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Voci che sussurrano

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Voci che sussurrano

I periodi precenti feste, o vacanze, hanno sempre, per la rivista, un meccanismo di riflusso piuttosto singolare. E’ difficile sempre cercare di prevedere in che quantità i lettori decideranno, mese dopo mese, di collaborare a questa o a quella rubrica. E così, per un giornale che vive per un buon ottanta per cento di materiale proveniente da “fuori”, ovvero proveniente da collaboratori esterni, gestire un “palinsesto” non è sempre cosa facile.
Come già accennato la volta scorsa, SUSSURRI è un po’ immune a questo fenomeno, e raramente in queste pagine specifiche manca il materiale da presentare.
Ogni tanto abbiamo qualcosa di più, o qualcosa di più accattivante.
Ogni tanto abbiamo meno, o di qualità leggermente inferiore.
Che dire? Poco o nulla. Io per primo sono sempre molto curioso di vedere cosa mi riserva l’avventura di essere “redattore” di questo angolo letterario, che cosa, cioè, appare tra le nebbie postali o le foreste di Internet.
In fondo, per me, è quasi sempre Natale. Sempre mi capita di dovere
“scartare regali” e “aprire pacchi”.
Ma il mio ruolo non è quello del bambino che si appresta a scoprire un nuovo giocattolo per sè, ma piuttosto quello dell’aiutante di Babbo
Natale: io sono qui, mese dopo mese, oltre che per soddisfare il mio innato interesse per racconti, poesie e scritte sui muri, anche (forse dovrei dire soprattutto) per voi.
Sono qui per ridare ai lettori, quello che i lettori propongono. Sono qui per analizzare, scegliere, ordinare.
Sono qui perchè ciò che leggete, nel limite del possibile, abbia una qualche sequenza, un qualche commento. Una interpretazione.
Oh, no, non la migliore possibile. Nè l’unica. Ma solo una delle tante, quella che la mia voce, una delle tanti voci che “sussurrano” in questo luogo virtuale, ardisce di presentare, per suggerire, per mostrare una strada che siete ovviamente liberi di negare o abbandonare a piacere.
Ma che, in questo modo, sicuramente notate.

Perchè questa premessa?
Perchè, come avrete modo di notare, se proseguirete a leggere questo numero di SUSSURRI, per i nostri “seguaci” questo è sicuramente un ottimo Natale…

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La prima poesia di questo mese è Rumore, di Caterina Sonzogni, ormai da quattro mesi nostra gradita ospite su queste pagine. Meno
“dolorosa” delle opere a cui ci aveva abituato, questa sua produzione
è comunque altrettanto intensa e riflessiva. Unico “oggetto” di un’analisi quasi introspettiva è appunto il rumore, rapida apparizione in un momento di vita indeterminato, alla quale poco si riesce ad attribuire; tentativo di cogliere l’essenza di un qualcosa troppo complesso, o divagazione vaneggiante? Comunque sia buona la traccia
(trama) dell’opera, e piacevole la scelta ritmica dei vocaboli.

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Untold evening tales si ripresenta anche questo mese con una corta poesia in italiano: Non innamorarmi. Questo autore, che si è fatto conoscere per alcune produzioni in lingua inglese, ci propone un testo dal pacato gusto sentimentale che si “incastra” con difficoltà sia nel clichè della poesia d’esaltazione della persona amata, sia in quello dell’amore visto come sofferenza. La sera (o la notte) è il luogo in cui due persone si incontrano e si amano, e al mattino esse si lasciano, cercando di farlo senza rimpianti. Non volere innamorarsi, pur essendo coinvolti rappresenta una forza di spirito che in parte manca all’io narrante, che nella ripetizione del condizionale “vorrei” esprime la sua incertezza sulle sue capacità di indifferenza.

