"KIKUJIRO, scemo!".
L’estate di Kikujiro non parla di Yakuza, non parla di morti, non parla di suicidi.
L’estate di Masao è speciale, è una di quelle che si ricorderà per tutta la vita.
L’estate di Kikujiro è l’ultimo film di Takeshi Kitano1, presentato anch’esso all’ultimo Festival di Cannes, e molto ben accolto dalla critica giornalistica. Masao è il bambino protagonista della storia, un bambino che vive con la nonna, e che ha una madre che lavora lontano.
La scuola finisce, e il piccolo si ritrova improvvisamente solo; gli amici in vacanza, la scuola di calcio chiusa, e la nonna impegnata tutto il giorno in una bancarella. E nella solitudine, il bambino ritrova il desiderio di riabbracciare sua madre. Decide allora di partire, da solo, a piedi, con il suo zaino sulle spalle, con la foto della madre nel quaderno di scuola, come nelle più classiche immagini, e non solo cinematografiche, di bambini che partono all’avventura.
Ma da solo non può andare molto lontano.
E qui arriva Kikujiro, il buon vecchio Takeshi Kitano, o Beat Takeshi2 nella sua identità di attore.
Ok, ci siamo, qualcuno potrebbe affermare che ci troviamo di fronte al classico film sui buoni sentimenti che analizza il rapporto fra adulto e bambino, copione proposto da tutte le cinematografie e in tutte le salse, forse anche dagli alieni (se esistono e se hanno il cinema).
Ma qui l’alieno esiste veramente, ed è proprio il buon Takeshi, che firma come al solito oltre alla regia ed alla sceneggiatura, i disegni, il montaggio ecc…, uno che, scorrendo anche tutte le sue innumerevoli attività, la follia ce l’ha nel sangue, follia positiva, infantile che porta gli adulti spesso a tornare bambini.
Il viaggio di Masao si trasforma in una fiaba. Kikujiro è un burbero e rissoso non si sa bene cosa, la cui specialità e prendersela con tutti, con un fare più maleducato che cattivo.
Costretto dalla moglie ad accompagnare il bambino, dapprima gli prende i soldi, poi lo porta alle corse (il Keirin, gara ciclistica giapponese su pista, molto popolare) e lo fa scommettere. Masao si trova ad assistere, lungo il cammino, alle continue stravaganze ed ai continui litigi di Kikujiro. Sembra quasi miracoloso vederlo uscire dalle situazioni più incredibili, con una follia che a volte sfiora la genialità.
Apparentemente da la sensazione che non gli importi di nessuno, ma lentamente si affeziona al piccolo, senza però mai cambiare il suo atteggiamento. Per Masao la sua presenza diventerà fondamentale per superare la delusione di scoprire che la madre lo ha dimenticato e si è creata una nuova famiglia.
E qui ritroviamo i personaggi che costantemente percorrono il cinema di Kitano. Kitano li trasforma, anche con un sadico compiacimento (lo stesso che caratterizzava le trasmissioni televisive da lui create), in maschere, in esseri favolosi e fantastici, ribaltando la realtà che circonda il bambino in uno spettacolo di marionette.
Siamo nel mondo del mago di Oz, ma invece dello spaventapasseri, del leone e dell’uomo di latta, abbiamo il poeta il ciccione ed il pelato, anch’essi tutti in cerca di qualcosa, che si lasciano guidare da questo strano personaggio contemporaneamente Dorothy e Mago di Oz.
E’ proprio questa la cosa che lega questo film ai precedenti, nonostante i temi ed i contenuti siano diversi.
Kitano riesce sempre a rappresentare la parte più fanciullesca di ogni adulto. I suoi protagonisti giocano, siano essi gli spietati Yakuza di "Sonatine" oppure i buffi ed imbranati Hell’s Angels di questo film. E’ per questo che sembrano folli. Ma la loro follia è giustificata se riusciranno nel gioco a far spuntare un paio di piccole ali sulla schiena di un bambino. Per Masao, la cui vita, forse, da questo momento cambierà, rimarrà il ricordo di quell’uomo strano, di cui non sapeva il nome e che lo chiamava "scemo", che decise di fargli passare un’estate indimenticabile in riva ad uno stagno.
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"Signore, ma tu come ti chiami?".
Andrea Leonardi
Lo saprete già, ma vinse a Venezia con "Hana-bi".
Kitano è un tipo originale che passa con disinvoltura da sketch comici a sceneggiature violente o poetiche.