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Profundo carmesi

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Profundo carmesi

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Genere:        Drammatico
Durata:        114 minuti
Regia:        Arturo Ripstein
Sceneggiatura:    Paz Alicia Garciadiego
Fotografia:    Guillermo Granillo
Attori:        Regina Orozco (Coral Fabre),
Daniel Gimenez Cacho (Nicholas)
Musica:        David Mansfield

Distribuzione:        Lucky Red
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Il rosso nell’ambivalente connotazione SESSO-SANGUE, trova in questo film la sua naturale collocazione. Profundo Carmesi si apre con una bella carrellata sulla camera da letto della protagonista femminile,
Coral, opulento personaggio, che subito richiama alla memoria le donne di Botero. Infermiera più che per scelta, per la necessità di mantenere i due figli ancora bambini nel panorama messicano del 1949, si concede come unica distrazione la passione sfrenata per l’attore
Charles Boyer, del quale conosce, per via epistolare, il sosia,
Nicolas Estrella, l’altro personaggio chiave dell’intera vicenda. Dopo una prima notte d’amore, l’uomo scompare rubando i suoi soldi.
Successivamente Coral lo raggiunge nella sua abitazione con i bambini, e qui scopre che Nico vive seducendo donne sole per poi rubare loro i risparmi. Anche in questa sequenza ciò che più colpisce sono i dialoghi brillanti.
A questo punto comincia un vero e proprio delirio erotico-omicida per cui, abbandonati prima i di lei figli, partono insieme alla volta di compiere inganni nei confronti di povere vedove. Ne faranno le spese tre donne e una piccola bambina, che avranno la disgrazia o forse la fortuna, in quanto liberate, sia pure in modo truce, da una vita triste e difficile, caratterizzata dalla solitudine e dalla sventura che poteva significare essere donne senza marito.
Accanto a ciò, si può evidenziare che il viaggio operato dai nostri protagonisti è anche un viaggio introspettivo alla ricerca dell’espiazione, al termine del quale essi ne usciranno come mostri in una società che stenta ad accettare le diversità.
La conclusione è tragica con la morte di Nico e Coral giustiziati dalla polizia locale che spara loro alle spalle come fossero bestie.
Tutto il film è permeato da una forte carnalità rappresentata dalla scelta di colori dai toni caldi, dall’uso di frasi di sicuro effetto, dal connubio tra sesso-cibo-religiosità, che appare visibilmente tastabile nella figura della seconda vittima, Irene, circuita abilmente da un improbabile devotissimo Nico.
Ogni personaggio ne esce fortemente caratterizzato, dotato da un passato ben evidente. Ed è forse per questo motivo che, guardando questa pellicola, non si riesce a scorgere nessuna zona morta, dove sia possibile annoiarsi, ma anche una certa teatralità di fondo, che ne permetterebbe la trasposizione su un palcoscenico.
Non resta ora che segnalare il fatto che questo film sia già stato vincitore nel 1996 al Festival di Venezia per la “migliore sceneggiatura”, “migliore scenografia” e “migliore musica” ed è anche tragicamente basato su una storia realmente accaduta.

Samantha Cristiani

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