Il mezzo più efficace di ottener fama
è quello di far credere al mondo di esser già famoso
Giacomo Leopardi
Un anno dopo, in un periodo in cui la speculazione sui nomi a dominio si faceva più frequente, con casi sempre più eclatanti di "occupazione abusiva" di nomi e spazi Internet, la notizia di "armani.it" in mano ad una fabbrica di timbri, di un quasi sconosciuto, non poteva non destare scalpore; perciò il noto stilista Giorgio Armani, infastidito tra l’altro per aver trovato anche altre estensioni del proprio marchio già occupate3, iniziava la vicenda giudiziaria, dopo aver registrato il dominio "giorgioarmani.it".
Tra i rimedi a propria disposizione, i legali dello stilista hanno ritenuto opportuno puntare al giudizio ordinario, e ciò si comprende con il fatto che intentare una procedura di riassegnazione sarebbe stato molto rischioso, dato che la buona fede di Luca Armani era fin troppo evidente e dimostrata dai fatti. Un giudizio ordinario, anche se indubbiamente più lungo, tende ad accertare l’esistenza di un diritto esclusivo, della società Giorgio Armani s.p.a. attrice, all’uso del nome di dominio contestato, ed evidentemente alla fine questa scelta ha premiato lo stilista.
Nell’affermare la fondatezza delle pretese della società attrice (la Giorgio Armani s.p.a.), il Tribunale6 ha, comunque, precisato che "deve escludersi che nei fatti dedotti dall’attrice siano ravvisabili gli elementi costitutivi dell’illecito concorrenziale confusorio", in quanto le attività svolte dalla Armani S.p.a. e dalla ditta del convenuto, non sono affini.".
Si è voluto escludere, in altre parole, qualsiasi ipotesi di concorrenza sleale7, di cui all’articolo 25988 del codice civile, sia in particolare del suo n.19, ai sensi del quale, inizialmente, era stata chiesta la condanna del convenuto, sia del n.310, richiamato, nelle ultime fasi del processo (nella c.d. comparsa conclusionale), dai legali dello Stilista.
Anche la domanda di risarcimento del danno, avanzata dalla Società attrice, non è stata accolta "non avendo l’attrice fornito alcun elemento di prova relativo al lucro cessante11, in concreto, ad essa derivato dall’altrui condotta illecita…" (in altre parole, non c’è prova né dell’esistenza, né dell’ammontare di un danno subito da Giorgio Armani, dall’uso del dominio internet da parte di un timbrificio…).
Infine, con il dispositivo12 della sentenza, in parte anticipato prima, il Giudice "…ha ordinato la cancellazione della parola "armani" nel nome a dominio registrato in favore del convenuto…", inibendo13 allo stesso "…l’uso della parola "armani" come nome a dominio, ove non accompagnata da elementi idonei a differenziarla dal marchio "Armani"", ha fissato la somma di 5000 € "dovuta dal convenuto all’attrice per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della…sentenza", ha condannato lo stesso a rimborsare14 all’attore le spese di giudizio, per complessivi € 13.526,00, ordinando "…la pubblicazione15 del dispositivo della presente sentenza, a cura dell’attrice e a spese del convenuto, sul quotidiano il "Corriere della Sera", sulla rivista "Internet Magazine", nonché sul sito Internet dell’attrice;…"
Premesso che sicuramente al signor Luca Armani non sarà sfuggita la circostanza che una tale registrazione (anche se effettuata nel "lontano" 1997), a causa della univocità del domain name, lo avrebbe avvicinato, sensibilmente ma anche pericolosamente, alla maison di Milano, l’intera vicenda implica una serie di considerazioni, la necessità di contemperare i diversi interessi in campo, e diritti ugualmente meritevoli di tutela.
Il Tribunale ha (probabilmente) ritenuto applicabile l’art.1 della già citata legge sui marchi, che estende la tutela del titolare del marchio anche nei confronti di terzi che usano un segno identico o simile al marchio per prodotti o servizi non affini, se il marchio gode di una certa rinomanza. In questo modo il titolare può opporsi al suo utilizzo anche per prodotti molto lontani da quelli tipici del titolare. La conseguenza di tale applicazione della norma, è che la registrazione di un dominio con il proprio cognome non ne garantisce la titolarità, se quel cognome è equiparato ad un "marchio16", capace di prevalere rispetto a qualsiasi diritto al nome17.
