Stava comodamente seduto sulla poltrona imbottita del salone passeggeri, sul traghetto che lo avrebbe portato verso casa. Decine di persone affollavano la sala, bambini, mamme, nonne, giovani coppie, coppie non più giovani, cani, gatti, insomma persone di ogni tipo, ricche e povere, belle e brutte. Nel sedile proprio accanto al suo si era seduta una signora sulla quarantina, molto distinta, vestita con una camicia azzurra di seta leggera e una gonna stretta sopra al ginocchio che lasciava vedere delle splendide gambe abbronzate.
Castani capelli mossi le sfioravano le spalle e lo spazio tutt’intorno a lei era immerso nella flagranza del suo profumo. La sala era illuminata da roventi raggi di sole, che penetravano dalle vetrate sui lati della nave, e la temperatura era resa accettabile da un antiquato ma efficiente impianto di condizionamento.
I suoi occhiali da sole firmati, gli permettevano di osservare liberamente, senza essere notato, la grande varietà di persone che passavano per il salone, prestando molta attenzioni alle notevoli diversità che trovava da una persona all’altra. Inoltre poteva facilmente godersi, senza fare la figura del maniaco, le gambe lisce e vellutate che la signora di fianco a lui accavallava generosamente, consapevole della loro bellezza.
Improvvisamente, mentre osservava incuriosito una banda di ragazzi sgangherati che passava con fare molleggiato vicino al suo posto, la signora si alzò e si allontanò lasciando nell’aria una scia del suo profumo. “Accidenti!” pensò lui, non avrebbe più potuto gustarsi la visione di quelle magnifiche gambe. Poi però notò con piacere che la signora aveva lasciato lì, accanto ai suoi piedi, una valigia nera di medie dimensioni, contenente chissà quali splendidi capi di biancheria intima.
“Sarà andata in bagno, oppure a bere qualcosa!” pensò, e si mise a riflettere sul fatto che non avrebbe mai lasciato nessun bagaglio incustodito; forse la signora si fidava di lui, anche se non gli aveva chiesto espressamente di controllare la valigia e di tenerle il posto.
Il tragitto della nave non sarebbe durato più di un’ora e venti, e intanto i minuti passavano e la signora non accennava a tornare. I suoi occhi caddero nuovamente su quella valigia nera che stava diventando di minuto in minuto sempre più misteriosa. Collegando il fatto che secondo lui nessuno avrebbe lasciato una valigia incustodita in quel modo, e il fatto che la signora sembrava scomparsa, gli vennero strani pensieri. Iniziò a pensare che dovesse contenere qualcosa di illegale, forse droga, forse armi, forse organi umani di contrabbando, e che qualcuno vestito con un anonimo impermeabile grigio e un cappello calato sulla fonte si sarebbe avvicinato e senza dare nell’occhio avrebbe afferrato la valigia e si sarebbe allontanato con fare circospetto. Cosa avrebbe fatto lui, in quella situazione?
Avrebbe potuto fermare il sinistro corriere e sventare un traffico illecito, oppure avrebbe potuto fare finta di niente e non rischiare inutilmente la propria incolumità. Poi l’ipotesi del traffico illegale cominciò a traballare primo perchè la valigia era rimasta incustodita troppo a lungo, secondo perchè nonostante l’aria condizionata, nessuno avrebbe avuto il coraggio di mettersi un impermeabile e un cappello.
