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Pari opportunità

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Pari opportunità…
"L’uomo mente alla donna quando sa di avere torto,
e la donna mente all’uomo quando crede di avere ragione"
R. Bracco

Con il l’approvazione definitiva in Senato, del disegno di legge sulla riforma dell’articolo 51 della Costituzione, il termine "pari opportunità" entra formalmente nel testo della nostra Carta fondamentale. Il provvedimento1, infatti, aggiunge all’articolo suddetto2, l’affermazione che ”A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.
Dunque, questa modifica mira a superare la frattura esistente tra la partecipazione delle donne alla vita professionale, sociale e culturale del Paese, e quella alla vita politica e istituzionale.
Tradizionalmente, nell’ordinamento italiano, la rappresentanza politica è stata garantita dal concetto di uguaglianza
formale3, mentre da diversi anni in Europa ed in Italia è in corso un dibattito sulla necessità di introdurre azioni positive in favore delle donne, per realizzare una uguaglianza più "sostanziale" nell’ambito della rappresentanza politica.
Oggi, alla luce delle profonde modificazioni storiche e culturali intervenute, dei dati circa la scarsa partecipazione delle donne alla vita politica e istituzionale (con le ultime elezioni si è avuta un’ulteriore contrazione della percentuale di parlamentari donne, che ha toccato il 9,2%, collocando il nostro Paese all’ultimo posto fra i membri dell’U.E.), e sulla base delle diverse condizioni di partenza, si è ritenuto necessario stabilire un diverso trattamento giuridico.
A tal proposito, nel settembre del 2001, è stato presentato dal
Governo4 il disegno di legge costituzionale che ha riassunto una proposta dei Democratici di Sinistra, e nella cui relazione di presentazione si parla di "uguaglianza delle opportunità" e di "correzione degli squilibri nella rappresentanza".
Scopo principale della riforma, e della formulazione "aperta" dell’art. 51, è quello, di conseguenza, di dare copertura costituzionale alle possibili azioni concrete che verranno adottate dal Legislatore, per "correggere" le discriminazioni che ostacolano un ingresso fisiologico delle donne, negli organi di rappresentanza politica e amministrativa.
La mancata indicazione delle iniziative da assumere, il carattere temporaneo, che potranno assumere e la circostanza che vengano adottate con legge ordinaria (e non con norma costituzionale), evitano che l’eccezione al principio di parità tra i sessi si trasformi in regola.
La modifica dell’articolo 51, al di là del suo innegabile valore simbolico, può svolgere una funzione essenziale nello stimolare il legislatore a innovare, con le più diverse soluzioni, l’attuale sistema.
Su questo punto, in particolare, occorre fugare un equivoco che ha accompagnato tutto il dibattito sulla riforma in esame. L’
equivoco5 riguarda l’equiparazione tra il nuovo testo e la conseguente necessità della previsione legislativa delle "quote", vale a dire di un numero minimo di posti garantiti per le donne nelle liste elettorali. Eppure, recentemente, la Corte Costituzionale, nel ribadire l’"emergenza" della scarsa presenza femminile nelle istituzioni, ha riconosciuto la legittimità di una legge della Val d’Aosta, che prevede la presenza obbligatoria di almeno una donna nelle liste elettorali, in quanto – si legge nella sentenza – "non ne discende alcun trattamento diverso di un candidato rispetto all’altro in ragione del sesso" né alcuna prefigurazione del risultato del voto delle elettrici e degli elettori.
La Consulta, in pratica, ha ribadito, ancora una volta, una linea espressa anche nella famosa (e contestata) sentenza 422 del 1995: quella che bocciò le quote nelle leggi elettorali.
In parole semplici: è giusto operare per rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla presenza femminile nelle istituzioni; è sbagliato farlo mettendo in discussione princìpi cardine quali l’uguaglianza, la rappresentanza basta sulla regola "una testa/un voto", la non predeterminazione del risultato, principi che, con la previsione della presenza "di almeno una donna nelle liste", evidentemente non vengono violati.
L’intenso dibattito che ha accompagnato, fin dalla scorsa legislatura, la modifica dell’articolo 51, ha teso a chiarire – escludendo, per esempio, formule testuali come "equilibrio della rappresentanza" – che non s’intendeva costituzionalizzare ciò che costituzionalizzabile non è e non potrà, per fortuna, mai essere: la predeterminazione, con quote garantite, del risultato elettorale.
I princìpi richiamati più volte dalla Consulta, in altre parole, sono salvi, con l’attuale testo.
Ciononostante, il parallelo articolo 51/quote ha tenuto banco, quasi non vi fosse altro modo per sostenere e valorizzare la presenza femminile nelle istituzioni.
Infatti si dubita fortemente dell’efficacia e della giustezza delle quote, per (almeno) tre ragioni.
La prima, "oggettiva", riguarda l’irrinunciabilità del dettato democratico che pone in capo a chi vota il risultato del voto, e non alla legge, qualora stabilisca la presenza di un numero minimo di candidati di un certo sesso.
La seconda ragione, "soggettiva" attiene al rapporto tra donne e politica. Le donne desiderano fare politica nelle istituzioni. Sono poche? Sono molte?
La personale esperienza dice che questo desiderio esiste ed è (abbastanza) diffuso. Ma esso incontra ostacoli "interni" (scarsa capacità di fare squadra, tentazione o possibilità di dedicarsi esclusivamente a tematiche politiche tipiche del mondo femminile, paura del conflitto) e ostacoli "esterni", derivanti dallo straripante potere (e capacità di fare "blocco") maschile, nonché dalla totale assenza di regole trasparenti, la cui presenza sarebbe, invece, auspicabile nella selezione di persone e contenuti.
Tutto ciò non si risolve con le quote (strumento che, peraltro, non interviene
su nessuna di quelle cause), ma lavorando sulle condizioni perché quel desiderio abbia corso.
Per esempio, lottando (è il caso di dirlo), perché i partiti, le coalizioni si diano regole certe, atte a far si che i meriti vengano premiati e non sacrificati in nome di ragioni sempre più (alle e ai più) oscure.
La società dimostra che quando le regole sono chiare sono tante le donne che vincono: nei luoghi in cui si entra per concorso, le donne sono maggioranza, in quelli in cui prevale la cooptazione, sono gli uomini a farla da padroni. La competizione sui meriti premia quel sesso che qualcuno ancora si ostina a definire debole.
La terza ragione per non amare particolarmente le quote è politica. Le quote sono applicabili solo in un sistema proporzionale e sono, in assenza di primarie, appannaggio degli apparati (pardon, gruppi dirigenti) dei partiti. I quali apparati – manco a dirlo, maschili – difficilmente selezioneranno l’autonomia, la capacità di pensare con la propria testa e di creare un clima favorevole per altre donne.
Affiancandosi alla già avvenuta modifica dell’articolo 117 della Costituzione (che ha previsto la "
parità di accesso6" quale unico vincolo alle leggi regionali), nonché alla Legge Costituzionale n. 2 del 20017 sulla modifica degli statuti delle regioni a statuto speciale (che ha introdotto l’obbligo per le leggi regionali e provinciali di promuovere condizioni per la parità d’accesso alle consultazioni elettorali), la nuova formulazione dell’articolo 51 Cost. non risolve di per se il problema dell’assenza delle donne nei luoghi decisionali, ma rafforza e specifica l’impegno della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono l’effettiva partecipazione alla vita politica del Paese8.
II nuovo articolo 51- si è detto – è un inizio. È vero. Ma è anche, forse soprattutto, il riconoscimento dell’improponibilità, a fronte di società abitate (e dirette) da ambedue i sessi, di istituzioni monosessuate. Segue (e precede), com’è giusto, la politica.