Altro importante problema che si apre ora, naturalmente, è quello legato alla titolarità di tutti i domini italiani registrati da chi ha un cognome corrispondente. Se la Registration Authority a suo tempo affermava con forza che un nome a dominio equivalente ad un cognome non avrebbe potuto essere registrato se non dal titolare del cognome stesso, ora interviene questa singolare ed estensiva interpretazione (giurisprudenziale) della legge sui marchi a cambiare tutto.
Alla luce di quanto illustrato, e del dispositivo della sentenza del Tribunale di Bergamo, ci chiediamo se è attuale il rischio che, nel momento in cui si passa dal contesto reale a quello immateriale della rete per decidere le sorti dei conflitti tra tali diritti (diritto al nome e diritto alla tutela del marchio), alcuni di questi possano venire "aprioristicamente" sacrificati. E, più alla radice: le regole di conflitto esistenti, previste per ipotesi relative al mondo reale, possono sempre essere applicate ai domini internet?
Certo, la tutela dei marchi è una grande garanzia per il consumatore, che può aspettarsi una certa qualità del prodotto che un eventuale imitatore può non avere interesse a raggiungere. E non si può essere certamente, contrari al concetto della tutela dei "marchi notori" (quale oggettivamente è il cognome Armani18).
Il dominio Internet opera, in realtà, come un enorme e potentissimo magnete che attrae tutte le denominazioni a prescindere dalla finalità e dall’ambito del loro uso: siano essi marchi; pseudonimi; DOC, INN etc. Di conseguenza, a ben vedere, il problema non è quello del diritto al nome: armani.it non era registrato al signor Luca Armani, ma al timbrificio Armani, né la cosa poteva essere diversa, dato che a quel tempo (1997) una persona fisica non poteva registrare un nome a dominio19.
Il significato di questa sentenza è pertanto chiaro: secondo il Giudice, nel "settore Internet" non è mai possibile entrare con un nome corrispondente a un marchio notorio, e non importa se c’è già un’attività con la stessa denominazione. Questo è un banale corollario della struttura ad albero dello spazio dei nomi a dominio: di "armani.it" ce ne può essere solamente uno.
A questo punto però sorge spontanea una domanda, oltre a una serie di implicazioni pratiche. Perché un imprenditore può chiamare un timbrificio "Armani", ma non può chiamare così un sito internet? La risposta per la quale per il Giorgio non è rilevante l’esistenza di un negozio di timbri suo omonimo, mentre il sito internet ha una ben maggiore valenza, non è convincente. Innanzitutto, nel 1997 Internet esisteva già da tempo, e uno stilista (per cui gli USA sono di casa) che non ne abbia mai sentito parlare e che non si ponga il problema può sembrar strano. È, infatti, trascorso un anno prima che iniziasse la causa… e cinque anni per arrivare a un giudizio di primo grado, (anche se questi sono i tempi della giustizia italiana). Inoltre, se ci fosse un altro Armani che ha un’attività che al momento non riveste interesse per la griffe, ma che tra cinque anni diventerà importante, cosa succederebbe? Altra nuova battaglia legale?
Mi risulta che la "reazione ufficiale20" della Naming Authority non è stata incoraggiante ai fini della risoluzione e prevenzione del problema. Non tanto per l’affermazione: "Noi non possiamo fare nulla, se c’è una sentenza della magistratura" ("in fin dei conti, chi richiede un nome a dominio deve affermare di averne il diritto all’uso: è colpa del soggetto che non ha verificato se poteva registrarsi armani.it"). Quello che colpisce è l’immobilismo manifestato dalla NA. Se si ritiene corretto il principio enunciato dal magistrato bergamasco, occorrerebbe modificare le regole di naming per abbracciarlo, o fare comunque in modo che la cosa sia nota a chi sta per registrare un nome a dominio. In caso contrario, bisognerebbe lavorare ad una legge che specifichi alcuni principi di base sul diritto a un nome a dominio, dando così un quadro normativo più stabile.