Abbandonata dunque quell’ipotesi, ritornò a rimuginare sulla valigia misteriosa quando improvvisamente un brivido gelido gli corse fulmineo lungo la schiena. Aveva finalmente capito cosa conteneva e qual era il diabolico piano della donna. La valigia conteneva una bomba, un ordigno abbastanza potente da cancellare in un istante l’intero salone e fare affondare il traghetto. La donna faceva sicuramente parte di una qualche organizzazione terroristica che aveva deciso, per una qualche ragione che gli sfuggiva, di fare una strage di innocenti su quel traghetto in quella domenica di luglio. Gocce di sudore gelido gli scendevano inarrestabili lungo le tempie e lungo la schiena, se fosse rimasto lì sarebbe sicuramente diventato polvere, ma il terrore per la scoperta l’aveva come paralizzato su quel sedile imbottito. In quel frangente pensò alla donna. Sicuramente lei si era rifugiata sulla nave nel punto più distante dall’ordigno oppure si era gettata in mare, non vista, per salvare la pelle, l’avrebbero poi recuperata dei compagni con un gommone. I pensieri si accavallavano vorticosi nella sua mente. “Devo stare calmo! Devo decidere cosa fare, come comportarmi!” si sforzò di pensare. Iniziò così a fare delle congetture sul tipo di ordigno, per sapere cosa lo avrebbe fatto esplodere. “Sicuramente”, pensò, “se qualcuno apre o semplicemente urta o sposta la valigia, salta in aria tutto e addio alla vita”. Fece allora molta attenzione a non toccare con le sue gambe quel bagaglio, e guardava con terrore tutte le persone che passavano tra le strette file di poltrone in prossimità della valigia. Quell’ipotesi venne meno quando improvvisamente un bambino di quattro o cinque anni, ruzzolò pesantemente sulla valigia mentre giocava con un suo coetaneo. Non successe nulla, era ancora vivo, anche se lo spavento gli aveva tolto almeno quindici anni di vita e gli aveva fatto emettere un sonoro peto che aveva indignato tutti i passeggeri nel raggio di sei, sette metri.
Incurante della tremenda figura che aveva fatto e ormai completamente madido di sudore, chiunque poteva notare enormi chiazze sulla sua camicia in prossimità delle ascelle e del torace, si convinse che la bomba era sicuramente ad orologeria. Tese allora l’orecchio. Aveva ragione! Poteva sentire distintamente il ticchettio dell’ordigno all’interno della valigia stessa; a questo punto sorgeva un altro problema: quando sarebbe esplosa? Sicuramente non avrebbe fatto in tempo ad avvertire qualcuno e a chiamare gli artificieri per disinnescare la bomba. Poi, dopo qualche minuto di estrema tensione, durante i quali rivide alcuni momenti della sua vita, si rese conto che il ticchettio proveniva dal suo orologio, pensò allora che doveva esserci un timer digitale anche se, lasciò andare quell’ipotesi dopo poco, quando si accorse che era passata oltre un’ora da quando la signora si era seduta e non avrebbe avuto senso ritardare così tanto l’esplosione. Il porto iniziava a intravedersi dalle vetrate.
Improvvisamente realizzò, un lampo di genio, la bomba sarebbe esplosa in prossimità del porto innescata da qualche segnale nella zona.
Doveva agire velocemente, non c’era un attimo da perdere, avvertire qualcuno sarebbe potuto risultare fatale, doveva agire lui, doveva prendere in pugno la situazione e salvare la sua vita e quella degli altri passeggeri innocenti. Fece un grande respiro, afferrò la maniglia della valigia, si alzò in piedi di scatto e si diresse di corsa, col cuore in gola, fuori dal salone dove avrebbe lanciato la valigia in mare e salvato la nave. Corse a più non posso, con la valigia stretta fra le braccia, si fece strada tra diverse persone, raggiunse in pochi istanti l’esterno e con un gesto piuttosto scoordinato, ma efficace, lanciò la valigia oltre il parapetto. In quell’istante mentre la valigia roteava nel vuoto e lo sguardo di tutti i presenti era focalizzato sul suo gesto inspiegabile, vide una targhetta sul manico con inciso un nome… Luigi. Gli parve di destarsi da un brutto sogno quando si rese conto, che la valigia che stava inevitabilmente affondando nell’oceano, era la sua.
La Valigia
Fabrizio Guicciardi
Luglio 1995