Oggi è stata un’anomala giornata di sole, qui a Londra. Non c’è nebbia, nemmeno una traccia, e non c’è aria di pioggia, nemmeno una goccia, qui a Londra. Il pomeriggio sta per finire e l’ora del tè2 è passata da un pezzo, ormai a berne uno non ci farei una gran figura. Cosa fare? Un’occhiata al giornale ed ecco la risposta: si va al cinema.
Qui a Londra il cinema c’è ogni pomeriggio e l’ultimo spettacolo serale comincia al massimo alle otto, nessun pericolo di palpebra pesante o di digestione resa ancor più difficile da quei film che vanno più lenti del tuo intestino. Il titolo del film? Non ha importanza. Il ciclone "The Blair witch project" pare essere già passato senza lasciare rimpianti e l’attenzione è sul nuovo film di Antony Minghella ("The talented Mr. Ripley" con Matt Damon e la nuova Grace Kelly3) oppure su "Three Kings", un film americano nuovo nuovo con George Clooney, Ice T e Mark Whalberg che parafrasa la leggenda dei re magi pantografandone le vicende nella guerra del golfo. Pare che questo film abbia toccato qualche nervo scoperto, negli Stati Uniti specialmente la scena in cui i soldati americani festeggiano ubriachi in mezzo ad un deserto violentato dalla guerra, una guerra che non ha intaccato lo strapotere del dittatore iracheno, che sta facendo morire di fame migliaia di innocenti, che non ha avuto nessun effetto positivo sul prezzo del greggio, che ha riportato il Kuwait ad un regime autoritario e filoamericano come mai non lo era stato prima. Beh, è pur vero che l’andazzo del cinema di Hollywood è quello del revisionismo della stessa società di cui si nutre ma non esageriamo! Quando si parla di supremazia, di dominio, di armi o di denaro gli statunitensi sono quello che sono sempre stati: statunitensi.
Giro pagina, cerco qualcos’altro da vedere. "Magnolia". Lo stesso regista dell’acclamato "Boogie nights" stravince premi come indipendente a destra e a manca persino se nel cast c’è una star come Tom Cruise che, senza accorgersene, si è addirittura creato la fama di buon attore per film impegnati. Mi sento un po’ come quel matto delle barzellette che andando contromano in autostrada grida alla polizia che sono tutti matti, ma su Tom Cruise non riesco a convincermi.
Ma ecco che accade qualcosa che mai mi sarei aspettato di vedere. Da uno di quei taxi rifatti ad arte ancora oggi scende nientepopodimeno che Robert Carlyle che, pensate un po’, crede di non essere riconosciuto solo perché indossa la cravatta! Che sciocco. Io lo riconosco, naturalmente e come un lampo mollo il giornale e mi metto a rincorrerlo. Non è stato facile, l’ultimo James Bond lo deve avere allenato bene. Da Piccadilly Circus lo seguo di buon passo fino a Trafalgar Square dove, che ingenuo, cerca di seminarmi infilandosi alla National Gallery. Da lì lo attendo uscire e quando i nostri sguardi si incrociano scatta di nuovo il pedinamento, ma ora anche lui sa che non sarà facile mollarmi. Costeggiando il Tamigi prova a confondersi in un gruppo di indiani, poi di neri, poi di cinesi ma è chiaro che non sa più che pesci prendere. Il passo si fa sempre più veloce ed arriviamo al maestoso Tower Bridge alla vista del quale anche lui rimane un po’ confuso prima di prendere verso nord, a Soho, a Soho! Gli sono sempre più vicino e lo chiamo per nome ma non si volta: "solo una domanda!". Ormai lo tallono da pochi metri ed il passo si è trasformato in corsa, sempre più veloce. Qualcuno ci avrà scambiato sicuramente per ladro e derubato solo che lui ha un bell’abito ed una cravatta mentre io non mi pettino da tre giorni e indosso gli stessi jeans da un po’, proprio come Bruce Springsteen.
Quando capisce che la fuga non ha più senso, quando capisce che lo avrei seguito fino in bagno come fanno certi terzini con Ronaldo, siamo a Russel Square e, ansante come un cane lupo, mi chiede: "ma cosa vuoi?".
"Solo una domanda. Ti andrebbe di recitare nel mio cortometraggio?"
"No."
"Va bè, grazie lo stesso."
Ritorno mesto mesto a Bloomsbury4 dove la musa ispiratrice mi attende silenziosa.
Spero non si rivolti nella tomba ma questo terribile articolo è un piccolo omaggio a Zavattini che con "Cronache da Hollywood" faceva sognare i lettori italiani raccontadogli delle star americane senza muoversi da casa.
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Cronache da Bloomsbury
Michele Benatti
Lo si dovrebbe bere alle cinque, ma lo si beve sempre volentieri.
Lei, l’unica, la carina e paralizzata Gwyneth Paltrow.
E’ un quartiere di Londra a nord del più conosciuto Soho. Lo sfondo rappresenta Virginia Woolf, animatrice e personaggio di spicco del "gruppo di Bloomsbury", un gruppo di letterati che proprio lì visse e lavorò.