Tra Filine e Rejtiel succede qualcosa di brutto.
Allora: l’amore e’ una bella cosa. Dicono che tanto piu’ e’ bello quanto piu’ ti fa perdere il controllo. Molti uomini non la pensano cosi’, ma pare che funzioni: ovverosia, che quando non sai davvero cosa aspettarti ne’ dall’altro ne’ da te stesso, allora ottieni il massimo delle emozioni possibili. Va bene. Ma ci vorrebbe un salvagente. Qualcosa che ti protegga dell’altro e da te stesso. Perche’ quando succede questo, cioe’ che perdi il controllo, allora puo’ succedere davvero qualunque cosa e questo non e’ necessariamente bello. Ad esempio puo’ succedere che ti fidi. Puo’ succedere che ti riveli. Puo’ succedere che l’amante sappia tutto di te e tu di lui, e alla fine puo’ succedere che l’amante si ricordi di non essere solo un amante, e di non poter ignorare cio’ che ora sa.
L’amore di Filine duro’ quanto basta a creare un grosso guaio. Povera Filine, come incolparla? Sola, sempre sola, piu’ che mai sola in mezzo alla gente. Costretta nonostante questo a brillare perche’ questo e’ quello che si aspettavano da lei. Costretta a fingere piacere con un pugnale sempre a portata di mano. E poi improvvisamente un uomo, un uomo speciale, un amore. Da non credere. Come nelle fiabe. Un cliente che la faceva innamorare e che la faceva sentire non piu’ sola. E allora si abbandona, con la piacevolissima sensazione di poter allentare un po’ la tensione, di potersi riposare, di non dover essere piu’ un guerriero di strada. Non pensi piu’ a niente, parli con lui, ti confidi.
L’amore di Rejtiel duro’ quanto basta a creare un grosso guaio. Povero Rejtiel, come incolparlo? Solo, sempre solo, in questa meta’ del continente che non gli appartiene. Costretto dagli ordini di Cimaron di partire per un luogo lontano, di entrarci, di viverci, di raccogliere informazioni. Di infiltrarsi e creare una rete di contatti. Di cominciare a seminare il terreno con molta cautela, con molta prudenza, ma sapendo (Cimaron e’ stato piu’ che lungimirante, e’ stato quasi preveggente) che non si aspettano nulla del genere, che credono di essere ancora al sicuro, ed ecco perche’ si deve agire subito.
E poi incontri una donna straordinaria. Che ti scopa senza chiederti niente, che ti da compagnia senza chiederti niente. E poi ti parla, senza sospetto, senza timore. Lei e’ di queste parti, ma senti che in qualche modo e’ straniera come te. Lei ha un uomo, ma ti si dona senza esitazioni, corpo e anima, non lo fa per tradire ma perche’ i sentimenti come questi non vanno trattenuti, vanno solo assecondati, o ci si perdera’ il meglio della vita. E allora intanto che continui il tuo lavoro, ti concedi di essere felice con lei. La ascolti, le parli. Menti ancora quando ti chiede della situazione a Nord, non per sospetto, non per lavoro, ma perche’ ormai hai troppa paura di perderla e vuoi rimandare il piu’ possibile. Non c’e’ bisogno che lo sappia mai. Prima o poi tu te ne andrai da questa terra e non ci sara’ bisogno di saluti, di addii, di rivelazioni. Non c’e’ bisogno che lo sappia mai. Perche’ in un mondo dove troppi si odiano, un amore cosi’ va tenuto a galla, con rispetto, con adorazione, e mai distrutto.
Le menti e le dici che c’e’ un pazzo ambizioso che vuole diventare padrone del mondo. Lei mente e si finge spaventata. Le menti e le dici che non c’e’ nulla da temere, e’ una bolla che si sgonfiera’ presto. Lei mente e ti chiede se ne sei sicuro. Le menti e le dici che non c’e’ nulla da temere, solo che adesso come adesso quello il Nord non e’ un bel posto dove vivere.
