KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

Esperienze di scrittura 1: Laboratorio

5 min read

Esperienze di scrittura 1:
Laboratorio
(ovvero, Scrivere Insieme)


Ed ecco che, in questa sera gelata di primo autunno, cammino in fretta e mi chiedo quando arriverò. Passo bar, negozi che chiudono; sono circa le 20 e mi sono tuffata in un caos di strade e lampeggianti.
Arrivo a scuola, salgo le scale fino alla porticina del Centro Territoriale per l’Educazione in Età Adulta, entro e mi siedo. Aspetto qualche istante, attendo qualche parola che si allunghi fino a dove mi sono appoggiata.
Sono qui per capire com’è che si diffonde l’amore per la scrittura.
Com’è che a quest’ora, di martedì, un manipolo di coraggiosi decida di recarsi in una Scuola Media Statale – dal gusto un po’ retrò – per scrivere.
Mi confondo tra le persone, provando a rimanere in bilico tra dentro e fuori. Impossibile!
Visi distesi e curiosi mi vengono incontro, riuscendo a farmi sentire, in un certo modo, come tra amici.
"Siamo tutti qui per provare!" Mi dice qualcuno. Ed è vero.
Avverto come una sorta di tensione, elettricità, quasi che quello che si vuole raccontare sia lì a chiedere di uscire da tutte quelle persone.
Il Conduttore mi spiega che si tratta di un tipo di lavoro introspettivo. In principio verrà posto un tema che ciascuno potrà sviluppare nella forma e nel modo che ritiene opportuno: poesia, prosa, filastrocca, anagramma… e poi, si procede alla lettura.
L’importante è scrivere. "L’importante è che il segno che lasci sul foglio ti aiuti a capire che quello che hai dentro ha un peso, che può essere visibile, non solo a te ma anche agli altri".
Ed effettivamente è a questo punto che il gruppo entrerà in gioco. A turno si procederà alla lettura di ciò che si è prodotto per creare una discussione, o meglio, una conversazione, in cui la vita di ognuno viene offerta allo sguardo dell’altro.
Insomma, si condivide!
Mi è tutto più chiaro. Ci sono persone diverse, ragazzi, anziani, e quello che li unisce è proprio la voglia di raccontarsi, o semplicemente, di raccontare.
"I temi sono differenti", prosegue il Conduttore del Laboratorio, "dai più personali a quelli spensierati. Naturalmente, la lettura ad alta voce non è un passaggio obbligato, ma gettare le parole nell’aria, lanciarle a chi ti sta vicino, può essere davvero liberatorio e contribuire a chiarire a noi stessi come ci si sente rispetto ad un determinato momento della vita"
La voce che si fa sentire, che si alza dalla pancia, quindi, produce un effetto di duplice significato. Non solo far udire agli altri, ma far ascoltare anche a se stessi quei particolari che nel frastuono si preferisce non percepire nemmeno.
Capisco che in gioco c’è molto di più di quello che immaginavo. Qui, ci sono le storie che ciascuno si porta sulle spalle e che prova a dipanare sul foglio. Che cerca di srotolare per vederle distintamente.
In questo senso, il Laboratorio, per molti, è una specie di rito. Un modo di dedicarsi, con quell’incedere lento e minuto di penna su carta, a quello che si è. E’ come ritagliarsi uno spazio in cui potersi fermare e riflettere. Lontano da quelle macchine, da quei lampeggianti. In un luogo che ogni volta è uno diverso, quello dell’infanzia, dell’adolescenza, della vita futura.
Mi sembra, allora, che la vecchia scuola assuma le veci di un non-luogo. Essa non è più pareti e finestre sbucciate, ma diviene, di volta in volta, il posto della vita di ognuno, in cui ci si vede in tutto quello che si è fatto e si farà.
Senza tanti complimenti, si comincia a scrivere.
Il tema della serata è inevitabilmente personale, intimo, e penso che è difficile non mettere di sé.
Alzo la testa e vedo mani e carta, impegnati a ricevere, a dare.
Vedo ri-scritture, ripensamenti, ma vedo anche lacrime e sorrisi.
Vedo persone che pensano la loro vita e che tentano di appianarla, in nero su bianco, per renderla comprensibile.
Poi, si legge. A tutti.
Si regalano storie!
Qualcosa comincia a volare nell’aria, stringo gli occhi e mi domando di che cosa diavolo si tratti.
E comprendo.
Sono parole che ruzzolano le vite di tutti noi dentro la stanza.
Si intrecciano in rocambolesche vicissitudini.
Accade che i miei ventiquattro anni si confondano con i sessantacinque della mia vicina.
Che le storie si moltiplichino negli echi che ognuna rivela.
C’è poco da fare, le parole ti tirano dentro. Perché raccontano, è vero, quello che ciascuno ha vissuto, ma lo mettono anche in contatto con la vita degli altri. Lo rendono visibile, udibile.
"Esperienze di scrittura", così si chiama questo pezzo, ma una cosa devo rivelare al lettore attento, e cioè che in realtà il titolo non è corretto. Infatti, i numerosi laboratori di scrittura che si stanno moltiplicando in molte realtà italiane stanno divenendo qualcosa di più.
Qualcosa di più di un semplice mettersi alla prova per tentare di scrivere.
In molti casi, data l’eterogeneità dei soggetti coinvolti, si tratta di un vero e proprio scambio culturale e generazionale che le parole veicolano e contribuiscono a rendere più vivo.
Raccontare e, soprattutto raccontarsi agli altri, assume la forza del confronto.
Chi si impegna in queste iniziative desidera fortemente mostrare quello che diviene e ciò in cui si trasforma nel contatto con le altre voci. Perché la cosa che nessuno dice è che le nostre parole spesso possono riuscire a disvelare demoni e paure solo quando si guardano nello specchio del volto di chi ti sta vicino.
Così, può capitare che, in una sera fredda, un laboratorio di scrittura possa significare che tutti hanno inevitabilmente qualcosa da dire, da scrivere.
Una ragazza mi confida che "è sempre emozionante stare insieme".
Ed è, infatti, importante rilevare, in dirittura d’arrivo, come l’atteggiamento semplicemente dell’esser-ci, l’essere lì a partecipare, scevri da ogni tipo di pregiudizio, sia fattore fondante.
Laboratori di questo tipo, cioè privi di un pedante didatticismo e della volontà di voler insegnare letteratura, sono iniziative che puntano a tirare fuori le parole dalle persone.
A tirare fuori quello che possiedono nei modi e nelle forme più disparate.
Perché, mi sia consentita l’opinione personale, in questi tempi c’è davvero bisogno di sfuggire all’occhio del Grande Fratello Orwelliano, per capire che quello che di più intimo si possiede è una risorsa infinita, che non va dimenticata a se stessi.

Elisa Rocchi

Commenta

Nel caso ti siano sfuggiti