La città di Zurigo era avvolta da una coltre di smog opprimente, mentre una leggera pioggia acida sfrigolava sui tetti neri e oleosi. Il Centro Traumatologico Internazionale, composto da una serie di edifici collegati fra loro da strutture di ferro che fungevano da rampe di passaggio, era già completamente illuminato dalle lampade, nonostante fossero solo le due del pomeriggio. Fu a quell’ora che Alexander MacColgie si svegliò, al sesto piano dell’edificio.
In principio non ricordò nulla; dopo, pian piano, rivide il suo compagno che gridava di lanciarsi fuori dall’elicottero perché stavano precipitando. Al pensiero dell’impatto con la piattaforma petrolifera nel Mare del Nord, il cuore di Mac Colgie ebbe un sussulto e sul grafico accanto al letto si evidenziò un’oscillazione all’insù. Fu quest’impennata ad attirare l’infermiere che stava passando in quel momento nella corsia.
"Incredibile!" disse l’infermiere. E poi: "Dottore… dov’è il dottore?". Alexander sbattè le palpebre e con la coda dell’occhio vide avvicinarsi delle persone. Pensò che lo stessero tirando fuori dall’elicottero e sperò che facessero presto. Dopo si accorse di essere già in un letto.
"Incredibile!" sentì dire ancora. Questa volta era stata una voce dal timbro diverso a parlare. Forse era il dottore. "Di chi si tratta?".
"Dunque… letto 76… è un pilota di elicottero… anni 40, razza bianca…"
"Ebbene?" incalzò la seconda voce.
"Ha avuto un incidente 29 giorni fa, l’11 marzo 2065. E’ stato trasportato qui da Peterhead, in Scozia". Intanto Alexander cominciava a riprendersi lentamente. Dapprima mosse una mano, poi l’altra. Scosse leggermente la testa, ma si sentiva di pietra, tutto indolenzito. E aveva freddo.
"Come ti senti, amico?" gli chiese il dottore. Alexander aprì la porta per parlare, ma la sentì secca e non ne uscì il minimo suono.
"Bagnategli le labbra" ordinò il dottore. "Allora, mi senti?" chiese ancora.
"Sì" rispose Alexander a fatica, e inghiottì a vuoto.
"Puoi parlare?" continuò il dottore. "Dimmi come ti senti".
"Bene… cosa è successo?" rispose Alexander.
"Sei fortunato, amico! Pensa che fra qualche ora avremmo staccato tutto".
"Tutto cosa?" chiese Alexander.
"Già, tu non puoi sapere… Hai avuto un incidente e sei entrato in coma. E una nuova normativa ospedaliera ci impone di disinserire i cavi dei rilevatori cardiaci dopo 30 giorni dall’inizio del coma e procedere alla soppressione d’ufficio. E oggi è il ventinovesimo giorno. Se non è fortuna questa!".
Alexander sollevò di poco la testa e diede uno sguardo alla sua sinistra, alle spalle del dottore. C’erano altri letti con corpi immobili e facce inespressive. Lasciò ricadere la testa sul cuscino e chiuse gli occhi, cercando di riordinare meglio i suoi ricordi. Nel frattempo, delle mani cominciarono a tastarlo dappertutto, mentre una voce stilava un rapporto sulle sue condizioni.
"Sembra tutto a posto davvero" sentì dire, e questo lo confortò. "A parte i problemi di reinserimento" aggiunse però il dottore, "che non si possono ancora verificare". Alexander non sapeva cosa diavolo volesse dire, ma l’espressione usata dal dottore non gli piacque per niente. Provò solo il desiderio di ritornare a casa, ad Aberdeen.
Il giorno dopo Alexander aveva riacquistato un po’ del suo colorito, quello proprio di chi fa vita all’aperto, anche se la degenza lo aveva reso più pallido. Quando si presentò davanti al dottore, sembrava in forma: alto, snello, e con due penetranti occhi azzurri. Chiese di essere dimesso dall’ospedale. Il dottore si accigliò e gli fece presente che sarebbe stato meglio per lui rimanere in osservazione, poiché poteva andare soggetto alla sindrome di Po-chu, un disturbo provocato dall’interruzione del flusso informativo continuo e accelerato. Alexander non capiva di cosa il dottore stesse parlando e questi gli spiegò che si erano verificati casi di pazzia in pazienti rimasti per lunghi periodi all’oscuro delle notizie che ogni secondo giungevano al cervello da ogni parte del mondo.
"Il flusso informativo" spiegò il dottore, "è così veloce e copioso, anche se noi non ce ne rendiamo conto, e solo se viene assorbito in continuazione può dare al cervello la capacità di sviluppare cellule associative e consentire il riaggiustamento continuo dell’equilibrio psicofisico. Se però tale capacità resta bloccata per cause accidentali, si corre il rischio di non riuscire più a ricostruire il presente a causa dei punti di connessione mancanti".
Alexander non afferrò molto bene tutta la spiegazione, ma disse che non gli sembrava una cosa tanto pericolosa. Perciò, dopo aver ringraziato il dottore, si congedò da lui. Voleva anche stringergli la mano, ma il medico si era già allontanato. "Prima però passi dalla nostra psicologa, la dottoressa Kandira, al secondo piano. La potrà aiutare". Il suggerimento gli venne dato dall’infermiere, che gli consegnò anche degli abiti forniti dall’Amministrazione.
Alexander si avviò lungo il corridoio ed entro nell’ascensore, deciso a uscire dall’edificio. Mentre stava premendo il tasto, però, seguì un impulso e appoggiò l’indice sul 2.
"La dottoressa Kandira?" chiese Alexander entrando nell’ufficio al secondo piano.