E cosi’ l’amore veniva salvaguardato, imbottito in una montagna di menzogne. Sembrava cosi’ strano, che fossero una raffica di bugie a tenere in piedi il castello. E sembro’ cosi’ strano, poi, che fu una sola nota sincera a farlo crollare. Filine cedette. Odiava mentire a un uomo che amava. Voleva rassicurare un uomo che amava. Voleva dire a un uomo che amava che un giorno sarebbe potuto tornare al suo paese. E allora non menti’ e gli disse che in realta’ qualcuno qui sapeva gia’ quello che stava succedendo. Gli disse che si era deciso di eliminare il pazzo. Gli disse che qualcuno era gia’ partito. Solo, non disse che quel qualcuno era il suo uomo. Non ce n’era bisogno, e la imbarazzava un po’.
E Rejtiel, che era un buon attore, disse solo – Ne sei certa? -, poi si mostro’ rassicurato, poi giuro’ che non l’avrebbe detto a nessuno. Non fece trapelare l’improvvisa eccitazione. Rimase con lei ancora tutto il tempo necessario perche’ la loro separazione non sembrasse brusca. La saluto’ con tenerezza e con dispiacere, dicendo che per un paio di giorni non si sarebbero visti. Lo disse con molta tristezza. Filine ne fu ancora una volta emozionata.
Filine fu felice di provare nostalgia, di provare la dolce sofferenza della lontananza dell’amato. Per due giorni. Tre. Quattro. Al quinto comincio’ a preoccuparsi, ma lo tenne per se’. Al sesto la voglia di vederlo era tale che si arrischio’ a chiedere notizie di quell’uomo del nord. Chiese con noncuranza notizie all’oste, che con noncuranza rispose: – E’ partito. Qualche giorno fa. Ha detto solo che tornava a casa. E, a proposito … – disse cercando qualcosa in un cassetto – … mi ha detto di darti questa se fossi venuta a chiedere notizie.
Una lettera.
Filine penso’: non si lascia una lettera a una persona che si rivedra’ tra pochi giorni. Capi’ che Rejtiel se n’era andato e la delusione gli congelo’ il volto in una maschera senza espressione. Meccanicamente, tristemente, apri’ la lettera e la lesse sperando di trovare qualcosa di consolante, cercando di indovinare quale guaio, quale preoccupazione improvvisa l’avesse allontanato tutto a un tratto. Cerco di prepararsi al peggio con serenita’. Ma a quel che lesse, non poteva essere preparata.
Adorata Filine, sono brutte cose quelle che sto per dirti. Ne soffrirai. Avevo intenzione di non dirti nulla, lasciare che il nostro amore finisse cosi’ sospeso. Ma ci ho pensato e la miglior cosa che posso offrirti e’ la mia sincerita’. Ne soffrirai, ma saprai che non ti ho ingannato.
E’ tutto vero. Quello che ho provato e provo per te. E’ tutto vero e non c’entra nulla con il resto, o almeno non c’entrava nulla fino alle ultime cose che mi hai detto.
Sono un membro dell’esercito del Regno del Nord, inviato in missione per conto di Cimaron Di Leent. Non ti diro’ i dettagli della mia missione, ma avevo dei compiti da svolgere. Dovevo rimanere qui per un po’. Tu non hai idea della pesantezza di questa missione, e di quale felicita’ mi hai dato. Ti ho sentito straniera come me, e cosi’ come non mi considero il responsabile per quello che sta succedendo, cosi’ non ti ho considerato la mia vittima. Forse egoisticamente, ho separato te dalla citta’ in cui mi sono infiltrato. Loro erano i miei nemici, tu eri la mia unica amica, il mio amore.