Certo non sono mancate voci se non "a favore", almeno "comprensive" verso la sentenza, che è opportuno citare. Bruno Piarulli ("un conto è armani.it un conto sarebbe stato timbrificioarmani.it"), presidente e amministratore delegato di Register.it21, non si è posto troppi problemi, non tanto perché Register abbia pronta una soluzione per i portali aziendali ma perché Piarulli rimane convinto che "una presenza sicura sul Web" parte da "una sicura presenza" su Internet. Appare come un semplice gioco di parole ma è, in realtà, un concetto articolato, che va oltre la semplice proposta commerciale di Register. Il problema iniziale di un’azienda che debutta su Internet è di farsi trovare dagli utenti. Principio che sembra banale fino a quando Piarulli non illustra qualche esempio, che fa riflettere. "Se cercate qualcosa sulle auto Mercedes non provate a digitare mercedes.it perché non troverete nulla, per arrivarci infatti dovete andare su daimlerchrysler.it che è la società che ha acquisito il marchio. Per trovare Telecom bisogna andare su Telecomitalia.it che non è proprio immediato, mentre Raiuno, Raidue e Raitre un loro sito non ce l’hanno, ma sono tutti all’interno di rai.it. E’ vero, ci sono i motori di ricerca, ma i consumatori devono raggiungere in modo immediato i siti aziendali e poi il problema riguarda soprattutto i marchi delle aziende e i futuri nuovi prodotti". Per questo, spiega Piarulli, è necessario prestare grande attenzione all’identità online. Per questo Register prosegue il suo core business nella gestione dei domini ma si evolve anche verso una forma di consulenza alle aziende per fornire i "giusti domini" ed evitare i rischi di un cybersquatting che, seppure in calo, può sempre provocare qualche danno.
Ma, l’equivoco "giuridico" più evidente a cui ci troviamo di fronte analizzando questa sentenza, sta nel fatto, a mio parere, di considerare sullo stesso piano il domain name su internet e il marchio nella realtà del mondo fisico: una situazione come quella che avviene nel mondo reale, in cui una persona esercita il suo diritto assoluto al nome (segno distintivo della persona) contemporaneamente all’azienda, che esercita il suo diritto assoluto di marchio (segno distintivo dell’azienda), non è immaginabile on line; sicuramente, l’esplosione della digital economy, con la crescente presenza on line di imprese e soggetti portatori di consistenti interessi economici, ha visto l’affermarsi di un’esigenza della tutela del marchio industriale, in relazione ai domain name; questi ultimi, quindi, sono stati via via osservati e valutati come segni distintivi atipici, e questo è sicuramente un passo avanti rispetto all’asettico first come, first served22.
Ma, un domain name, quindi, non viene in rilievo esclusivamente dal punto di vista dell’utilizzazione commerciale; per cui la sua registrazione e utilizzazione non vanno visti necessariamente nella logica della concorrenza tra imprese, nella quale ci si deve collocare per valutare eventuali atti confusori ai sensi della legge marchi.
Rimane anche da vedere cosa penseranno di quanto accaduto tutti gli altri Armani italiani, e soprattutto quei circa 200 Armani che sono titolari di altrettante aziende nostrane…
Per ora, nel sito www.armani.it appaiono soltanto, dopo l’indirizzo di posta elettronica, l’indirizzo postale, il codice fiscale, la partita I.V.A e le coordinate bancarie della ditta "Armani", i ringraziamenti di Luca, per i generosi che hanno inviato un contributo per continuare, più a lungo possibile, la sua "battaglia", non solo legale…
John Fitzgerald Kennedy
1
2
3
4
R.D. 21-6-1942 n. 929, Testo delle disposizioni legislative in materia di marchi registrati, così come modificato dal D.Lgs.4-12-1992 n. 480, Attuazione della direttiva n. 89/104/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1988, recante ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi di impresa.
5
6
7
8
Art.2598. Atti di concorrenza sleale.
