Il tubo d’aria tremò. WOOOOOMM.
L’involucro cilindrico cadde, tintinnando, sulla scrivania di alluminio.
L’uomo l’afferrò con decisione, dopo essersi sistemato la cornetta del telefono fra spalla ed orecchio.
-E’ arrivata in questo momento.- Disse con tono piatto.
-Ti richiamo più tardi.- Continuò , prima di appoggiare la cornetta alla consolle grigia davanti a lui.
Si alzò dalla poltrona di pelle nera ed iniziò a passeggiare per la stanza, svitando energicamente il contenitore metallico.
Aveva gambe sproporzionatamente lunghe e magre rispetto al busto tozzo e leggermente incurvato.
Il naso aquilino e le spesse lenti degli occhiali lo facevano assomigliare ad un gufo. Dimostrava molti più dei suoi quarantacinque anni, soprattutto in ufficio, dentro l’austera divisa grigia con lo stemma della D. R. I cucito pochi centimetri sotto la spalla sinistra.
La scatola si aprì di scatto e per poco il contenuto non cadde sul pavimento lucido. Frank Levi avvicinò la fiala contenente il liquido madreperlaceo ad una lampada al neon sopra la scrivania.
Sorrise leggermente, avvicinandosi al telefono.
Spinse il pulsante di ripetizione dell’ultimo numero e restò in attesa. Finalmente una giovane voce femminile rispose:
-Pronto?-
-Sì, sei tu Patricia?- Chiese amichevolmente
-Sì, chi parla?-
Raramente lo riconosceva al telefono a causa dei suoi problemi all’ udito. Alzò la voce per aiutarla.
-Sono Frank, mi passi tuo padre?-
-Ah, ciao zio Frank, scusa, non ti avevo riconosciuto. Vado subito a chiamarlo.-
Chiamava zia anche sua moglie, era una maniera affettuosa per distinguerli dagli altri amici dei suoi genitori.
L’uomo sentì la ragazza urlare il nome di suo padre. Lo chiamava per nome, nè babbo, nè papà , nè nient’altro. Per nome, come se fosse un amico.
A Frank piaceva quella ragazzina, era sveglia e simpatica, nonostante sapesse di essere nata con un problema alle orecchie che l’avrebbe resa completamente sorda nel giro di pochi anni.
Sentì Richard avvicinarsi al telefono:
-Frankie, dimmi tutto…-
Sembrava parecchio sulle spine.
-Ad occhio e croce direi che ci siamo. Quelli del laboratorio questa volta hanno fatto un buon lavoro.-
-Vuoi che venga lì?-
-No, non importa. Sarò da te per cena. Quando esco dall’ufficio passo da casa a prendere Susan e poi vengo lì. Salutami Patricia e
Barbara.-
-Certo. Ti aspetto. Non vedo l’ora.- Scoppiò a ridere.
Riattaccarono.
L’uomo portava sempre anche la moglie alle “prime”.
Lei non avrebbe mai rinunciato a quelle serate, perchè erano occasioni che non capitavano più di un paio di volte all’anno.
La porta della stanza rientrò nel muro, scorrendo sulle rotaie ben oliate con un sussurro.
Entrò un uomo muscoloso con una maglietta attillata della D. R. I. ed i capelli rasati, a rivelare una cranio spigoloso e con una grossa cicatrice centrale.
-Levi, ha ricevuto la fiala?-
Chiese l’uomo con una voce roca e cavernosa
-Certo.-
Gliela mostrò tenendola fra pollice e indice. L’uomo muscoloso la guardò senza espressione.
-Dove sarete stasera?-
-Saremo da Ferriani, a casa sua.-
-Molto bene, divertitevi. Una squadra arriverà alle due.-
Salutò portandosi la mano alla fronte, uscì e spinse il tasto giallo che fece richiudere la porta.
Richard e lui erano entrati alla D. R. I. nel 1997, poco dopo l’apertura dei nuovi laboratori.
Avevano fatto carriera insieme e le loro due famiglie erano molto legate. Soprattutto da quando lui e sua moglie avevano perso l’unico figlio di nove anni.