Vorrei che tu non mi avessi mai detto quello che mi hai detto. Perche’ ho sofferto e ho provato a pensare a qualsiasi possibile soluzione, ma la mia lealtà è forte di me. Io rispetto chi mi comanda, se chi mi comanda si dimostra un capo degno. Cimaron e’ un capo degno. E’ un po’ pazzo, ma e’ un capo degno. Forte e onesto, anche se violento e senza scrupoli. Non ha intenzione di ingannare nessuno: vuole solo far valere il suo potere, apertamente, discutendo se possibile o in battaglia se necessario. E sentendo che c’e’ una missione per eliminarlo, una missione segreta per eliminarlo, mi sono detto "Non posso permettere che accada".
Ti dico tutto questo, invece di andarmene e basta, per dimostrarti quanto sei importante per me. E quanto soffro per quello che ci separa. Vorrei che tu non mi avessi detto niente, anche se ho capito che l’hai detto perche’ ti fidavi di me e credendo di sollevarmi. E questo mi brucia doppiamente. Perche’ ne devo approfittare come soldato, non come amante.
Ti giuro che se ti ho mentito e non ti ho detto chi ero, era solo per tenere fuori il nostro amore da tutto questo. Non ti chiedero’ perdono, non intendo chiedere perdono per la mia lealta’ al mio paese. Ti dico invece che mi dispiace, che soffro, che impreco contro la vita che ci ha fatto questo orribile scherzo. Che vorrei tu non mi avessi detto niente. Spero che tu possa resistere, fuggire, avere una vita felice. Stanno arrivando tempi bui e non se riuscirai. Ma te lo auguro con tutto il cuore.
Non so dirti altro, tranne che ti amo. Mi dispiace.
No, non era possibile prepararsi a qualcosa del genere. La delusione fu quasi schiantante. Si senti’ barcollare. Poi subentro’ la rabbia, con se stessa, la rabbia contro Rejtiel, la rabbia contro il mondo. Era una rabbia feroce, impossibile da controllare o analizzare. Era una rabbia affamata di vendetta, era una rabbia affamata di espiazione. Partire non fu una decisione lucida, fu l’unico sfogo nel quale la sua rabbia riusciva a esprimerti. Si preparo’ rapidamente, chiese altre informazioni, poi sali’ a cavallo e parti’ verso Nord, sulle tracce di Rejtiel.
Lo amava ancora nonostante la rabbia che provava. Se lui non aveva esitato a tradirla per la propria lealta’ al suo paese, Filine non avrebbe esitato a ucciderlo per la fedelta’ al suo uomo.
Storia di un ragazzino elementale – II
La seconda ricerca fu lunga e sospettosa, dovevo dimenticare i miei spasmi e le mie voglie soddisfatte subito, dovevo imparare ad insinuarmi morbido lungo ciò che la strada mi proponeva, così silenzioso imparai a camminare tanto e tanto e tanto che le mie gambe furono più forti e più robuste. Dopo aver camminato per ore tornavo vicino alla mia tana, un piccolo rifugio di legno situato in cima a un sentierino che s’inerpicava solitario in mezzo agli alberi. Tornavo e prendevo a calci gli alberi fino a farmi sanguinare i piedi, ma quasi non sentivo dolore. Fumavo dell’erba che mi cresceva spontaneamente accanto per lenire anche quel poco di male e per non pensare alla stanchezza, e mi svegliavo con la stessa voglia di rifare tutto, giorno dopo giorno, pescatore corridore e guerriero, rimasi da solo così per un anno. C’erano sempre con me le mie pagine piene di disegni e di parole magiche ed erano il mio ristoro serale, quando mi abbandonavo ancora al caldo ed affettuoso fuoco in fondo all’anima. Procedevo dritto e deciso verso un obiettivo non troppo lontano, ma questa volta dovevo affrontare altri esseri umani e altre difficoltà.