Alberto Monari

"I Cristiani, più degli altri, devono essere in prima fila nella lotta;
essi conoscono la responsabilità passata del cristianesimo
nell’antifemminismo"
Jean Marie Aubert

1
A. S. 1213: "Modifica dell’articolo 51 della Costituzione".
Il testo della legge costituzionale é stato approvato dal Senato della Repubblica, in seconda votazione, con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, nella seduta del 20 febbraio 2003, mentre la Camera dei Deputati l’aveva fatto solo "a maggioranza assoluta dei componenti", in seconda lettura, nella seduta del 3 luglio 2002. Ai sensi dell’ormai famigliare art.138 della Costituzione, entro tre mesi dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del testo, avvenuta il 25/02/2003 (GURI n.46), un quinto dei membri di una Camera, o cinquecentomila elettori, o cinque consigli regionali possono chiedere che si proceda al referendum popolare di conferma.

2
Art. 51 Costituzione
Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge.
La legge può, per l’ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica.
Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro.

3
Di cui al primo comma dell’articolo 3 Cost.:
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

4
Atto della Camera n. 1583, di iniziativa Governativa, Ministro senza portafoglio per le Pari opportunità Stefania Prestigiacomo, Ministro senza portafoglio per le riforme istituzionali e devoluzione Umberto Bossi, Presentato in data 18 Settembre 2001; annunciato nella seduta n.33 del 19 Settembre 2001.

5
Cfr. l’articolo di Franca Chiaromonte "Donne, tre ragioni per dire no alle quote", ne "Il Riformista" del 25/02/2003.

6
Art.117, 7° comma: "Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive".

7
Disposizioni concernenti l’ elezione diretta dei Presidenti delle Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, Legge Costituzionale n. 2 del 31 Gennaio 2001, G.U. n. 26 del 1 Febbraio 2001.

8
Questo è il cosiddetto principio di "uguaglianza sostanziale", previsto dal secondo comma dell’articolo 3 Cost.

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