"Ferme le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi [artt.2563-2574] e dei diritti di brevetto [artt.2584-2594], compie atti di concorrenza sleale chiunque:
1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente;"
9
10
In questa categoria vengono compresi tutti gli atti, diversi da quelli previsti ai nn. 1 e 2 della norma, che siano giudicati scorretti dal ceto commerciale (es.: boicottaggio dell’impresa, appropriazione dei registri di fabbrica etc.).
11
-Danno emergente, consistente in una diminuzione del patrimonio,
–Lucro cessante, che si identifica nel mancato guadagno determinato dal fatto dannoso.
12
13
14
15
16
17
Art.6 Diritto al nome.
"Ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito. Nel nome si comprendono il prenome e il cognome.
Non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome, se non nei casi e con le formalità dalla legge indicati".
Nome: è il segno legale distintivo della persona.
Prenome: è l’appellativo individuale (nome proprio o di battesimo) che designa la persona nell’ambito del gruppo familiare. La scelta del (-) spetta, innanzitutto, ai genitori e, solo se essi non la compiono, ad altri soggetti. Esso viene imposto al momento della dichiarazione della nascita all’ufficiale dello stato civile.
Cognome: indica l’appartenenza ad un determinato gruppo familiare. Si acquista per nascita, per riconoscimento, per adozione etc.
18
19
20
21
22
Il signor Luca Armani2 (di Treviglio -BG- appassionato cybernauta fin dagli albori della rete), nel 1997, registrava il dominio internet "armani.it", creando un sito-vetrina per il suo timbrificio.
Dopo quasi 5 anni, mercoledì 19 marzo 2003 il Tribunale di Bergamo ha dichiarato, in via principale, l’illiceità della registrazione4 e dell’utilizzazione del dominio Internet "armani.it", ai sensi della legge marchi5, nonostante il signor Luca Armani, avesse registrato per primo il proprio cognome come domain name.
Alberto Monari
L’uomo è il computer più straordinario di tutti
Nell’immagine: al centro Luca Armani, la moglie Emanuela ed i figli Filippo ed Eva
Il "caso Armani", per la particolarità del caso, ha avuto un significativo riscontro in rete. Nell’impossibilità di trovare il testo completo di motivazioni della Sentenza del Tribunale di Bergamo, gli spunti principali della presente trattazione sono stati assunti da: "Il caso armani.it: domini, marchi e diritti assoluti" di Roberto Manno – 17.04.02, in www.interlex.it, "My name is Armani, Giorgio Armani" di Maurizio Codogno, in www.beta.it, "La Sfortuna Di…Chiamarsi Armani" di Michele Iaselli, in it.news.yahoo.com/030321/195/27sa6.html.
Difatti armani.com era stato registrato già dal 1995 da Anand Ramnath Mani, un grafico di Vancouver ed armani.org era registrato da un’associazione religiosa di una omonima signora francese dal nome Mireille. Il primo caso ha avuto poi un epilogo importante con la pronuncia (emessa nell’estate del 2001), dall’Arbitration and Mediation Center dell’Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale (OMPI-WIPO, Istituzione specializzata dell’ONU), secondo la quale, sebbene il nome di dominio armani.com, utilizzato dal signor Anand Ramnath Mani, ovvero "A.R. Mani", e registrato nel gennaio del 1995, potesse generare confusione con il marchio Armani, il cittadino canadese aveva un interesse altrettanto meritevole di tutela a utilizzare come nome di dominio il proprio nome preceduto dalle iniziali.
Il sistema di registrazione dei domini internet, in Italia, si basa sull’opera di due enti che sono la Naming Authority (NA), alla quale spettano poteri di tipo normativo-regolamentare, e la Registration Authority (RA), che gestisce il registro relativo alle assegnazioni dei domini ".it". Sia la NA che la RA dipendono dallo IAT, Istituto per le Applicazioni Tecniche del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche), ente delegato alla registrazione dei domini ".it" in virtù del ruolo riconosciutogli dall’ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers), preposto a supervisionare e gestire i domini a livello internazionale. Da "Nuove regole sui domini .it", di Laura Turini, in Diritto e Telematica/1, ne "Il Sole-24 ore supplemento Alfa" del 18 gennaio 2002.
