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Baywatch

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Baywatch

“Avanti-indietro, dieci pressioni, rapidi e decisi, dieci volte soltanto… poi la torsione, e ancora due volte, nella nuova posizione… e poi ancora, ancora più forte, più veloci, fino a quando non siete sfiniti o il sudore non trapassa sulla pelle vicina…”
All’ospedale militare il colonnello aveva definito in più tempi l’intera procedura, e noi, aspiranti aiutanti di sanità, avevamo finto di interessarci ai dettagli di quel ritmo vizioso, con la consapevole convinzione che non ci sarebbe mai capitato nulla di analogo.

Avevo quasi trent’anni e il militare era solo un ricordo. Il servizio era archiviato in un sigma del personale subconscio, nemmeno lo spazio per i nomi di un tempo – qualche viso soltanto, sbiadito tra gli scatti al corpo di guardia – fucile e mimetica e quei sorrisi un po’ stanchi.

Tutto accadde molto velocemente. Dopo tremiladuecento chilometri, dopo
San Sebastian & Burgos & Santiago de Compostela, dopo cattedrali barocche e palazzi seconda Repubblica (quella francese), dopo Oporto &
Braga & Lisbona, dopo birre e tequila annegate nel sale, eravamo accampati a un paio di chilometri da S. Juan, oceano Atlantico, su una spiaggia isolata, dove il vento modera il caldo d’agosto e il mare è freddo come una carezza in inverno. Paula era una ragazza robusta, muscolosa, e tutte le mattine indossava un paio di aderenti bermuda e nuotava verso l’orizzonte. Se ne stava immersa nell’acqua per almeno due ore, isolata, implosa nella taletica sfera. Due settimane prima aveva attraversato la manica, nella tradizionale competizione di luglio.
Fu riportata a riva dal surfista che l’aveva investita, un ragazzone tarchiato con lo sguardo impaurito, che a nuoto l’aveva trascinata fino alla banchina.
Era fredda, bianca, con il volto cianotico.
“A DOCTEUR! A DOCTEUR!” urlava il ragazzo.
C’erano poche persone quella mattina, piantoni frustrati dalla tintarella campione.
Io
Mi sentii (in un tratto) come Clark Kent che ha smarrito il costume.
“A DOCTEUR! A DOCTEUR!”

Tutto accadde molto velocemente, io e Paula, avanti e indietro, dieci pressioni, avanti e indietro, dieci volte soltanto, avanti e indietro, la testa reclinata, avanti e indietro, le mani sul torace, avanti e indietro, più forte che riesci, avanti e indietro, movimenti decisi, avanti e indietro, io e il suo corpo, avanti e indietro, cadenza veloce, avanti e indietro, torna sui tuoi passi, avanti e indietro, coraggio piccola, cambio, non te ne andare, inspira, non abbandonarci, espirale dentro, niente, inspira, forza, espirale dentro, ancora, cambio, non è difficile come pensavo, avanti e indietro, sembrava più complicato, avanti e indietro, ma non cambia, avanti e indietro, io e
Paula, avanti e indietro, e se ce la facesse, avanti e indietro, sarebbe la cosa più bella del mondo, avanti e indietro, sarebbe stupendo, avanti e indietro, sarebbe la vita, avanti e indietro, ma non da segni di vita, avanti e indietro, non riesce a tornare, avanti e indietro, non torna, cambio, e stata in acqua troppo tempo, inspira, non ce la farà, espirale dentro, è la seconda serie, inspira, perché non succede qualcosa?, espirale dentro, niente, cambio, non viene, avanti e indietro, perché non vuole tornare?, avanti e indietro, sono stanco, avanti e indietro, è troppo faticoso, avanti e indietro, non ce lo faccio, avanti e indietro, è fredda, avanti e indietro, non vuole respirare, avanti e indietro, non riesco a riprenderla, avanti e indietro, non ci riesce, avanti e indietro, se ne è andata, avanti e indietro, non reagisce, cambio, sono sempre più stanco, inspira, non ritorna, espirale dentro, non riesco più, inspira, se ne è andata, espirale dentro, morta per sempre.

Continuai con la procedura ancora due volte. Ero stanchissimo. Nessuno sembrava in grado di sostituirmi. Alla fine del quinto tentativo sapevo che era finita. Forse non era colpa mia, forse non avevo sbagliato. Forse era troppo tardi e sarebbe morta lo stesso, ma non ero riuscito a salvarla. Mi sollevai dal suo corpo.
Lei
Se ne stava distesa, abbandonata fra me e il mare. I cappelli bagnati si confondevano con la sabbia del primo imbrunire, come ricoperti di oro. Com’era possibile? Con la forza della disperazioni appoggiai le tempie alle cosce. Era gelata, e alcune vene, sulla fronte, avevano assunto il bluastro colore dell’acqua. Lasciai passare qualche secondo, sentivo solo il rumore del vento, poi inspirai profondamente, stringendo le sue narici indurite.
Le
Spinsi dentro quello che mi avevo, avvolgendomi sul suo cadavere, chiudendola in me, sputandole nei polmoni tutto il mio fiato.
Fortissimo. Tutto accadde molto rapidamente, un fiotto schiumoso nella mia gola, non riuscivo a crederci, voltai il viso per non farla strozzare, lasciando che finisse di rimettere sulle mie gambe, vomitando un male che sopravviveva alla terra, mentre dita gelate sfioravano le mie cosce e i suoi occhi si illuminavano di sorpresa e timore.

Primi di agosto. Sono passati tre anni. Quest’anno partirò per gli
States, con i soliti amici. Non ho più rivisto Paula, ma questa mattina ho ricevuto una lettera. Non ha scritto nulla, non capisco la sua lingua e lei non parla l’inglese. Solo una fotografia, un’istantanea dell’annuale traversata della manica.
Quarta classificata.
Non male.

Modena, maggio 1996
RAFFAELE GAMBIGLIANI ZOCCOLI

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