"Si accomodi, signor MacColgie. Ho saputo di lei. L’aspettavo". Alexander tese una mano per salutarla, ma la dottoressa restò immobile.
"Signor MacColgie, le strette di mano sono state abolite in tutto il Centro Europa. Gli enzimi contenuti nel sudore sono anch’essi responsabili della trasmissione del virus HIH accelerato. Non lo sapeva? Eppure l’ordinanza risale al… 10 marzo 2065, se non ricordo male".
"No, non ne ero a conoscenza… Se ne parlava due mesi fa, ma…"
La dottoressa Kandira assume l’aspetto freddo ed efficiente dello scienziato amministrativo. Dice: "Lei ha famiglia, signor MacColgie?".
"Vivo ad Aberdeen con mia madre".
"Mi dispiace, ma temo che non potrà raggiungerla".
"Cosa?".
"Tutta la Gran Bretagna è isolata, signor MacColgie. L’epidemia di HIH ha mietuto centinaia di migliaia di vittime. Tutti i voli sono stati annullati e persino i tunnel sotto la Manica sono stati bloccati. Dove andrà ora?".
Alexander cominciò a sudare. Balbettò una risposta: "Mah… telefonerò alla società per cui lavoro. Chiederò di essere reintegrato in servizio".
"Qual è il nome della sua società?" chiese la dottoressa. Alexander glielo disse e lei cominciò a digitare sul computer.
"La sua società, ciò che ne rimane dopo la ristrutturazione, si è trasferita in Groenlandia, nell’isola di Norske. Potrà volare fino a Reykjavik e là imbarcarsi. Eccole i dati che le occorrono. Ma prima si faccia spedire un’autorizzazione e una tessera di accredito". Alexander rimase in silenzio.
"Groenlandia" disse dopo un po’. "Ma la mia società aveva delle sedi anche a Riyad e a Genova… anzi, ho degli amici a Genova e…"
"Mi dispiace, signor MacColgie. Devo informarla che l’Italia è stata espulsa dalla Comunità Europea e non potrà raggiungerla in nessun modo. Deve sapere che molti giorni fa è stato scoperto un complotto ordito dalla Mafia e dalla Chiesa per conquistare il potere a Bruxelles. Si è deciso che l’unico modo per evitare la contaminazione della comunità civile del Centro Europa era quello di isolare i paesi meridionali".
Alexander si sentiva sempre più a disagio sulla poltroncina di finta pelle. "Ma… e gli scambi commerciali… le ricerche petrolifere?". Non sapeva cos’altro dire.
Implacabile, la dottoressa Kandira continuò: "Dopo il grande disastro ecologico si è deciso di provvedere al fabbisogno energetico con la costruzione di 170 nuove centrali nucleari in Polonia. Uno degli ultimi referendum televisivi…"
"Quale disastro?" la interruppe Alexander.
"Ah, già… lei non può saperlo… Il disastro ecologico degli inizi di aprile. In seguito a un terremoto, il mare del Golfo Persico si è aperto una via fino alle sacche estrattive nel deserto iracheno, provocando dei maremoti che hanno sommerso Bagdad. L’Iran, approfittando della distruzione dell’Iraq, ha invaso l’Arabia Saudita e il petrolio viene ora ceduto alla Repubblica Centrafricana, che a sua volta ha dichiarato una sorta di guerra economica agli Stati Uniti…"
"Basta, la prego!".
"Mi scusi".
"Ma non è possibile!". Alexander aveva gli occhi sbarrati.
"Cosa non è possibile, signor MacColgie?" incalzò la dottoressa.
"Che la situazione sia precipitata così".
La donna accoglie la risposta con tranquilla passività. Poi dice: "A lei sembra che sia precipitata, ma è passato un mese da quando lei è entrato in coma, non lo dimentichi".
"Ma un mese è solo un mese!" cercò di sostenere Alexander.
"Perché, lei forse può riferirmi di un solo giorno, negli ultimi venti anni, in cui non sia accaduto qualcosa di grave sul nostro pianeta?".
"E già!" convenne Alexander.
"Mi ascolti, signor MacColgie" continuò la dottoressa; "la Groenlandia è un buon posto… ci vada".
"Sì, farò così".
"Bene, è tutto".
Alexander fece per alzarsi. Poi si fermò e chiese: "Ma ci sarà pure qualche notizia buona?".
"Sì" rispose lei. "Il 5 aprile l’astronave Europa è atterrata col suo equipaggio sul decimo pianeta di P-Centauri. Questo traguardo è un segnale del nostro primato in campo tecnologico". L’uomo cercò disperatamente di cogliere sul volto della dottoressa Kandira un segno che stesse scherzando, ma l’espressione di lei gli fece capire che era maledettamente seria.
La salutò senza stringerle la mano e si avviò verso l’ascensore. Dopo aver mostrato il lasciapassare, guadagnò l’uscita e si trovò nella strada semibuia e semideserta. Alzò la faccia al cielo plumbeo e alcune gocce di pioggia oleosa dal sapore salato gli bagnarono le labbra. Indossò allora la mascherina protettiva per gli occhi, con annesso il filtro antiesalazioni e, dopo essersi alzato il bavero della giacca fornitaglia dall’Amministrazione, prese a camminare.
Una brezza leggera, levatasi dalla periferia, soffiava verso il lago. Alexander si lasciò andare nella direzione della brezza, con passo sempre più spedito. In fondo, si disse, avrebbe trovato la maniera per andare avanti. Era un esponente di una specie adattabile a tutto, perché non al flusso continuo e accelerato del progresso?
Sei fortunato, amico!
Giuseppe Cerone