Mi sedevo al limite del sentierino, dove si incrociava con un sentiero più grande che quasi poteva essere definito strada, per quanto abbandonato e immerso in un folto bosco. Ospitai alla mia capanna alcuni viandanti, facevo da mangiare, li ascoltavo parlare per sapere tutto ciò che c’era da sapere, per capire dove andare e andarci con la nozione di ciò che avrei fatto. Sentii parlare di Meralba e di Anumix, sentii la leggenda di Kim e Janine, sentii parlare delle armi prodigiose e degli artisti inarrivabili. Sentii parlare delle donne meravigliose. Cominciai a capire quanto della strega c’era in ognuna di loro. Volevo approfondire l’argomento.
Così cominciai ad allontanarmi dalla mia solitudine, così cominciai talvolta a raggiungere i paesi vicini e a guardare le donne che giravano lì, mi mettevo seminascosto al limite delle strade e cominciavo a capire, poi mi avvicinavo. La maggior parte di loro erano esseri senza senso, capaci solo di stare zitte o di gridare, senza via di mezzo. La maggior parte di loro mi guardava con l’idea che io fossi un demonio o un santo, ancora una volta, niente vie di mezzo. Le più giovani, però tenevano testa, o perlomeno sembrava che la curiosità in loro schiacciasse la paura.
Ne incontrai alcune da sole. Le attiravo con sorrisi e le portavo alla mia capanna. Ero impacciato ma loro sembravano non farci caso, alcune stufe prendevano l’iniziativa, altre ridevano e mi davano consigli, altre aspettavano pazienti che io trovassi l’illuminazione sulla miglior cosa da fare. Ma poi nessuna di loro rideva più o parlava più. Mi guardavano sorprese e con gli occhi pieni di domande. Le più intelligenti le tenevano dentro agli occhi, quelle domande. Le più idiote le lasciavano uscire e poi più tardi piangevano in silenzio. Ed io invece mi divertivo, io capivo tutto, io sentivo ciò che loro sentivano, io continuavo a crescere e gioivo di questa mia ricerca densa e senza fine. Io amavo come un folle che diventa saggio giorno dopo giorno.
Poi arrivò Anna, fu lei a trovarmi mentre io mi aggiravo ancora discreto e attento come ogni buon cacciatore nella festa del villaggio, un matrimonio, non so, diverse coppie, musica, vini buoni, alcuni discorsi dalle voci grosse degli anziani. Tutto mi pareva così splendido che rimasi incantato a ricevere tutto, ad assorbire tutto, finchè lei (la mia seconda strega preferita) girando i suoi occhi pieni di noia alla ricerca di qualcosa di interessante, incontrò i miei. Io ci misi un attimo a rendermi conto di essere osservato, e questo non faceva molto onore alla mia carriera di cacciatore. Ma bastò un secondo perchè lei leggesse l’universo che avevo dentro gli occhi e sulla mia pelle liscia, e decidesse di avvicinarmi. Lo fece con una disinvoltura impressionante, come una persona che lo fa di mestiere. Era lì davanti a me, io la guardavo e parlavo poco mentre lei si proponeva pericolosa, mi sorrideva, parlava di cose lontane, mi infilava con domande strane. Io ero lontano, questo lei lo capiva. Mi vedeva rimanere lontano nonostante la sua aggressione e questo la spinse ad avvicinarsi ancora. E cadette nella mia ragnatela.
Volevo portarla alla mia capanna ma non feci a tempo. Lei mi baciò in mezzo alla foresta e io sentii crescere qualcosa di nuovo, un desiderio che non aveva più niente a che fare con la semplice curiosità, niente di paragonabile alla sensazione semplice di scoperta che mi accompagnava insieme alle altre donne. Io la spinsi a terra, la spogliai e mi lasciai spogliare. Era una notte calda di Giugno densa di rumori, era una notte magica che presto si aprì in una dolcissima pioggia. Pioveva fresco sulla nostra pelle nuda, ero percorso da brividi.