Era successo due anni prima, l’avevano trovato disteso sul letto con gli occhi schizzati fuori dalle orbite e tutti i capillari del corpo rotti.
Il medico legale non riuscì a dare altra spiegazione se non quella che il cuore fosse impazzito ed avesse cominciato a pompare in maniera sovrumana, senza collassare. Apparentemente le vene e le arterie avevano ceduto per la pressione.
-Nemmeno quell’operaio finito sotto la schiaccia sassi di Buldtown era così blu.-
Disse il medico ai poliziotti, allargando le braccia come per arrendersi ad un evento inspiegabile.
Ogni tanto l’uomo sognava suo figlio che gli parlava dell’aldilà.
In principio ne era stato spaventato, ma ora, in un certo senso, gli faceva piacere.
Ripeteva sempre la stessa cosa:
-E’ proprio come quel giorno al pic-nic. Qua è così papà. Come quel giorno in campagna.-
Poi lo vedeva diventare sempre più rosso. Poi viola, gli occhi gli si gonfiavano e allora si svegliava sempre di soprassalto con il pigiama attaccato alla schiena curva per il sudore.
Nonostante tutto erano riusciti a farsene una ragione e a ritornare a vivere normalmente.
Sua moglie Susan si era dimostrata particolarmente forte.
Ora, quando parlava di loro figlio, lo faceva con aria serena ed affettuosa, senza malinconia e tristezza.
Il periodo dell’ esaurimento nervoso era passato. Fortunatamente.
Ne aveva sofferto subito dopo la morte di Charles.
Era stata sull’orlo della pazzia completa.
Frank aveva dovuto assumere un medico ed un’infermiera che la tenessero d’occhio ventiquattrore al giorno.
Non sembrava disperata per il figlio, non ne parlava, ma continuava a ripetere cantilene e vedeva gente in casa.
Parenti morti da anni, persino personaggi famosi.
Una sera vide il Presidente. Allora cominciò a gridare di uscire, che quella era casa sua, che se ne poteva tornare alla sua fottuta reggia
Bianca.
Poi le cure e il tempo avevano aggiustato le cose ed ora erano, di nuovo, la solita, tranquilla, famiglia Levi.
Il buono stipendio, per non dire eccezionale, che percepiva alla D. R.
I. permetteva loro parecchi lussi, nonostante questo, pareva a tutti e due di essere rimasti i ragazzi semplici e immaturi che si erano sposati a 18 anni nel 1977.
Susan allora era in cinta, ma abortì pochi giorni dopo il matrimonio.
In un Motel su di una strada statale.
Era il periodo in cui si facevano pesante, anche più di due volte al giorno.
E non avevano soldi.
Quanto tempo erano stati in quel centro di recupero?
Tre anni? Forse cinque?
Da dove l’industria avesse pescato Frank, per proporgli il contratto di formazione, non lo ricordavano davvero.
Mise la fiala nella ventiquattrore e sospirò.
Si alzò su quei trampoli sproporzionati e si avvicinò all’attaccapanni per infilarsi l’impermeabile color crema.
L’orologio digitale appeso sopra l’entrata principale segnava le 17.
39, quando uscì nel grigio quadrato del parcheggio. I tanti colori delle macchine parcheggiate non riuscivano neanche lontanamente a mitigare l’austero rigore dell’edificio, anzi la cosa saltava ancor più agli occhi. La macchina di lusso di Frank Levi era parcheggiata abbastanza vicino all’entrata, ma non era ancora nella prima fila riservata ai dirigenti. Forse un giorno, con un po’ di fortuna, ci sarebbe stata.
Col comando a distanza fece scattare le sicure e scivolò sul sedile di pelle, appoggiando su quello di fianco la borsa e l’impermeabile.
Il cielo cupo minacciava pioggia, cosa non rara per la fine di ottobre. L’oscurità stava scendendo piano quando accese il motore e, dopo aver fatto retromarcia, imboccò il vialetto.
Infilò la tessera magnetica nella fessura e il cancello si aprì docilmente. Salutò la guardia all’entrata e guidò verso casa.