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Matteo Ranzi, chiamato “poeta” da me in queste pagine più d’una volta, si presenta a questo appuntamento di Dicembre con una poesia sulla poesia. Il poeta è infatti una dichiarazione su se stesso, un mettere a nudo una certa visione della propria vita, come artista. Poeta, animo in pena, animo che soffre, dandosi in pasto ai lettori per celebrare la propria rabbia, e la propria continua sconfitta nella quotidiana lotta con il mondo. Ripresa, forse, del “mito” dell’artista come animo più fine, animo più sensibile, e di conseguenza perennemente sconvolto dalle cose della vita reale, da lui vissute con uno spettro differente di luce.
Solo la sofferenza è dunque fonte della vera poesia? Non mi è concesso saperlo, anche se spesso il canto delle voci che sussurrano in versi è triste e desolato.
Buona prova di Matteo, che ormai da qualche mese riesce a cogliere le sue illusioni letterarie in un immaginario sempre più ricco e classicheggiante allo stesso tempo.

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La prima delle due nuove voci-poeta di SUSSURRI che presentiamo a chi ci sta seguendo è Mia Preti. Windword Apocalipse (I), prima parte di una raccolta di scritti e riflessioni di questa autrice, concede non poco a chi ami tentare di leggere dietro alle righe, alla ricerca di spunti e sentimenti intensi: lo stile è abbastanza disadorno, l’uso del lessico caotico ma intrigante, e i temi trattati sono spesso duri, o, comunque strani, striduli, di facile comprensione, ma lunghi da essere totalmente assimilati. Come il titolo stesso suggerisce, questo insieme di testi è visto come un diario letterario, un grido nel vento, alla ricerca di qualcosa di grande, che, forse, si dubita di poter ottenere.
Interessante e singolare, è la mia umile definizione di questo personaggio che si è affacciato per la prima volta in questo spazio. E sono sicuro che non vi sarà difficile apprezzare anche quanto tenuto in serbo per il mese prossimo.

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Seconda nuova voce nel campo degli scritti in versi, e, a mio modesto parere, una validissima partecipazione al numero di questo mese, è quella di Psycho. Anche questo artista si è avvicinato a SUSSURRI con una raccolta di materiale senza titoli, che pubblicheremo in tre parti. La prima di queste racchiude due splendide brevi poesie, che non esito a definire come le più intense ed immediate di questo dicembre: se, come già supposto in passato, esistesse il premio “Poeta del mese” di KULT Underground, questa volta Matteo si troverebbe senza corona d’alloro, in favore di questa “new entry”.
Le due cortissime opere proposte Non chiedere e Solitudine, assolutamente assonanti ad una parte del superbo stile di Montale, sono difficilmente descrivibili, a causa della loro brevità, ma nel contempo molto piacevoli. Forse non estremamente originale come contenuti, l’estro di Psycho è comunque tale da farmi chiedere immediatamente chi si celi dietro a questo soprannome, e da augurarmi che il suo interesse per il nostro spazio non si interrompa dopo questa apparizione.

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Apre la straordinariamente ricca carrellata di racconti di questo mese un nuovo collaboratore di Bologna, Alberto Angelici. Il racconto (da lui definito giallo, ma per me invece maggiormente assimilabile ad un thriller) prende spunto da un fatto di cronaca accaduto in Canada, e ricama splendidamente una vicenda immaginaria legata al massacro di un uomo e di un cane: il bastardo di Yonge Street, appunto. Su una trama breve ma avvincente trovano spazio, in poche pagine, concrete descrizioni di luoghi e di azioni, ben intrecciate con stati d’animo e riflessioni. Il protagonista, la cui vita presente viene esplicitamente impostata, ma dal passato misterioso, si trova ad essere un “paladino nero” per una notte, ed Alberto riesce a rendere questo suo agire, in un momento di stanchezza, nervosismo e frenesia dovuta alla vista di un animale picchiato a morte, in qualche modo solenne e tremendo insieme. Piacevole da leggere, e degno di una seconda lettura per cogliere in toto certe sfumature, questo racconto presenta con grinta il suo autore come persona avvezza alla narrazione, che ci auguriamo di potere riavere tra noi, magari con un tema diverso, per saggiarne ulteriormente stile e profondità.

