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I samurai

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I Samurai

Il cinema si nutre di sé stesso, guardando all’indietro nella sua giovane storia di appena un secolo, e lo può fare ad un livello banale di sequel o di piatti rifacimenti attuali di classici con attori in voga (vedi Delitto perfetto o Sabrina), ma anche, nel caso di certo cinema d’autore, per riprendere temi e motivi ricorrenti, rendendo in tal modo anche un omaggio a cineasti del passato.
E’ uscito di recente nelle sale Ghost dog – Il codice del samurai, l’ultimo lavoro di Jim Jarmush (ne ha parlato lo scorso mese Andrea Leonardi), che questa volta, dopo il western, si cimenta con il gangster-movie, riletto alla sua maniera, costruendo in tal modo una sorta di remake di un film del 1967 di Jean Pierre Melville (Frank Costello faccia d’angelo, in originale Le samourai), autore francese che si era, a sua volta, ispirato a un romanzo hard-boiled americano, The ronin di Joan Mcleod.
Corto-circuiti franco-nippo-americani: ronin erano chiamati i samurai del Giappone feudale che, colpiti dal disonore per non aver saputo difendere a costo della vita il proprio padrone, erano costretti a vagare mettendo la propria spada al servizio del miglior offerente o a diventare banditi; Ronin è anche il titolo di un recente film di John Frankenheimer, ulteriore variazione sul genere, in cui si paragonavano le spie orfane della guerra fredda agli antichi samurai senza più padrone.
Tornando all’originale di Melville (che ho avuto occasione di vedere di recente in un cineclub), si tratta di un poliziesco alla francese (pioggia, oscurità, Citroen, bassifondi, marsigliesi, night-club) molto freddo e rigoroso, con un Alain Delon solitario killer a pagamento, dalla faccia vuota, che vive nel mutismo e comunica solo con il suo canarino: stanco della vita, quasi nichilista, va incontro alla morte senza paura, in base al proprio codice di comportamento, come un destino inevitabile.
Come si può capire, sono tanti gli elementi in comune con il "cane sciolto" di Jarmush, anch’esso un solitario, che vive oggi in una metropoli americana di cui vediamo soltanto i quartieri periferici ed anonimi, in una baracca sulla terrazza di un palazzo, circondato da piccioni con i quali sembra comunicare e che utilizza per comunicare con gli altri.
La regola in Ghost dog è dichiarata, esplicita, addirittura pronunciata ed evidenziata con caratteri incisi sullo schermo; ed è sempre una regola che contempla la difesa, a costo della vita, del proprio padrone e l’accettazione del destino di morte.
Si tratta di corpi molto diversi, quello di Delon scarno, asciutto, inespressivo, quello di Forest Whitaker grosso e imponente, oltre che di colore. Il "cane sciolto" mostra maggiore umanità di Frank Costello: ama gli animali, piccioni e orsi; entra in comunicazione (o almeno ci prova) con altri personaggi, ai margini come lui: una bambina nera, un gelataio caraibico. Frank Costello, invece, non ha amici, c’è solo una donna che lo protegge ma lui non contraccambia.
Abbondano nella versione fine secolo gli espliciti riferimenti orientali (già presenti nell’originale francese), ascetici e zen, anche come segno dell’oggi (insieme alla musica hip-hop/jazz che accompagna tutto il film) e del nostro guardare smarrito intorno, alla ricerca di punti forti di ancoraggio; e insieme a questi, ritroviamo il grottesco e l’ironico, come cifre che accompagnano da sempre il cinema di Jarmush, nei movimenti dei corpi (a partire da quello di Whitaker) e negli spiazzamenti di senso. Nel film di Melville, invece, l’ironia che percepiamo oggi deriva dalla distanza temporale che ci separa da quegli anni, in termini di costumi e sensibilità diverse.
Per finire, è curioso ricordare che, in questi percorsi e corto-circuiti cine-geografici, ha un suo ruolo, seppur modesto, anche l’Italia: infatti alla figura di Frank Costello è ispirato un personaggio (il killer "Paganini"), pensate un po’, di Altrimenti ci arrabbiamo, con Bud Spencer1 e Terence Hill2!

Paolo Baldi

1
Un giacchino corto e solitamente a doppiopetto che imperversava nelle nostre discoteche dopo il ciclone Ibiza e nelle sale giochi un po’ più avanti.

2
Collina.

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