Sullo stile di Charles Bukowski, alias Henry Chinaski, si è scritto moltissimo, molto di più di quello che il grande Buk avrebbe gradito.
Da una parte il suo lessico è stato il comune denominatore letterario per tutta la generazione cresciuta a cavallo degli anni Ottanta, dall’altro i suoi contenuti sono serviti a uno stuolo di critici per demonizzare un’immagine che si colorava di sesso, di alcool e soprattutto di disperazione. Su tutti, come sempre, si impone il giudizio di un’attenta osservatrice come Fernanda Pivano, secondo la quale Bukowski è semplicemente un anarchico, una persona per cui nulla
è degno di essere preso in considerazione. Chinaski è anarchia, contro tutti e tutto quello che è stato imposto, contro le più semplici regole della vita civile, fino alla provocazione, quale (per citare un esempio su tutti) la sua adesione al nazismo agli albori del secondo conflitto mondiale, per andare contro al pensiero totalizzante dell’americano medio.
Anarchia e autosoddisfazione, da qui bisogna partire per analizzare il suo rapporto con il mondo femminile. Per Bukowski, secondo l’interpretazione corrente, la donna è oggetto, una valvola continua di sfogo. “Ci preparammo ad andare a letto. Ci infilammo sotto le coperte e io le montai sopra. Senza preliminari era molto più difficile ma alla fine riuscii a metterglielo dentro. Cominciai a darmi da fare. Mi diedi da fare come un matto. Fu un’altra notte di fuoco. Era come un incubo ricorrente. Cominciai a sudare. Zompavo e pompavo. Non voleva sapere di ammosciarsi, non voleva saperne di venirsene. Pompavo e zompavo_” Non è difficile, (non è stato difficile), traslare da queste frasi – che si ripropongono continuamente nell’epica bukowskiana – l’immagine di femmina-oggetto.
Soprattutto quando si comincia a leggere Chinaski dal romanzo Donne
(Sugarco), la sua opera meno riuscita, un romanzo che inizia con una riproposizione simbolica: “Avevo cinquant’anni e non andavo a letto con una donna da quattro anni.”, per banalizzarsi in una lunga serie
(300 pagine) di rapporti continuativi. Questo non è il Charles
Bukowski dei racconti migliori – Musica per organi caldi, Storie di ordinaria follia o Compagno di sbronze (Feltrinelli) – o dei romanzi autobiografici – Panino al prosciutto e Post-Office (Sugarco) -, in cui questi temi non cambiano, ma vengono proposti in una logica più significativa. Lungo questi scritti la donna di Chinaski è semplicemente il riflesso dei desideri e delle paure dell’autore, è contemporaneamente succube e indipendente, sgraziata e bellissima (ma la bellezza di Chinaski è lontanissima dagli stereotipi ordinari, è eccedenza, maturità, trucco e pazzia), irascibile e docile, ma soprattutto incarna in se stessa un difetto che porterà inevitabilmente il rapporto alla sua conclusione; ogni donna di
Bukowski è attratta dalla sua anarchia, come la chiamerebbe la Pivano, dalla sua ferma impossibilità di credere in qualcosa e quindi nella continuità di quello stesso rapporto, un rapporto che finisce per essere uno sfogo come tanti altri, come bere o fumare. La donna di
Bukowski si è sempre considerata campione nell’abbandonare i propri maschi, e non trova ragione di questo compagno per cui abbandonare è semplicemente un istinto. Ma non è diversa da lui, la donna è oggetto per Bukowski come Bukowski è oggetto per la donna, non c’è, non ci può essere, nulla di più. Personalmente non penso che considerare una donna come oggetto, quando ci si considera a propria volta come tali, sia legato a metriche di antifemminismo. E’ semplicemente anti. Tutto qui. La volgarità che traspare nelle le sue opere non è contro le donne, ma è contro tutto; una volgarità che sarà, parzialmente, attutita dagli anni. Ma il pensiero di Hank sulle donne è scolpito in tutti i suoi scritti, così chiaramente che non trovo ragione di continuare a commentarlo: “L’amore è una forma di pregiudizio. Si ama quello di cui si ha bisogno, quello che ci fa star bene, quello che ci fa comodo. Come fai a dire che ami una persona, quando al mondo ci sono migliaia di persone che potresti amare di più, se solo le incontrassi? Il fatto è che non le incontri.”
Charles Bukowsky e le donne
Raffaele Gambigliani Zoccoli