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La volontà di visione: il porno

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La volontà di visione: il porno.

Il desiderio evocato dalla visione pornografica non perverrà mai al suo appagamento. Questo perché siamo noi spettatori a produrlo incessantemente attraverso la nostra volontà di visione (vedere di più là ove ciò che si vede è già tutto quello si può vedere). Infatti " Se il cinema è per eccellenza l’arte di vedere, la pornografia è il più cinematografico di tutti i generi cinematografici, quello stesso che racchiude in sé quella passione divorante dell’occhio, quello che si propone alla fine di mostrare tutto, di vedere tutto, col rischio di mostrare anche quello in cui non c’è niente da vedere" (M.F.Mirella, La legge del desiderio, ed. Falsopiano 1998). La nostra scopofilia ci consegna alla schiavitù del desiderio infinito (siamo noi con il nostro desiderio a porre in essere i corpi, a portarli alla luce della ns. visione che li nomina, soggiogandoli così ad uno sforzo di visione che si vorrebbe ultimo e definitivo). Il desiderio del desiderio; il desiderare di desiderare; l’abiogenesi del desiderio. Ma la troppa visione porta al buio allucinatorio, infero della coscienza disperante del desiderio inappagabile, inevitabilmente sempre d’appagarsi (ogni eiaculazione trova la propria ragione d’essere nell’eiaculazione che verrà e nell’oblio della eiaculazione che l’ha preceduta……e come diceva Pavese, in realtà non si desidera di godere ma di sperimentare la vanità del godimento per non esserne più ossessionati)……. la sovra-esposizione allo sguardo desiderante (da parte dello spettatore) in atto nel porno frustra continuamente la volontà di visione del voyeur……..il suo sguardo insaziabile (imprigionato nella circolarità illusoria del desiderio autogenerantesi posta in essere dalla visione pornografica) ricade su se stesso per il proprio voler vedere ancora e di più , letteralmente sfiancato da questa bramosia di visione, così come un eccesso di luce può condurre alla tenebra più accecante. Provate a guardare una scena pornografica al rallentatore: la visione pornografica ne esce de-sacralizzata e de-potenziata; disinnescandone una delle sue armi migliori (l’ipercinetismo del fottere), se ne disvela un’insospettabile carattere necrologico (e necrofilo………..la scena dell’orgia nel film di Kubrick)…………che poi è un po’ come dire che l’eccitamento cresce esponenzialmente alla velocità con cui si consuma l’atto sessuale (e viceversa), in un crescendo parossistico in cui lo spettatore s’immedesima con l’attore, il cui ritmo prestazionale viene a guidare l’intensità dell’eccitamento per poi portarlo al suo massimo grado e lasciarlo cadere inevitabilmente insoddisfatto (infatti: " Bruciare quindi le distanze tra lo sguardo e l’immagine: è questa l’utopia del porno che aspira a far diventare transitivo un piacere che per sua natura è vicario……il porno continua ad esistere e a prosperare, economicamente e quantitativamente, perché disattende costantemente la promessa di abolire la distanza tra i corpi e lo sguardo. Il che, nell’economia del porno, significherebbe la sua fine " Giona A. Nazzaro, RUMORE n°54/55). Nel porno non c’è luce, i corpi, (macchine prestazionali impegnate nell’esercizio di pratiche e ruoli serializzate ed interscambiabili) sono impermeabili alla luce (impermeabili dal di dentro…..e se luce vi è, comunque non passa…..luce di corpi tra-passati??). " Il porno diventa una tremolante luce di confine che riflette i corpi opachi, fortemente icastici, che esistono solo in quanto astrazione di un desiderio che si fa (continua a farsi visione….) visione. Sogno e desiderio. "(Giona A. Nazzaro, RUMORE n°54/55). La luce tutt’al più sta al di fuori, come un’emulsione luminosa che indaga le fattezze di questi corpi al lavoro, pronunciandone così il vigore del loro iperbolico atletismo, come dei decaduti nell’interregno del moto perpetuo…….quei corpi si consumano (e ci consumano) in un rito che è contemporaneamente volgare ed eletto, come se nel bel mezzo di quell’incantesimo (sospensione attonizzante) quei corpi si rivelassero, come dice Olivier Smoldiers nel suo elogio alla pornografia, dei ‘mulini da preghiera’………….. A questo proposito mi sovviene la scena della sodomia presente, se non erro, nel Film "Totò che visse due volte" di Ciprì e Maresco………all’interno di una scenografia architettonica ridotta a rudere, detrito post-industriale, la scena della sodomia maschile si consuma al ralenti del nostro disagio…………l’atto sessuale è brutalizzato, non più fonte di piacere ma espressione di un dolore cosmico, che