R.D. 21-6-1942 n. 929, Testo delle disposizioni legislative in materia di marchi registrati, così come modificato dal D.Lgs.4-12-1992 n. 480, Attuazione della direttiva n. 89/104/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1988, recante ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi di impresa.
Composto in forma monocratica dal Giudice Elda Geraci.
È interesse generale che lo svolgimento della concorrenza avvenga in modo corretto e leale. È per questo che la legge fissa talune regole di comportamento che devono essere osservate dagli imprenditori per impedire il verificarsi di «colpi bassi» e comportamenti illeciti. I fatti e gli atti che violano tali regole vengono qualificati come atti di concorrenza sleale che integrano il cd. illecito concorrenziale. Illecito concorrenziale e illecito civile presentano affinità e divergenze. Entrambi hanno la funzione di prevenire e reprimere atti suscettibili di arrecare un danno ingiusto, ma la repressione degli atti di concorrenza sleale si caratterizza per il fatto che viene attuata anche se gli atti sono compiuti senza dolo o colpa e anche se non hanno arrecato un danno effettivo ai concorrenti; è sufficiente, infatti, il cd. danno potenziale
Codice Civile, Libro V "Del Lavoro", Titolo X "Della disciplina della Concorrenza e dei Consorzi", Capo I "Della disciplina della Concorrenza", Sezione II Della concorrenza sleale
Tali atti vengono qualificati come atti di concorrenza sleale per confondibilità. Si tratta di quegli atti in cui la non conformità alla correttezza professionale dipende dal fatto che un’impresa sfrutta l’affermazione sul mercato di altra impresa concorrente.
Art.2598, "n.3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda"
Il danno patrimoniale (cioè passibile di valutazione economica) si distingue in:
Parte della sentenza che precede la data e la sottoscrizione del Giudice della stessa, enuncia il disposto contenuto nella sentenza o in qualsiasi altro provvedimento giurisdizionale civile. Dopo la pubblicazione della sentenza, solo il dispositivo viene comunicato alle parti costituite, al fine di dare notizia dell’avvenuto deposito della stessa.
Inibitoria: è l’azione mediante la quale si chiede la cessazione di un comportamento ritenuto lesivo di un diritto, autonoma rispetto a quella di risarcimento del danno.
Seguendo il "principio della soccombenza", che pone a carico del soccombente e a favore della parte vittoriosa la responsabilità per le spese del processo.
La pubblicazione della sentenza ha una funzione sanzionatoria (tipica in questi casi di violazione di nomi e/o marchi) e di scoraggiamento per colui che ha violato il nome/marchio altrui. Essa ha, tuttavia, anche l’obiettivo di ridurre le conseguenze negative della lesione, portando a conoscenza della comunità l’usurpazione del marchio o il suo indebito uso.
Oggi il dominio armani.it è passato nelle mani della Giorgio Armani S.p.A., già detentrice di più di 100 domini Internet, registrati nei 5 continenti.
Codice Civile, Libro I Delle Persone e della Famiglia, Titolo I Delle Persone Fisiche
Piuttosto può essere portatore di problemi, il fatto che non vi sia un elenco preciso, aggiornato periodicamente, di "marchi notori", e che tale mancanza sia, in qualche modo, "voluta".
Inoltre la legge italiana tutela "nome e cognome", non il semplice cognome…
Vedi il contributo di Michele Codogno, Vicepresidente uscente della NA, cit. sopra.
In Italia le società che offrono servizi di registrazione sono un migliaio e la maggior parte è autorizzata dalla Registration Authority, potendo assegnare i domini ".it", mentre, solo due, Register.it del gruppo Dada e Tuonome.it sono accreditate presso l’ICANN e quindi in grado di distribuire i domini ".com", ".net", ".org", (dati Il Sole 24 ore, gennaio 2002). All’attento lettore, e conoscitore del Web, non sfuggirà la condizione di "conflitto di interessi" in cui ci potremmo trovare di fronte alle affermazioni (per altro abbastanza generiche), di Piarulli…
Il primo arrivato (registrato), prevale su tutti gli altri.