Fu davvero una notevole prova per me. Questo nuovo tipo di desiderio era invaso di violenza, era pieno di contrasti, mi spingeva quasi a farle del male. Ero costretto a trattenermi, lei era bella, non come la strega ma comunque molto bella e questa sua bellezza m’infiammava, richiamava il fuoco dei miei occhi, la vedevo fin troppo bene esporsi ai miei colpi, soffrii per trattenere le mie mani, la mia voglia di farle del male. L’amai, anzi mi lasciai amare con il mio quieto atteggiamento, cercai di farla sentire circondata, cercai di farla rimbalzare dentro me per un po’, cercai di essere quanto mai fluido e resistente. Lei si abbandonò dentro me con una facilità incredibile, quasi fossi nato per lei, si fece trasportare con fiducia infinita. Fu difficile ma ne valse la pena. In quella notte la distrussi a poco a poco con la mia insistenza, con la mia lucidità, con il mio calore. La sua arroganza svanì nel buio. I suoi dolori nascosti scivolarono via ma scivolando le strisciavano sulla pelle facendole male. Era esausta quando giunse l’alba, era completamente assente. La portai nella mia capanna. Dormimmo e parlammo senza nemmeno sfiorarci per ore.
Fu lei a tornare su di me la sera successiva, fu lei a baciarmi ovunque, fu lei a cercare di circondarmi. Di nuovo, la lasciai fare partecipando con morbidezza, ma questa ragazza mi esplodeva dentro, non riuscivo a trattenermi, la presi sempre più male, sempre più forte, finchè i mugugni divennero lamenti, finchè i lamenti divvenero urla e io non mi fermavo, io esplodevo, io lasciavo che l’antico fuoco riesplodesse dentro me. Io avevo fallito. Immobile, stordito, passai ore a guardare il vuoto mentre Anna piangeva sommessamente.
Lei sembrava un fantasma, niente di più. Era infreddolita e stanca e il giorno dopo non parlò nemmeno, sembrava alla ricerca di qualcosa di se stessa perduto nella notte sotto il mio violento attacco. Capii qual era stato il mio errore: avevo visto in lei la strega. Capii che da lì proveniva tutta la mia cattiveria. Pensai al tempo stesso che sì, avrei ridotto in briciole la strega, avrei fatto molto peggio, quando fosse venuto al momento; ma questa ragazza forse non meritava tutto questo.
Va bene, adesso, viene la parte più dura, mi dissi. Questa ragazza è stata randellata. Come potrà fidarsi nuovamente di te se non passerà molto tempo accomodandosi in te come se tu fossi un cuscino?
Lo feci. Diventai morbido per lei. Andai a trovarla, le parlai, le portai regali. Ci volle tempo e pazienza, all’inizio tornavo spesso alla mia capanna teso e sul punto di scoppiare, e per sfogarmi prendevo di nuovo a calci gli alberi, con rabbia, con dolore. In quel periodo, mi salvò il velo sugli occhi che Anna sembrava avere nei miei confronti, non riuscì ad intuire la verità. Ma poi riuscii a cambiare. Ad adattarmi. Ad essere sereno. Ero quieto, senza essermi addormentato: avevo addomesticato la mia potenza.
Anna era felice, completamente. Sorrideva sempre. Sentiva il mio mondo ai suoi piedi. L’avrei portata con me, mi aveva dato tanto: ma continuava ad avere quel velo davanti agli occhi. Si era fermata lì ad aspettarmi e io l’avevo raggiunta e superata; con dispiacere, capii che non meritava il seguito. Non era una buona allieva. D’altro canto, come farla sopravvivere al dolore della mia partenza?
Un anno dopo l’attirai alla mia capanna per sposarla, e invece le piantai un coltello nella schiena, la uccisi senza farle guardare i miei occhi che bruciavano troppo.
Bene, avevo imparato ad aspettare e ad adattarmi, ero fluido, potente, inarrestabile come un corso d’acqua. Lasciavo che il mondo entrasse in me, lo avvolgevo senza fretta e poi riprendevo il mio corso. Il secondo elemento era stato assorbito. La mia potenza cresceva. Seppellii Anna e ripresi la mia ricerca.
Alessandro Zanardi (CONTINUA)
Terra Rossa – Parte terza