portando in alcune zone a innalzare la qualità del prodotto e corrispondere un prezzo più equo ai produttori. A livello più basso, più umano forse, si potrebbe sostenere quest’approccio e sposare la causa del caffè "corretto", rispettoso anche di chi lo produce.
Ha fatto di ciò la propria bandiera, tra gli altri, l’organizzazione inglese Oxfam, lanciando la campagna "The big noise" all’interno del più vasto progetto "Make fair trade". E’ una campagna che cerca di diffondersi nel mondo, ovunque vi sia caffè, grazie a Internet. Si può partecipare iscrivendosi ed entrando a far parte del grande gruppo di sostenitori10, coinvolgendo i conoscenti con e-mail e altro; si può anche scaricare un kit composto da banner per il proprio sito, mail da mandare a grandi nomi dell’industria del caffè, report di analisi e dati sulla situazione internazionale.
Praticamente, la prima risposta potrebbe essere l’acquisto diretto di caffè equo e solidale 11(disponibile ormai in tutti i supermercati) che a noi costa un pò di più, ma fa dell’aumento della qualità e del dare una retribuzione giusta ai coltivatori la sua bandiera. In fondo "il caffè è un piacere, se non è buono12 che piacere è?"
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Un caffè corretto
L’albero dei dollari
Il cammino del caffè, e in fondo quello di qualunque altro prodotto che da grezzo diventa raffinato1 è scomponibile in tre fasi principali: produzione, vendita e trattamento, impacchettamento – pubblicità – vendita. A livello geografico, tale percorso diventa: Sud del Mondo2, Nord del Mondo3e tutto il mondo, la casa di ognuno di noi. A ritroso il percorso sarebbe tazzina di caffè, supermercato, grossista, impacchettatore, multinazionale, mediatore, contadino.
Un gran casino
Il nostro amico caffè, trattato in borsa come l’oro, utile per noi come una benzina, è in realtà un veleno per tantissime persone. L’economia del caffè ha queste due facce opposte: porta denaro alle multinazionali e contemporaneamente povertà, dislocazione sociale 8ai coltivatori e alle loro famiglie.
Luisa Neri
considerazione non casuale, tutto quanto qui scritto andrebbe coraggiosamente applicato ad altri campi
poeticamente, cintura verde, tropico del Capricorno
laddove hanno sede le multinazionali, quindi Europa e America
e dei testimonial e dei tormentoni in più puntate ambientati in paradiso, all’inferno, nelle case dei single più alla moda, su meraviglose romantiche scogliere
chiamano l’albero del caffé "albero dei dollari"
in termini tecnici: vi è eccesso strutturale dell’offerta
Numeri: ci sono 20 milioni di lavoratori impegnati nella produzione del caffé, soprattutto coltivatori, in cinquanta paesi. Secondo la World Bank, solo l’anno scorso in America del Sud sono andati perduti 600mila posti di lavoro nel settore.
e conseguenti tagli sulla sanità e l’educazione
formidabile l’intuizione di rappresentare sul sito la community come un persone che entrano e escono da uno spazio; cliccandoci sopra si impara chi sono e si può sentirle così, mi si passi l’ossimoro, virtualmente in carne e ossa
buono e giusto, ma comprato in Germania solo dall’1% della popolazione e in Svizzera dal 5%. In fondo, segue le leggi di mercato: se qualcuno lo compra continueranno a investirci, altrimenti…
"un caffé buono per chi lo consuma, buono per chi lo produce e per l’ambiente", da una confezione di caffè equo e solidale