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Panna montata della vincente coppia Giorgia Rebecchi e Raffaele
Gambigliani Zoccoli è un gradevole e complesso racconto, che riprende un leit motiv già visto nell’ottimo Una scommessa d’estate (pubblicato su KULT Underground di settembre 1996).
Che sia poi una scuola di pensiero tedesca (la “Wanderm das Lust”) o un celebre sociologo finlandese (“Werbert von’t Sommart”) la causa scatenante dell’esperimento a cui la procace e sensuale Giorgia, e
Lele, sottopongono alcune incaute cavie umane, poco importa; neppure i luoghi della disputa hanno veramente un fattore rilevante. Nella sfida tra gli istinti maschili e la capacità dell’uomo di intuire intrigati pericoli, difficilmente ci sarà un risultato diverso dal gelato offerto in piazzetta a Forte dei Marmi da Lele.
Almeno fino a quando l’attitudine al giallo di Raffaele (già ampiamente dimostrata in “Complemento oggetto”) e la verve di Giorgia non cesseranno di creare architetture così piacevolmente complesse, e nello stesso, così “dannatamente” ineluttabili. Tecnicamente splendido in tutta la sua struttura, con una variegata e moderna scelta di lessico e di situazioni narrate, ancora una volta mi trovo ad elogiare un opera di uno dei più “fedeli” sostenitori di questo angolo di KULT
Underground, e, con ogni probabilità, uno dei migliori collaboratori presenti (come abbiamo voluto sottolineare con il premio attribuitogli il mese scorso, durante la festa per il compleanno della rivista).

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Altro splendido intervento di questo dicembre (che si attesta come una data da ricordare negli annali di SUSSURRI) è quello di Caterina
Sonzogni, già presente con la poesia Rumore. Preghiera domenicale è un racconto introspettivo, che ricorda in più di un punto le poesie della
nostra Asia 68 (da troppo tempo assente). Una donna, in un momento di stabilità almeno apparente, ricorda un episodio del proprio passato riguardante la sua sfera sentimentale. Un avvenimento particolare, situato in un contesto consueto, crea uno stato d’animo complesso e doloroso, e i ricordi riportano a quando le parole, gli sguardi e i pareri degli altri avevano un peso profondo, tale da lasciare solchi nell’anima.
Alcune cose sono cambiate, sembra suggerire l’autrice, alcune cose che facevano male, ora non ne fanno più. Ma certi ricordi ogni tanto ritornano in superificie, non per aiutare a vivere, alleviando in qualche modo i nostri tormenti o i nostri dubbi, ma per aiutarci a sopravvivere.
Ritmo lento, efficacemente congruente alla situazione in cui la memoria prende possesso della storia, e descrizioni pacate e semplici, come per volere richiamare ancora di più l’immagine di un’età minore, e di un qualcosa che ormai è sepolto profondamente, ma che ancora, in qualche modo, vive dentro di noi.

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Bologna di Marco Giorgini conclude la lunga lista del materiale offerto ai lettori. Breve racconto ambientato in una Bologna di notte, abbozzata molto velocemente, che fa da “contenitore” per tante vite e da luogo di transito per altre.
Nella notte si ricorda la serata appena passata, e si pensa, con il fare stanco di chi non ha poi così voglia di soffrire, a qualche momento che poteva essere speciale, ma che è rimasto invece normale.

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Mi auguro che sotto l’albero di Natale sia possibile trovare altrettanti racconti (e poesie) per il numero di gennaio… magari senza trascurare il concorso di SUSSURRI, che, ricordo ancora, sta per giungere al termine.
Datevi da fare.

P.S. un saluto particolare al pakistano Asif Khan, autore conosciuto lo scorso mese, e probabilmente di nuovo con noi in gennaio, che ha pensato bene di “dedicarmi” questo limerick:

There was a young Italian by the nick of Doc
Who impressed the girls for being a Jock
All he would have to do is smile and girls flocked to him after a short while
He would always love to have a good crack
But the truth is that everyone thinks he’s a quack!

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