Quando arrivò trovò sua moglie Susan, in cucina che metteva il cibo del gatto in una ciotola.
-Allora come è andata oggi in ufficio?-
-Tutto come al solito.-
Appoggiò l’impermeabile e la borsa sul tavolo.
-Quando sarà il gran giorno? – Domandò accarezzando il gatto che cominciava a mangiare.
-Oggi.- Rispose con un largo sorriso
-Oggi? E’ uno scherzo?-
Lo guardava fisso per capire se stesse bleffando.
-No cara, non è uno scherzo, i Ferriani ci aspettano da loro fra una mezz’ora.-
-Ma è magnifico!-
Gli corse vicino e lo abbracciò con le lacrime agli occhi per la felicità.
-Su, vatti a preparare, la Perla Nera ci aspetta.-
Lei sparì su per le scale dopo averlo salutato con la mano. Squittiva come una bambina a cui è stata appena regalata la bambola che desiderava da tanto tempo. Frank si tolse la giacca della D. R. I. e si infilò quella di velluto color tabacco.
L’uomo entrò in salotto e si versò un Southern Comfort con ghiaccio.
Prese la pipa e la riempì con della buona marjuna che teneva nella scatola di legno.
Fumò lentamente, rilassandosi, dopo aver acceso il televisore.
Guardò il notiziario come se si trattasse di quello di un altro pianeta. Persino il giornalista in doppiopetto sembrava fumato, gli occhi sottili e rossi ed un sorriso poco naturale.
-Susan presto vieni a vedere.- Gridò
-Che io sia dannato se non si è fatto almeno una doppia razione-
Sentiva le parole del giornalista uscire dalle casse con uno strano riverbero, come se quella stanza si fosse trasformata improvvisamente in una grotta. Si versò un altro whiskey e poi un altro ancora.
Cominciò a seguire il volo di una mosca che era entrata dalla finestra socchiusa.
La mosca doveva essere l’animale più felice del mondo, così indipendente.
Sua moglie scese in un vestito di seta gialla, era ancora una bella donna, quasi tutti gli abitanti del quartiere lo invidiavano. Aveva bellissime gambe ed un viso che, nonostante le rughe, manteneva un aspetto giovanile.
-Mi hai chiamato?-
– Già, adesso anche quelli del notiziario si fanno le canne. Guarda che occhi.-
La donna guardò, ma non le sembrò di notare niente di strano.
Si preparò un Martini e si sedette accanto a lui.
-Hai fumato?- domandò buttando giù il primo sorso.
-Sì. Vuoi?- disse indicando la pipa.
-No, grazie. A che ora dobbiamo essere dai Ferriani?-
-Fra dieci minuti. Butta giù il tuo drink.-
La baciò con trasporto, ormai gli capitava solo dopo aver fatto almeno una pipa.
Frank si infilò l’impermeabile, lei un cappotto elegante.
La donna prese il gatto in braccio e cominciò ad accarezzarlo:
– Da bravo Risky, vieni con noi alla festa.-
-Credi che dovrei portare un po’ di marja?-
Chiese l’uomo prendendo la ventiquattrore.
-E per chi? Non credo che ne avremo bisogno.-
-Per Patricia, magari se la fuma con il suo fidanzatino domani.-
-Non credo che i giovani d’oggi ci vadano così leggeri, non vorrai fare la figura della persona all’antica. Lascia perdere.-
Entrarono nel garage e poi nell’automobile.
L’uomo accese il motore e fece manovra.
-Avresti potuto avvertirmi dall’ufficio. Avrei preparato un’insalata di patate, sai che a Richard piace tanto.-
-Volevo farti una sopresa. Questa volta l’aspetto è magnifico. I ragazzi del laboratorio sono davvero in gamba.-
-A che ora arriverà la squadra?- Chiese la donna accendendosi una sigaretta.
-Alle due. E credo che sarà comandata da quella testa di cazzo di
Lopez, è venuto lui ad avvertirmi.-
-Cristo, alle due? Non è un tantino presto? Sono già le otto.-
-Evidentemente hanno paura di trovarci troppo cotti.-
Svoltò veloce, facendo stridere i pneumatici, nel vialetto dove abitava la famiglia Ferriani.