trascende i corpi nell’agonia del loro godimento, li rende evanescenti (se ricordo bene la scena si conclude con una dissolvenza) e li condanna alla ripetizione coatta di un gesto vuoto, de-individualizzato, de-sacralizzato…….che è un po’ quello che capita agli attori di un film pornografico. Nel porno, inoltre sono vietati i campi lunghi (ancora Kubrick…ma nella stessa scena del film di Ciprì e Maresco, l’inquadratura si riduce, inclemente, sul volto del sodomizzato). A questa scelta tecnico-linguistica corrisponde, nel porno, la concentrazione (emotivo)-spaziale dello sguardo desiderante su una superficie visiva che si fa sempre più ridotta e realistica (dalla scena di sesso di gruppo, si passa alla visione franca e ravvicinata del coito, sino alla visione mortale, autoptica dello sguardo che vorrebbe risalire sin dentro l’orifizio femminile spalancato, per disperdersi, così, là ove nessuna visione è più possibile perché nessun desiderio – e sguardo – può più ambire). Inoltre la visione pornografica ci dispensa dal tediarci: come?…..grazie all’occultamento del suo realismo simulato che è l’astrattezza del suo statuto;" la pornografia è l’unica arte che concilia felicemente la volgarità della carne e la purezza dell’astrazione.
Focalizzando ad oltranza lo sguardo – si dirà il " centro d’interesse " nei manuali di cinema – l’immagine pornografica assorbe lo stesso voyeur al punto d’accecarlo, di fargli dimenticare la scenografia, i personaggi, la musica, la luce, lo stesso intreccio. Lo spettacolo diventa per lui incolore al punto da trasformarsi nel puro fantasma, nella più perfetta attrazione. Nello stesso momento in cui la retorica dei corpi e dei visi sprofonda nel più fangoso dei realismi" (M.F.Mirella, La legge del desiderio, ed. Falsopiano 1998). Un altro modo per ratificare che la visione pornografica non è altro che la proiezione del nostro sguardo desiderante, è invertire la direzionalità di questo stesso sguardo. "Il tabù per eccellenza dell’immaginario hard è violare la direzione dello sguardo […] Con il volto madido di sudore e sperma, la Chambers (famosa pornodiva n.d.r.) restituisce a noi spettatori tutta la violenza (e desiderio) della nostra scopofilia (tenendo presente che gli ultimi venti minuti del film sono solo una fantasia autoerotica della protagonista).
Quello sguardo e tutto ciò che l’ha preceduto non esistono: se non nell’immaginazione di Marylin. Guardando in macchina in quel modo la Chambers rovescia la prospettiva tradizionale del porno: non siamo noi a porre in esistenza il suo corpo. E’ lei che attirandoci nel campo del suo sguardo pone in essere se stessa e la messinscena del suo corpo. Lo spettatore-voyeur attirato nel campo del suo sguardo del corpo che ha osservato fottere, cessa di esistere per continuare a vivere solo come fantasma di una proiezione desiderante/desiderata ".Vero e proprio corto circuito semantico del dato pornografico, lo sguardo desiderante (…..che investe sul corpo dell’attore tutta la violenza del sua concupiscenza) finisce per girare a vuoto su se stesso, privato così dell’oggetto fisico a cui si era demandato il compito di stimolo sessuale, si contorce su se stesso, sperimentando l’ineluttabilità della sua frustrazione, in quanto "…..conviene ricordare fermamente come cosa evidente che la soddisfazione che implica il ciclo del desiderio, che lo si chiami piacere o godimento, può essere realizzata (o essere concepita) solo in un corpo. Ma quale corpo?…." (S. Leclaire, CINEFORUM n°391,pag. 6). Sicuramente non il corpo di un altro: vedere godere non è godere. La vicarietà del porno è la condito sine qua non per eccellenza dell’industria hard-core: il nostro destino è rimanere soli con il nostro desiderio perennemente insoddisfatto, specchiarvisi in esso, assumendolo in tutta la sua tragica deriva.
Se vogliamo una riprova del fatto che è la nostra concupiscenza a muovere le figure videoreificate dal (e nel) porno e non viceversa, ci basterebbe sperimentare l’interesse che una scena hard ricopre nella nostra immaginazione voluttuosa a godimento raggiunto: quest’interesse è praticamente nullo……..il desiderio è (momentaneamente) appagato (……e deriso); il videoregistratore può essere spento……i corpi dolenti di piacere possono ritornare fuori campo, regredire dal nostro campo visivo desiderante, puri fantasmi dei nostri sogni erotici. La promessa della soddisfazione del nostro desiderio è reiteratamente procrastinata; noi siamo gli spettri ambulanti di questo desiderio, che finirà, incondizionatamente, per sopravvive.
Come la vita stessa, del resto.

Fabrizio Caminati

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