La casetta bianca su due piani aveva tutte le finestra illuminate.
Barbara, la moglie di Richard, li aspettava guardando il viale da quella grande del salotto, appena riconobbe la macchina corse ad aprire.
Anche lei, come Richard, era italo americana, bassa e con capelli scurissimi e ricci. Aveva occhi particolari, quasi gialli. E quando sorrideva si illuminavano.
I due scesero dall’automobile, lui con la ventiquattrore e lei con il gatto.
-Susan, tesoro, sei splendida.- La abbracciò la donna
-Attenta, ho portato anche Risky- Rise, facendole notare che nella stretta rischiavano di soffocare il gatto.
Buttò Risky sul tappeto dell’ingresso e la abbracciò a sua volta.
Frank la baciò sulla guancia.
-Dove sono Richard e Patricia?- domandò appoggiando la borsa
-Scendono subito. Patricia è come suo padre, sempre in ritardo.-
-Spero che quei due mascalzoni si muovano. Prima di uscire mi sono fatto una pipa e mi è venuta una fame tremenda.-
-Ragazzi scendete, i nostri ospiti sono arrivati- Urlò verso le scale.
-A proposito Frank, non hai mica un po’ di marja?-
L’uomo lanciò un’occhiata a sua moglie che fece finta di stare giocando con il gatto.
-Purtroppo no. Volevo portarla per Patricia ma Susan mi ha detto che per i giovani è roba sorpassata.- Si scusò facendo spallucce.
-Ed è così. Te la chiedevo per me, è un po’ che non ne trovo.-
-La darò a Richard in ufficio.- Sorrise
-Grazie. Sei un tesoro. Scusate, vado in cucina, non vorrei bruciare tutto.-
In quel momento scese Patricia.
Indossava una salopette di jeans molto larga e teneva i capelli color miele raccolti in due code che le partivano da sopre le orecchie.
Gli occhi chiari e furbi si fecero affettuosi appena li vide.
Frank pensò che se fosse stato un ragazzino si sarebbe innamorato immediatamente di Patricia.
-Zia Susan, zio Frank, vi trovo in gran forma.- Li baciò
-Anche tu non stai male per avere quindici anni.- Rise, abbaracciandola.
-Senti un po’ ragazzina, che cos’è questa storia che marjuana per voi
è roba da vecchi?- Chiese facendosi severo all’improvviso.
– Insomma, non la fuma più nessuno. E’ un viaggio che non vale più niente.-
-Non dire così , la marja è la regina, forse non è così definitiva come quelle di oggi, ma cazzo è la regina. Chiedilo a tuo padre.-
Disse versandosi del whisky.
-Non dare retta allo zio Frank, cara. E’ ubriaco ed ha fame.- Disse la donna
-Oh, non fa niente, lo so che lui e Richard sono dei nostalgici. –
-Pat, vieni a darmi una mano.- La chiamò la madre dalla cucina
-A proposito zio Frank, che cosa hai portato ?-
Chiese la ragazza uscendo dalla stanza.
-La Perla Nera, tesoro.-
-Come?-
Quando non poteva leggere le labbra aveva delle grosse difficoltà a capire.
-La Perla Nera.- Ripetè a voce più alta.
-Che bel nome.-
-Già lo ho inventato io. Sentirai piccola, è roba forte.-
La guardarono camminare verso la cucina.
-Come vanno le sue orecchie?- Chiese Susan a suo marito.
-Male. Richard mi ha detto che al massimo in un paio d’anni perderà completamente l’udito.-
-Povera ragazza. –
Entrò Richard. Aveva l’aria di un architetto di successo con i suoi occhi chiari dietro la montatura di Armani ed i capelli brizzolati.
Susan si era chiesta almeno un un milione di volte come sarebbe stato fare l’amore con un uomo così attraente e con un accento italiano così marcato. C’era stata una sera che erano stati lì lì per farlo in bagno.
Poi tutto era finito con un bacio.
Per il momento suo marito continuava ad essere il primo ed unico uomo della sua vita.
Almeno nel mondo reale.